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Videoterminalisti: lavoro a rischio?

19 Gennaio 2001

Videoterminalisti: lavoro a rischio?

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La legge promulgata alla fine dell'anno scorso negli Stati Uniti sulla sicurezza dei videoterminalisti potrebbe influenzare la legislazione europea in materia

È una norma destinata a lasciare il segno non solo oltre Atlantico, dove è considerata la più profonda revisione negli ultimi trent’anni della normativa sul lavoro. Presto o tardi, la legislazione europea in materia sarà riformata sotto la sua influenza. La nuova disciplina entrerà in vigore dal gennaio 2001, investendo sei milioni d’aziende e cento milioni di lavoratori dipendenti.
Obiettivo è il risparmio d’indennità malattia per oltre nove miliardi di dollari, cioè oltre dieci miliardi di Euro.

Le nuove regole contenute nel provvedimento, fortemente voluto dall’uscente amministrazione Clinton, sono state accompagnate, sin dalla loro formulazione, da giudizi contrastanti, ma un fatto è fuori questione: una delle figure professionali su cui punta più l’attenzione il legislatore americano è il videoterminalista (VDT).

Dal gennaio prossimo sarà davvero improponibile per le aziende americane assegnare un dipendente al VDT per più di quattro ore al giorno senza correre il rischio d’incappare in tutta una serie d’obblighi e risarcimenti anche molto onerosi. È sufficiente che il lavoratore denunci un sintomo patologico per far scattare adempimenti pesantemente sanzionati in caso d’inosservanza (riorganizzazione della mansione a parità di salario, copertura delle spese medico-ortopediche, fino a novanta giorni di riposo malattia retribuito, etc.). Quali sono però i rischi professionali dell’addetto VDT? Sono tali da giustificare tanta severità? Come prevenirli ove possibile? Il VDT è una professione realmente a rischio?

Per formulare una risposta a queste curiosità c’è a disposizione un vasto materiale da cui attingere. Ormai la mole delle pubblicazioni internazionali sul VDT prodotte da parlamenti, organizzazioni sanitarie e giurisprudenza è considerevole ed autorevole. Per l’Italia, citiamo la pionieristica sentenza della Pretura di Torino 2/5/96 sui VDT, ovviamente il famoso D.Lgs. 626/94, le connesse Linee guida d’uso dei videoterminali, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale 244 del 18/10/2000 (allegato al decreto 2/10/2000 del Ministero del Lavoro di concerto con il Ministero della Sanità).
Il lavoro al VDT è sostanzialmente distinguibile in attività di digitazione e di dialogo. Nella digitazione, l’operatore VDT immette dati nel sistema informativo in modo costante, magari per l’intero arco della giornata. È un lavoro che spesso richiede alta concentrazione e precisione, oltre a una certa rapidità d’esecuzione.

Gli organi del nostro corpo più sollecitati sono colonna vertebrale, muscolatura di nuca, scapole, braccia e mani ed i vari apparati tendinei e nervosi connessi. Lo sforzo oculare è causato dalla lettura costante del testo da inserire al VDT, al cui schermo si dedicano sporadiche occhiate di controllo. Questo sforzo è tanto maggiore quanto più è difficile leggere a causa dell’illuminazione e della chiarezza del testo (sia come stampato/calligrafato, sia come costrutto sintattico) e quanto meno è curata l’efficienza di tastiera e mouse. Nel dialogo, l’uso del VDT è rivolto alla manipolazione, correzione e stampa di dati.

Si tratta di un’attività meno assidua rispetto alla digitazione, sia per il ritmo decelerato anche da diversi tempi morti (ad esempio, l’attesa dell’output), sia per la contemporanea esecuzione di lavori secondari (consultazione e confronto di documenti originari, colloqui telefonici, archiviazione, etc.). Le sollecitazioni tipiche della digitazione rimangono, perché in entrambi i casi il lavoratore deve rimanere seduto per svolgere comodamente tutte le sue mansioni, ma sono graduate dai tempi più diluiti dell’operatività. Maggiore invece è il carico per l’apparato muscolo-oculare. Gli occhi sono di solito posati sullo schermo: le sue caratteristiche e qualità possono far patire proprio questi organi. Spesso, gli addetti al VDT svolgono alternativamente le due attività durante la giornata lavorativa, miscelando i relativi rischi.

