Vinton Cerf, comunemente definito “il padre di internet” (con, immagino, una certa irritazione da parte di David e Bennett, i suoi figli in carne e ossa), è recentemente tornato sul tema dell’Internet Spaziale, progetto sul quale su cui sta lavorando da anni lontano dai riflettori dei media. Si tratta di un nuovo, robustissimo protocollo, che potrebbe forse un giorno risolvere alcuni dei problemi incontrati tutti i giorni dal nostro ormai datato Internet Terrestre.
Dopo aver co-inventato il Tcp/Ip e connesso la Terra, era inevitabile che cercasse un progetto ancora più ampio per stimolare la propria creatività. Già da un po’ se ne parlava (una decina d’anni), ma ora la notizia è stata rilanciata al Lift 09 dallo stesso Cerf, che è tornato sul tema dell’Inter Planet Network, un protocollo davvero galattico. Lavorando insieme alla Nasa, al Jet Propulsion Laboratory e all’Arpa, sta sviluppando una nuova tecnologia in grado di sorpassare le ben più ostiche difficoltà dello spazio interplanetario per rendere possibile la connessione tra la Terra e gli altri pianeti del Sistema Solare (e forse, un giorno, anche più in là).
Tanto per evitare problemi e sfruttare appieno la lezione della rete, hanno subito messo le mani avanti per stabilire un protocollo unico, uno standard – la vera forza di Internet, che non si è dovuta evolvere da un caos di sistemi e protocolli incompatibilmente concorrenti. Per una volta, pur con qualche eccezione, sono andati tutti nella stessa direzione. Di qui lo sviluppo del protocollo RFC 4838, in grado di sopportare lunghi ritardi e grandi distanze, le cui ricadute tecnologiche potrebbero poi portare a miglioramenti o a evoluzioni significative nei protocolli che useremo nella prossima incarnazione di internet.
Possiamo dunque pensare che un giorno (lontano) le colonie umane stanziali sul pianeta rosso potranno godersi in pieno la cultura del pianeta madre, sifonandosi YouTube, YouPorn, Google e la posta, telefonandosi via Skype (per aggirare le onerosissime tariffe di Mars Telecom, sicuramente) e scaricandosi terabytes di entertainment da PhobosTorrent e RedMule.
In realtà, se questo è lo scenario, dovranno armarsi di molta pazienza: come sappiamo bene noi aficionados dei vecchi film di fantascienza, la distanza tra Terra e Marte è tale che i dati impiegano 15-20 minuti ad arrivare, per cui finché Cerf non riuscirà ad inventare un modo di far viaggiare Ipn a una velocità superiore a quella della luce, con buona pace di Albert Einstein, le chat e le videochiamate saranno esperienze noiosissime, con pause tali da stroncare la pazienza di chiunque (se fossi in voi investirei fin d’ora nel primo operatore di email marziano, è lì che si farà il business). La rete interplanetaria sarà inoltre in rotta di assoluta convergenza con le attività di comunicazione (e piccoli annunci) rivolte a un pubblico di alieni spaziali, di cui abbiamo già parlato qualche anno fa.
Evidentemente, almeno nelle sue prime fasi, gli impieghi dell’inter-net inter-planetario saranno ben altri (anche se sicuramente qualche email di straforo il solito astronauta hacker riuscirà a piazzarla): per esempio nello scambio di telemetrie e informazioni tra navi spaziali e stazioni a terra (espandendo il modello della sonda che comunica coi terrestri a mezzo Twitter), tra oggetti intelligenti e computer planetari, esploratori robotici e controllori remoti. Insomma, sarà più che altro uns “internet delle cose” più che delle persone. Anche perché si stima che su Marte ce ne vorrà ancora prima che si possa contare su una popolazione, pur anche temporaneamente residente, superiore al numero dei componenti di una squadra di pallavolo. E questo è un bene: le solite Cassandre bene informate vaticinano che la fine di internet e vicina (siamo arrivati alla fine dello spazio disponibile per gli indirizzi), quindi tra un po’ non ci si potrà aggiungere più nulla e nessuno, cosicché tutte le cose e gli Spime che attendono di aggiungersi alla Rete per comunicare dovranno restare fuori dalla porta.
La soluzione, ne parliamo da anni, è quella di adottare l’IpV6 (pare semplice, ma evidentemente è un bel problema). Ma a questo punto non sarebbe forse più semplice adottare il protocollo spaziale anche da noi, in modo da avere a breve termine, incluso nel costo del nostro operatore telefonico quadruple-play, non solo le chiamate interurbane, ma anche quelle interplanetarie e l’accesso flat alle webcam che inevitabilmente le prossime sonde depositeranno sulla Luna?