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Verisign: le mani sulla Rete

10 Aprile 2002

Verisign: le mani sulla Rete

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La maggior parte degli utenti di Internet non ha mai sentito parlare di Verisign, ma ognuno di loro, senza nemmeno rendersene conto, ogni giorno utilizza i servizi di questa società di Mountain View, California. Siamo di fronte alla nascita di un nuovo monopolio?

Quando un utente della Rete digita un indirizzo Internet, è Verisign a indicare al computer a quale server connettersi per accedere al sito richiesto. Se poi l’utente in questione va su Amazon a fare acquisti, è sempre Verisign a garantire la sicurezza della transazione, a verificare il numero della carta di credito e a confermare il pagamento alla banca dell’internauta. Ogni giorno i servizi di Verisign garantiscono pagamenti online per un totale di cinque milioni di dollari (5,7 milioni di euro); rispondono a circa cinque miliardi di richieste di DNS (corrispondenza tra un nome di dominio e un server Internet) e registrano più di 3.500 nuovi nomi di dominio. Un’attività talmente estesa che ormai appare lecito chiedersi se da semplice service provider di successo la società californiana non sia diventata un vero e proprio monopolista della Rete.

Nata solo sei anni fa, nel 1996, come spin-off di RSA-Security, nel 2001 ha realizzato un giro d’affari pari a 984 milioni di dollari. Un successo che è passato quasi inosservato, anche perché al momento della nascita le sue dimensioni erano decisamente modeste: quattro impiegati e un milione di dollari di giro d’affari. Oggi Verisign impiega 3.500 persone e la sua crescita appare inarrestabile. Un destino opposto a quello di centinaia di start-up che, nate col miraggio di fare soldi con la Rete, non hanno fatto altro che contribuire ad arricchire il principale fornitore di servizi online. Mai come in questo caso la metafora della corsa all’oro, durante la quale ad arricchirsi erano i venditori di pale e picconi e non i cercatori di pepite, appare calzante.

Anche perché, a ben guardare, la storia di Verisign inizia per davvero solo nel marzo del 2000. A quell’epoca la società si occupava di sicurezza delle transazioni e di sistemi di pagamento online. Era un’azienda solida che sviluppava un giro d’affari di 84,9 milioni di dollari e con delle buone prospettive di crescita. Presidente e CEO era Stratton Sclavos (che oggi ricopre anche la carica di Chairman): personaggio non molto quotato nella Silicon Valley per un paio di fallimenti che macchiavano il suo curriculum. Oltre alle cariche coperte in Verisign, Sclavos sedeva anche nel consiglio d’amministrazione di Network Solutions, società che nel 1992 aveva ottenuto dal governo degli Stati Uniti il monopolio – ora cessato – della gestione dei domini Internet definiti “generici”, i “.com”, “.net” e “.org”. Ogni volta che qualcuno registrava un indirizzo Internet con questo dominio, Network Solutions incassava 35 dollari.

Una condizione invidiabile, che faceva di Network Solutions una gallina dalle uova d’oro. Nonostante ciò, la società era in vendita. E Sclavos non si lasciò scappare l’occasione, realizzando una delle acquisizioni più clamorose di Internet. Per 21 miliardi di dollari in azioni della Verisign di allora, riuscì a impossessarsi di una società due volte più grossa. Si è trattato di un evidente errore del management di Network Solutions: le due società potevano sì unirsi, ma non in un modo così smaccatamente favorevole a Verisign, che all’epoca era un’illustre sconosciuta. “In realtà – fa notare Anil Pereira, Executive Vice President e direttore generale di Verisign – è stata più una fusione che un’acquisizione. Network Solutions aveva gli impiegati e i clienti, noi avevamo la visione”. Una visione, in fondo, abbastanza semplice visto che il giro d’affari dell’ex Network Solution rappresenta ancora oggi il 60% del fatturato di Verisign. Una visione che si regge sulla concessione in monopolio fino al 2007 della gestione della registrazione dei domini “.com” accordata dal dipartimento del Commercio americano.