La fisiopatologia dell’addetto VDT è quindi riconducibile principalmente a disturbi visivi e muscolo-scheletrici. Tali disturbi possono già insorgere per caratteristiche individuali non adeguatamente corrette: ametropia, cioè alterazioni a carico della refrazione, eteroforia, cioè alterazioni della motilità oculare, lordosi a carico delle varie sezioni della colonna vertebrale, etc.
Anche l’ambiente di lavoro svolge un ruolo importante. Illuminazione irrazionale, agenti chimici aerodispersi ed irritanti (ad esempio formaldeide, VOCs, ETYS, Nox, etc.), condizioni microclimatiche inadeguate (bassa umidità relativa, elevata velocità dell’aria, fumo passivo, etc.), sono possibili fattori scatenanti disturbi e malesseri. Infine, lo stesso VDT ed il software usato hanno un loro peso, ad esempio in caso d’immagini con contrasto insufficiente o scarsa nitidezza, instabilità, sfarfallamenti, colorazione dello sfondo e dei caratteri, distanza fra video ed occhi dell’operatore.

È acclarata anche una psicopatologia legata al lavoro VDT. In genere, tali disturbi è riconosciuto siano causati dalla monotonia del lavoro, dalla scarsa conoscenza del mezzo hardware/software usato e dalle relative frustrazioni create da questo rapporto conflittuale (casi tipici possono essere la solita stampante a tamburo capricciosa, in cui non riusciamo proprio ad inserire il modulo continuo o l’aggiornamento del software a brevi intervalli di tempo), dall’inquinamento acustico (ronzii o rumori di sottofondo persistenti, mancata segregazione o insonorizzazione di stampanti ed altro hardware rumoroso, etc.), dalla scarsa conoscenza del contesto in cui il lavoro al VDT s’inserisce.
Riassumiamo perciò i principali tipi di disturbi per il lavoratore al VDT, riferendone le cause oggettive ed i possibili rimedi.

Disagio visivo: bruciore agli occhi, lacrimazione, secchezza, senso di corpo estraneo, frequente ammiccamento, fastidio alla luce, annebbiamento, sdoppiamento dei contorni, stanchezza alla lettura. Questi problemi hanno come unico comune denominatore l’astenopia, cioè l’eccessivo affaticamento dell’apparato visivo.

Le cause dell’astenopia sono principalmente: l’illuminazione dell’ambiente e sul VDT; l’assenza di pause dell’attività (nell’art. 54 del D.Lgs 626/94 è fatto obbligo per il datore di lavoro di stabilire delle pause per il lavoro VDT di minimo quindici minuti ogni centoventi d’applicazione al VDT); la qualità dell’interfaccia software/hardware (videate e caratteristiche fisiche dello schermo); la distanza fra operatore e video.

Le principali contromisure da adottare sono l’illuminazione naturale degli ambienti ed in subordine quella artificiale, con luce non eccessiva e da fonti poste al di fuori del campo visivo; assenza di riflessi e abbagliamenti sullo schermo, sul piano di lavoro e dalle finestre; mantenimento della distanza minima di circa 50-70 cm. fra occhi e VDT; regolazione delle pause e educazione alle stesse dei lavoratori (ad esempio, è utile periodicamente distogliere lo sguardo dal video e fissarlo su altri oggetti, più morbidi alla vista, quali quadri, piante, etc. oppure seguire per qualche secondo delle linee rette come bordi del soffitto o d’infissi, etc.); sorveglianza sanitaria ed obbligo dell’uso di strumenti correttivi.

