La GNU, General Public License sotto cui è rilasciato Linux e la maggioranza del software libero e open source, continua ad affermarsi anche in tribunale. A oltre 14 anni dalla sua entrata in vigore e attualmente in fase di revisione, la stesura originale di quel documento (firmata da Richard Stallman) dimostra la propria validità a tutti gli effetti. Grazie al lavoro di Harald Welte, programmatore e animatore del progetto GPL Violations, un giudice di Monaco di Baviera ha imposto ad un’azienda californiana (Fortinet) un’ingiunzione preliminare vietando la distribuzione di propri pacchetti che includono componenti basate su Linux. Come spiega una nota dello stesso progetto, “FortiOS usa il kernel Linux e numerosi altri prodotti di software libero rilasciati esclusivamente sotto GNU GPL. Questa informazione non viene diffusa da Fortinet”.
Finora l’attivismo legale di Harald Welte ha riguardato società europee e asiatiche, ma simili situazioni vanno estendendosi al resto del mondo a seguito della notevole diffusione della GPL. E della conseguente necessità di chiarirne e definirne, anche nei tribunali, le specificità operative. “Il numero di casi di cui vengo a sapere è in continuo aumento – spiega Welte -. Credo ciò sia dovuto alla maggiore conoscenza del progetto GPL Violations all’interno della comunità, per cui ricevo segnalazioni da chi acquista e usa direttamente il software coperto dalla GPL”. Nei mesi scorsi Welte aveva inviato parecchie lettere, contenenti accuse analoghe a quella contro Fortinet, ad aziende presenti alla mostra del CeBit. Con risposte tutt’altro che soddisfacenti: “La maggior parte non ha mostrato alcuna reazione – insiste Welte -. È triste notare che per lo più nessuno ti dà ascolto se non tramite un avvocato”. Neppure le trattative private con Fortinet sono andate a buon fine, pur se quest’ultima si è dichiarata sorpresa del ricorso in aula visti i negoziati in corso. Fortinet rischia ora una multa fino a 250.000 euro e sei mesi di carcere per gli impiegati qualora dovesse violare l’ingiunzione, oltre a dover rimborsare le spese legali di Welte.
Al di là di come finirà questo caso (è previsto il ricorso in appello), va notato che la sentenza fa seguito a quella di un anno fa, quando un altro giudice tedesco aveva constatato e punito simili violazioni da parte di una società olandese (Sitecom), divenuta precedente storico a tutela legale della GPL. Appare inoltre chiaro che la tendenza legale verrà applicata anche altrove. Nulla di male che tale software venga usato da grandi corporation e piccole ditte, anzi. Tuttavia “è ovvio che le aziende dovranno mostrarsi più guardinghe rispetto alle possibili diramazioni dell’uso di codice sotto GPL nei loro prodotti”, spiega Mark Radcliffe, avvocato specializzato nella proprietà intellettuale e consigliere della Open Source Initiative. Non a caso entità come quest’ultima vanno facendo informazione nel settore industriale sulle implicazioni a tutto tondo del ricorso alla GPL.
Intanto l’ulteriore affermazione a livello giudiziario della GPL viene ribadita in un recente editoriale in cui Pamela Jones offre un’attenta panoramica sugli effetti positivi scaturiti dalla causa avviata da SCO contro IBM nel marzo 2003 e poi estesasi al mondo open source. Secondo la fondatrice ed editor di Groklaw, noto sito dedito a faccende legali concernenti software aperto/libero, il risultato complessivo dei tre anni in cui la vicenda legale si è trascinata finora (e senza soluzioni in vista), è stato il rafforzamento dell’intera comunità. Quest’ultima ha cioè dimostrato di “voler continuare a sostenere Linux e il software libero e open source come pure ogni azienda che si mobiliterà a sua difesa”. Lo dimostra la costante ascesa del pinguino in ogni settore unito all’indefesso impegno di programmatori e imprenditoria. Pur se è sempre poco saggio prevedere la conclusione di iter giudiziari così tortuosi, spiega Pamela Jones, oggi la maggioranza degli esperti “lo considera soltanto una disputa contrattuale” e i recenti reclami di SCO sul codice AIX non hanno “assolutamente alcuna relazione con Linux”.
In altri termini: se la mossa da bulli tentata da SCO va rivelandosi il buco nell’acqua che parecchi prevedevano fin dall’inizio, si può sperare che il tutto produca benefici di più ampia portata per la comunità globale? L’attivista legale ne sembra convinta, e una queste conseguenze riguarda proprio la GPL. Anche in USA la licenza ha infatti tenuto bene nella sua prima vera verifica sul campo, in un’aula di tribunale, smentendo quanti invece prevedevano il contrario. La sua presunta incostituzionalità, richiesta a gran voce nella mozione iniziale di SCO, è stata ribaltata dalla puntale controdenuncia di IBM. Dove si chiariva come fosse SCO a violare la GPL in quanto continuava a distribuire delle versioni di Linux sotto altra licenza, pur se queste contenevano codice rilasciato sotto GPL e dovevano quindi seguirne i dettami (ridistribuzione sotto le medesime condizioni). Costretta nell’angolo, per difendersi SCO si è subito “avviluppata nella bandiera GPL”, puntualizza l’articolo, “proclamando senza pudore di non averla mai ripudiata ma anzi di averla sempre rispettata”.
In termini più ampi, queste ulteriori verifiche legali della storica licenza rivelano una lezione importante: i vari soggetti dell’ambiente informatico di oggi e di domani dovranno prestare maggiore attenzione all’effettiva implementazione di questa e di altre ‘licenze aperte’. Le quali prevedono obblighi specifici e non sono per nulla equivalenti al pubblico dominio, così come il cosiddetto ‘copyleft’ non è affatto sinonimo di ‘no-copyright’, differenza sostanziale ma che purtroppo manca di essere colta finanche da certi fautori della libertà di licenza e di cultura.