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Voglia di Internet

22 Dicembre 1999

Voglia di Internet

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Nascerà anche in Italia il ? E servirà a dare un impulso all'? Riusciremo ad avere una dorsale degna di questo nome? Ci sarà veramente da guadagnare per tutti o si continuerà a cercare il "genietto" fresco di scuola sperando che realizzi i miracoli che promette?

Trading online

In una fredda giornata di dicembre, mentre i genitori portavano i figli a vedere il circo approfittando della festività, mercoledì 8 davanti ai monitor delle banche chiuse si erano formati capannelli simili a quelli delle sale corse del Totip. Anche se le banche erano chiuse la borsa aveva deciso di allinearsi alle aperture internazionali. Solo pochi potevano investire: gli agenti in borsa e chi disponeva di un servizio di trading online.

Gli esclusi non potevano che prendere atto di un’autentica orgia di speculazione che, approfittando dell’assenza forzata dei microinvestitori, faceva volare i titoli, soprattutto quelli tecnologici, alti come non mai. Se già le richieste di servizi di compra-vendita azionaria via Internet negli ultimi tempi erano stati così alti da cogliere impreparati i fornitori stessi, dopo l’Immacolata Concezione molti hanno scoperto di avere bisogno di Internet, anche se ancora non conoscevano neppure l’uso del computer. Era esplosa, laddove ancora fosse rimasta inespressa, la voglia italiana di Internet.

Febbri estive e sbronze autunnali

Il bel paese, conscio da sempre che il suo mercato competitivo era costituito essenzialmente dalle bellezze naturali, dai tesori artistici, dai maestri artigianali e da uno zoccolo più o meno duro di industria forte, nell’estate del 1999, con la mente lontana dai timori del millennium bug, scopriva un grande bisogno di nuove tecnologie.

Negli USA già da qualche anno il NASDAQ, il “cartello” delle nuove tecnologie, polarizzava l’interesse degli investitori. In particolare i titoli Internet realizzavano crescite di tipo esponenziale. Il fenomeno si era rivelato qualche anno prima, quando l’ingresso in borsa di Netscape aveva riscosso un successo strabiliante ancor prima del rilascio della versione commerciale del suo prodotto per la navigazione su Internet, arricchito con alcuni servizi orientati al settore corporate.

La borsa aveva ripagato in qualche giorno l’ex-manager di Silicon Graphics e il giovane autore del software di navigazione più di quanto avrebbero ottenuto con la vendita del programma. Mentre gli operatori di borsa si domandavano se quell’ubriacatura che contraddiceva tutte le regole del mercato sarebbe durata o se avrebbe travolto tutti in un gigantesco flop, si succedevano le società Internet based pronte ad entrare in borsa in vista di successi sempre crescenti.

I titoli a segnare i migliori risultati furono (e restano) soprattutto la libreria (ora “mall”) virtuale Amazon e il portale Yahoo!. Si tratta di società che vengono quotate, non tanto per gli utili che realizzano (quelli di Amazon sono ad esempio deprimenti) quanto per il valore di scommessa che portano con sé. Si fa un gran parlare in proposito di Stock Option e sul tema incominciano a uscire libri che sembrano potere spiegare tutti i perché, come Kill App di Downes e Mui (in Italia tradotto per ETAS Libri). Lasciamo a loro dunque le spiegazioni più o meno tecniche.

Ci limitiamo a osservare che la virtualità della borsa si esprime più nei meccanismi che sta scoprendosi addosso che nei mezzi che utilizza. Sembra che le società invece di essere minacciate dagli eccessi di valutazione, proprio di questi si nutrano per crescere: quanto meno realistico è il valore azionario di un’impresa che risulti coinvolta in qualche processo di innovazione, tanto più probabile è che questa cresca ancora. Un’azienda che perde, invece, non sembra costituire un buon investimento, neppure quando il titolo è di gran lunga al di sotto del suo valore industriale.

Dura? Non dura? Sono in molti a porsi questa domanda, mentre negli Usa ci si sono così abituati che sembrano avere trovato, se non delle spiegazioni convincenti, almeno un proprio solido equilibrio, al punto da non stupirsi che un sito, per quanto ricco, possa venire pagato l’equivalente dell’intera acquisizione di un’azienda robusta, dagli asset corposi come Volvo Auto. In Italia invece si era finora guardato oltre oceano con lo stupore con cui si guardano i comportamenti dei folli, mentre si pensava “cose da americani!” e si tornava a investire nelle grandi privatizzazioni.

Il Nuovo Mercato

Questo poteva essere vero fino a quest’estate, quando in un mercato come il nostro, quasi sprovvisto di società IT e ben lontano dal potere avere un proprio NASDAQ, l’arrivo di alcune matricole ha messo in subbuglio delle borse un po’ assopite. Ad affiancarsi ai pochi titoli capitanati essenzialmente da un’Olivetti in perenne crisi di comparto è stata inizialmente Olidata, un arcinoto protagonista dell’industria dell’hardware. Il vero exploit si è tuttavia registrato con l’ingresso di OpenGate, il remake di uno dei più tradizionali distributori di software, al secolo Delta.

Il software pesa poco e quindi dovrebbe costare di meno. E invece ecco che la borsa impazzisce dalla voglia di titoli di questa matricola. Da lì a poco diventerà quasi impossibile acquistare azioni delle aspiranti al comparto del Nuovo Mercato (così è stato battezzato il NASDAQ nostrano). Sembra che dietro a una tendenza iniziale probabilmente spontanea si siano mosse forze economiche seriamente intenzionate a spingere su questo comparto anche in casa nostra.