Dopo l’acquisizione di Network Solutions, Stratton Sclavos ha continuato nella sua politica di espansione, ben sapendo che la gallina dalle uova d’oro della registrazione dei nomi di dominio smetterà prima o poi di fare uova. Le attività oggi sono state divise in due: la prima consiste nel tenere aggiornato il database dei nomi di dominio “.com”, “.net” e “.org”. registrati in tutto il mondo e nel rispondere alle richieste degli utenti della Rete che devono essere indirizzati sui server corrispondenti a un determinato nome di dominio. Questa attività (denominata Registry) è particolarmente lucrosa: per ogni nome di dominio registrato da un qualsiasi Registrar, la società incassa sei dollari l’anno, una sorta di rendita fissa che comporta, comunque, forti investimenti e una poderosa infrastruttura per indirizzare i naviganti che ogni giorno eseguono una media di cinque miliardi di richieste.

Il secondo ramo di attività pone, invece, alla società, alcuni problemi. Oltre ad essere un Registry, ad avere cioè il monopolio nella gestione del database dei domini in questione, Network Solutions è anche un Registrar, cioè un rivenditore al dettaglio dei nomi di dominio stessi. In questo campo, però, deve fare i conti con un nutrito numero di concorrenti, circa 90, che stanno guadagnando rapidamente quote di mercato. A crescere sono soprattutto i piccoli operatori, che hanno visto il loro giro d’affari esplodere adottando una semplice politica commerciale: prezzi sempre più bassi.

Alla concorrenza dei piccoli operatori, va aggiunta la crisi di Internet, che ormai appare in tutta la sua drammaticità. Per la prima volta nella storia della Rete, nel mese di ottobre del 2001 il numero di nomi di dominio soppressi è stato superiore a quello dei nuovi nati, determinando un calo complessivo dei nomi di dominio dell’8%. Spiegazione: molti nomi di dominio non vengono più rinnovati perché i loro proprietari hanno rinunciato all’idea di creare un sito o perché il loro valore speculativo è sceso troppo. Una tendenza che non dovrebbe esaurirsi visto che solo il 72% dei nomi di dominio registrati è attivo: 8,26 milioni di indirizzi sono probabilmente destinati a scomparire.

In questo momento, però, alla società non manca la liquidità e questa è l’arma che Stratton Sclavos sta utilizzando per tutelarsi. La disponibilità di cassa è stata messa al servizio di una politica di acquisizioni che ha come obiettivo quello di far crescere le quote di mercato di Verisign nei vari settori di attività. Per allargare il proprio mercato, la società di Mountain View ha acquisito Dot TV Corp. per 45 milioni di dollari lo scorso dicembre; operazione che le ha consentito di vendere anche i nomi di dominio “.tv”. Successivamente ha messo le mani su Greatdomains.com, sito specializzato nella vendita all’asta di nomi di dominio inattivi. Costo di questa seconda operazione: 100 milioni di dollari.

Grazie alla propria politica di sviluppo, basata per la verità non solo sulle acquisizioni, ma anche su una forte integrazione dei vari servizi offerti, Verisign non dovrebbe conoscere la crisi che ha interessato molte aziende legate alla Rete e gli analisti finanziari continuano a vederla di buon occhio. Anche perché è una delle poche società quotate al Nasdaq a non aver emesso profit warning nel 2001.

I problemi per Verisign, in questo momento, sono piuttosto di tipo giuridico. Molti attivisti l’hanno già presa di mira accusandola di aver applicato alla Rete il modello espansivo di Microsoft. I nomi di dominio sarebbero, nel mondo Internet, un Cavallo di Troia; esattamente come Windows lo è stato in quello dei Pc. Infatti, così come l’utilizzo di Windows favorisce l’uso di altri prodotti Microsoft, il nome di dominio spinge verso l’acquisto di altri servizi Verisign. In poche parole, la società di Stratton Sclavos è accusata di monopolio nella sua attività di Registry e di abuso di posizione dominante in quella di Registrar. Accuse che hanno un fondamento, ma che nell’attuale clima politico americano non dovrebbero portare a un interessamento immediato dell’anti-trust.

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