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«Vi parla il capitano: c’è forse un pilota a bordo?»

19 Febbraio 2010

«Vi parla il capitano: c’è forse un pilota a bordo?»

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Il caso di Skittles, marca che per un anno ha delegato alla gente la sua comunicazione online. Con risultati magri, molto magri

In questi quindici anni in cui mi sono occupato di internet so di essermi reso periodicamente impopolare, per aver tirato il freno a mano quando mi sembrava che il ciclo dell’hype avesse raggiunto punte eccessive, schierandomi contro posizioni integraliste o fortemente di parte (vedi alla voce interessi commerciali).

La stessa cosa ho fatto anche sul fronte dei social media (attenzione: è una delle aree in cui lavoro e che mi dà da vivere), quando mi sono trovato a confrontarmi con affermazioni integraliste. Le conosciamo bene: «Social media è il futuro per tutti» o «lascia il controllo della marca ai tuoi utenti, totalmente». Per fortuna non sono tanti quelli schierati su un fronte pasdaran, e va detto che in alcuni casi, rari, possono aver ragione. Ma la risposta ai problemi, in genere, è sempre «dipende». Mollare il controllo della marca alle persone è una faccenda complessa e rischiosa – e non sempre è la soluzione ideale. Caso mai le cose si possono (e ritengo si debbano) fare insieme, marca e pubblico.

Guida tu

Un caso interessante di sperimentazione è quello di Skittles, caso che ho seguito con attenzione. Le Skittles sono delle caramelline, una marca abbastanza nota (non da noi), che un anno fa ha preso una decisione molto «bold»: lasciare il controllo, almeno sul web. Così – anche perché non è che ci fosse molto da dire sul prodotto – si è smesso di dare dei messaggi di marca dall’alto per trasformare il sito in un paginone di raccolta di tweet, post dai blog, social media. Centrato quindi sui discorsi, I messaggi delle persone, che le altre persone potevano leggere. Un marketing e una comunicazione C2C.

La sperimentazione ha dimostrato una notevole disponibilità di consumatori che non hanno colto il valore etico/sociale dell’iniziativa e che hanno però colto l’occasione per riempire la Rete di scemenze, messaggi pornografici, inutilità digitali, rumore. La conversazione del consumatore è stata talmente poco costruttiva che il test è stato chiuso e l’esperimento sostituito da un nuovo approccio ben più controllato dall’azienda. Il sito prodotto dalla poco smart crowd non solo è stato sostituito, ma non è visibile nemmeno attraverso quella macchina del tempo che è la Wayback Machine (che, come molti sanno, permette di vedere com’era in passato un certo sito, anche a distanza di anni).

La marca, lasciata alle persone, è stata maltrattata. Siccome la conversazione si è tenuta su livelli ben poco significativi, si è ammazzato l’incentivo a seguirla. È chiaro che siamo ancora agli albori, che le persone devono ancora nella maggior parte dei casi sviluppare e metabolizzare una cultura della civiltà digitale, un’evoluzione di quella netiquette ancora sconosciuta a molti. È chiaro che il caso di Skittles non può essere universale e che per altre marche il ragionamento sarebbe stato diverso, magari per marche amate, o almeno più rilevanti, importanti, evocative, rispetto alle piccole, povere caramelline.

Morire di social media?

Lasciatemi essere come al solito chiaro. È ovvio, anch’io sono di parte. E credo che oggi i social media siano (soprattutto per le marche consumer) un ambiente che non si può più ignorare. Ma da qui a delegare totalmente la marca, ne passa. Non crediate: alle aziende piacerebbe moltissimo, contrariamente a quel che si pensa. Fare un outsourcing totale di branding, innovazione, comunicazione… fantastico! Si licenzia il reparto marketing, metà del reparto R&D, si fa a meno dell’agenzia. Si tiene solo la produzione, la logistica, un pezzo del commerciale, ufficio acquisti ridotto del 40%, l’amministrazione. Si risparmia un pacco di soldi, perché il resto del lavoro lo fa il popolo, gratis et amore dei. Purtroppo, ad oggi, questo non appare possibile. Lo user generated marketing e lo user generated content son parte della soluzione – non la soluzione. Sempre. Per tutti.

In primis perché il popolo non è necessariamente così committed rispetto alla nostra marca, non è così serio. Poi la gente non è necessariamente così creativa. La mia esperienza è che la gente, se richiesta di un opinione, nel 99% dei casi ti ricicla cose già viste: sono pochissimi quelli in grado di darti idee nuove e soprattutto idee che abbiano un senso in termini di business (difficile, sottolineo, ma non impossibile). Infine perché oggi, in un mondo di engagement, una marca senza una propria opinione non è una marca: è un quaraquaquà. Che alla gente non piace.

Così come tra marito e moglie la soluzione per una relazione felice non è che uno dei due deleghi totalmente all’altro il pensiero, nel marketing e nella comunicazione credo ci possa e soprattutto debba essere una via di mezzo tra «tu farai, comprerai quello che dico io» e il «sono come tu mi vuoi, sono una plastilina nelle tue mani». Ora scatenate pure, come spesso auspico, una polemica. O, spero, una conversazione. Almeno qui, su queste colonne, la conversazione e il dibattito tende a essere più serio e costruttivo che sul sito delle caramelline, dove la marca era uscita dal loop.

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