Disagio muscolo-scheletrico: senso di peso, senso di fastidio, dolore, intorpidimento, rigidità a collo, schiena, spalle, braccia, mani fino a più gravi complicazioni (lordosi, lombalgie, ernie, emorroidi, etc.). In genere, i fattori che scatenano questi problemi sono: l’inosservanza delle regole ergonomiche, che determina posture errate del lavoratore, ed il lungo immobilismo associato alla frenesia di altri organi (operatore sempre seduto nella stessa posizione, che muove rapidamente e ripetitivamente solo le mani).

La soluzione al problema è l’ambientazione ergonomica delle postazioni di lavoro, sia come arredo, sia come ubicazione (ampi piani di lavoro, facile alloggiamento dei sedili e delle gambe, sedili girevoli ben saldi e regolabili, eventuali dispositivi di miglioramento del comfort quali poggiapiedi e portadocumenti, etc.); la corretta disposizione degli strumenti di lavoro (posizione semi-frontale al video, scrivania in ordine e tavolo sgombro nella zona tastiera-mouse, tastiera e mouse fronte al video e paralleli, etc.); l’educazione del lavoratore (mantenimento della corretta posizione coi piedi poggiati a terra e tratto lombare appoggiato allo schienale, avambracci appoggiati al piano di lavoro e liberi d’agire, non irrigidire mani e dita nella digitazione, esercizi di rilassamento a collo, schiena e articolazioni per evitare posizioni fisse protratte, manutenzione in perfetta efficienza di tastiera, mouse e video, etc.).

Disturbi cutanei: irritazione, prurito, fino ad eritemi ed eruzioni cutanee. In genere tali disagi, per la verità abbastanza inconsueti, sono determinati da uno scorretto microclima (secchezza dell’aria) e/o da agenti chimici aerodispersi ad azione irritante.
Più raramente possono dipendere dall’irraggiamento solare, causato dalla violenta luce che filtra sulla postazione di lavoro dalle finestre, o da sistemi di climatizzazione troppo vicini al VDT.
È sufficiente eliminare tali scompensi ambientali per abbattere ed annullare tali problemi.
Stress: insorgere di disturbi psicologici e psicosomatici quali senso di affaticamento o malessere (cefalea o emicrania, difficoltà alla concentrazione, senso di spossatezza, senso di nausea), sindromi dell’umore (tensione nervosa, irritabilità, ansia, depressione), insonnia, fino a casi d’attacchi epilettici. Questi disturbi, ove non riconducibili alla soggettività, sono collegati alla qualità del lavoro (monotonia, stato di conflitto uomo-macchina-software, carichi e complessità del lavoro rispetto alle competenze) e all’ambiente sociale (rumori, spazi inadeguati, isolamento fisico o psicologico dal contesto aziendale, mobbing).

L’area d’intervento, come si vede, è alle volte molto labile. Dove c’è un rumore continuo, di sottofondo, stillicidioso è relativamente facile intervenire. Un lavoratore posto di fronte ad un muro, spalle rivolte a tutti, può essere meglio ubicato. Dove esistono invece conflittualità, senso d’inadeguatezza o quant’altro è molto più complesso scoprire la vera causa e la miglior soluzione possibile. In questi casi è la capacità organizzativa del datore di lavoro che viene esaltata nel capire e risolvere i problemi.

Ad esempio, è utile la formazione dei lavoratori laddove lo sviluppo tecnologico obbliga un costante e veloce aggiornamento delle attrezzature hardware/software, in quanto attutisce i conflitti uomo-macchina; è utile l’esistenza di precisi referenti per la soluzione d’anomalie tecniche, per i più troppo complesse d’affrontare con le proprie conoscenze; è utile la definizione delle aree di pausa e del loro comfort, così come lo stabilire una norma comune ed accettata sul tabagismo, etc. L’affaticamento mentale è un fattore comunque da non sottovalutare, perché alle volte più incidente di quello fisico.

Altre questioni riguardano gravidanza e lavoro al VDT ed l’esposizione elettromagnetica.
Per le future mamme, non esistono effettive controindicazioni al lavoro VDT, in quanto la letteratura scientifica non riporta alcun collegamento fra i disturbi sopra citati, la dolce attesa ed il lavoro al VDT di per sé.