Non dimentichiamo che anche negli USA la spinta è nata, prima ancora che dalla borsa, dal governo e dalle forze che lo sostengono, quando venne deciso che gli USA dovevano focalizzarsi nell’eccellenza in nuove tecnologie (HighWay telematiche, il piano NAFTA, e tutti i progetti che avevano come regista il braccio destro di Clinton, Al Gore). È possibile che in Italia, dietro a personaggi come Elserino Piol, non ci sia una manovra simile da parte di taluni esponenti del governo e le lobbies ad esso connesse?

E arriviamo così ai giorni nostri, con l’autentico miracolo di Tiscali e quello ancor più strabiliante di Finmatica con il rialzo di trenta volte il valore d’ingresso in un solo giorno del titolo. Ancor più stupiscono titoli come Buffetti o SEAT-Pagine Gialle, Class o Espresso, apparentemente tradizionali, ma fortemente impegnati nello sviluppo su Internet. “E fu subito sbronza!” Giornali, TV… tutti i media italiani sembrano presi a gridare al boom. Si fa soprattutto un gran parlare di titoli Internet. Ma è proprio vero?

Internet in Italia

Il fatto è che di Yahoo! in Italia non ce n’è quasi. C’è, è vero, anche da noi Yahoo! Italia, ma si tratta solo di una localizzazione. Da tempo ci sono grandi protagonisti come Virgilio e da un po’ meno nomi come KataWeb sembrano promettere molto bene. Il fatto è che di titoli Internet non ne esistono proprio. Si tende a premiare chi di Internet fa bandiera, come Tiscali che fu la prima a promettere l’accesso gratuito alla Rete, anche se sul traguardo venne superata da Libero di Infostrada.

Sempre Tiscali per pochi miliardi si è aggiudicata anche Virgilio, come ha poi fatto Espresso con Kataweb. Ma nessuno di questi può essere definito un titolo Internet, al pari di Amazon o Yahoo!. Non si può neppure dire che si tratti di un fenomeno coerente, infatti altre società che pure si sono impegnate in operazioni simili, come Mediaset, Mannesmann o Fiat, non hanno certo fatto gridare al miracolo. Sembra che si tenda a premiare le forze nuove, per quanto sovrastimate, a quelle tradizionali.

Ecco quindi che queste ultime stanno scoprendo uno stratagemma sempre più in voga nel nuovo continente: lo spin-off, vale a dire l’estromissione di un comparto interno condotta al fine di aumentarne la visibilità e conferire ad esso una nuova ed inedita verginità che faccia venire l’acquolina in bocca ai mercati. Telecom parla di “spinoffare” (il potere dei neologismi che ricordano “scannerizzare”, “zippare”, “stackerizzare”…) il suo TIN.IT, mentre Bipop sta per fare altrettanto con Data Nord.

Se questo avvenisse, forse proprio TIN sarebbe stato il primo titolo Internet puro. E verrebbe comunque ad essere assolutamente proibitivo mettere le mani sull’acquisto della matricola prima della collocazione (anche se i prezzi dovessero superare ogni valore ragionevole). Nel frattempo a farla da padroni in questa escalation dei titoli tecnologici, non la fa certo Internet, quanto i telefonici (Tiscali, TIM, Ericsson…), settore che, nel paese dove già da questa estate il telefono mobile ha superato per numero di contratti la telefonia fissa, sembra essere comprensibile ai più.

Ritorno al futuro

Ma allora verrà anche in Italia questo mercato Internet? E servirà anche a dare un impulso all’Internet reale? Riusciremo ad avere una dorsale degna di questo nome? Ci sarà veramente da guadagnare per tutti o si continuerà a cercare il genietto fresco di scuola da pagare poco per i miracoli che invece può promettere? Sì, perché la realtà di Internet nel nostro paese è questa!

Molti di noi si sono lanciati già da tempo in questa avventura, spendendoci denaro, tempo, impegno, speranze e non hanno certo visto realizzarsi miracoli economici o particolare celebrità. Molti di noi difficilmente riconoscono in questa grande bolla speculativa la vera faccia della Rete.

E non c’è bisogno di scomodare le utopie dei bei tempi andati: qui spesso siamo lontani mille miglia dalla realtà, non quella della borsa, sospesa fra consistenze societarie e investimenti new age, ma quella vera, fatta di fibre ottiche, di istituti per l’assegnazione dei domini strozzati dalla burocrazia, di fornitori di contenuti che, proprio perché incompresi e mal pagati, mancano e che vengono insensatamente sostituiti da addetti ai sistemi e da programmatori, di una comprensione dei meccanismi espressivi del web sempre più compressa dai parvenu skillati e yuppie, dell’uso corretto e potente della posta elettronica e della comunicazione per via telematica in generale.

Quello che si trova – questo sì – sono tante piccole offerte per comprare con una carta di credito che ancora non ha trovato un vero corrispettivo telematico sicuro; si trovano repliche infinite di servizi usa e getta, come orari dei mezzi di trasporto, elenchi telefonici, motori di ricerca, software gratis, uomini e donne nudi, ricchi premi e cotillon, assieme a collegamenti gratuiti, posta elettronica, aste, e chi più ne ha più ne metta. In tutto questo, oggi, non esiste un Italia in Internet. Solo una grande voglia di duemila o che ci sia ancora la possibilità di inventare futuro senza passare per forza attraverso sconvolgimenti cruenti.

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