Ovviamente, la maggior fragilità delle lavoratrici che si trovano in tal splendida condizione le rende genericamente più esposte ai rischi elencati e quindi maggiore è il richiamo alla prevenzione per il datore di lavoro. L’esposizione a campi elettromagnetici e gli effetti sanitari derivanti hanno creato una progressiva preoccupazione nella comunità medica internazionale, che di recente ha ipotizzato la possibile associazione fra leucemia ed esposizione a determinati valori dei suddetti campi.
Sul tema è ormai ampiamente sensibilizzata anche l’opinione pubblica. Al momento, comunque, nulla è stato collegato fra patologie da esposizione e campi prodotti dal VDT, che può ritenersi pericoloso quanto il nostro televisore di casa. In conclusione, passateci la battuta: per quanto ci si sforzi, di VDT non si muore. Questa professione ha dato adito nei primi tempi della sua applicazione di massa a vere e proprie leggende metropolitane.

L’allarmismo delle radiazioni del VDT che provocavano il cancro, ad esempio, è stato sfatato da precisi accertamenti scientifici. Come ogni nuova tecnologia, anche l’informatica ha sviluppato il suo tipo di luddismo psicologico, che il tempo ha dimostrato ingiustificato. Sono ancora il lavoro sulle impalcature o nelle miniere le professioni di gran lunga più traumatiche. Corre ancora oggi più rischi una casalinga che un’operatrice al VDT. L’approccio al VDT a volte è quindi eccessivamente preoccupato. I rischi del videoterminalista sono gli stessi di quelli dello scrivano miope e gibboso d’inizio Novecento, modificati dai ritmi produttivi della meccanizzazione del lavoro intellettuale. Non per questo è lecito sottovalutare i rischi professionali legati al VDT, ancorché fossero esclusivamente soggettivi.

I problemi che tale lavoro può causare si riflettono nel medio-lungo periodo, con effetti negativi anche molto pesanti per la qualità della vita del lavoratore. Si comincia con la piccola e snobbata pesantezza di testa o un po’ di caviglie gonfie alla fine della giornata di lavoro e si può finire colla cefalea a grappolo o l’ernia del disco. La correlazione e compresenza dei problemi può far poi esplodere i fenomeni patologici. È quindi utile azzerare ogni rischio collegato al VDT, anche perché in genere si tratta d’operazioni di semplice buon senso, opportune e a costi ridicoli o inesistenti. È altrettanto utile che nessuno sottovaluti la questione, a cominciare dai lavoratori, chiamati a segnalare circostanziatamente e con scrupolo i loro disagi. Lungi dal voler esprimere giudizi sulla consistenza delle preoccupazioni dal legislatore statunitense in materia, ci limitiamo a citare un passo di M. Pastrengo, in “Lavoro informatizzato e Ambiente di lavoro” (Ambiente Risorse Salute, marzo 1992, p. 33) in cui si riporta il risultato di un’indagine svolta su incarico della Pretura di Torino dall’USL 1-23, Servizio d’Igiene e Sicurezza del Lavoro sugli addetti VDT di dodici banche del capoluogo torinese e che denotava:

  1. disturbi astenopici, quali cefalea, cromatopsia complementare (visione del colore complementare a quello dello schermo);
  2. sintomi di affaticamento specifico dell’apparato visivo come lacrimazione e visione sfuocata;
  3. talune patologie derivanti dal sedentarismo (affezioni dell’apparato locomotore e della colonna vertebrale, lombalgia) e
  4. dalla cattiva climatizzazione e dallo stress (che riduce tra l’altro anche le difese immunitarie);
  5. disturbi psicosomatici quali sensazioni di caldo, agitazione, tremore alle mani, sudori freddi e aumento delle cardiopatie.

Queste patologie aumentano progressivamente dai non addetti, agli adibiti in modo saltuario, agli adibiti in modo esclusivo. Il lavoro al VDT, se scorrettamente impostato tecnicamente, ergonomicamente e socialmente, non uccide, ma alla lunga può fare lo stesso male.
La normativa sulla Sicurezza sul lavoro:
DECRETO 2 ottobre 2000

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