«Hanno prestato attenzione alla cosa giusta nel momento giusto, e avevano un’ottima tecnologia… In quel periodo erano sicuramente i migliori nel loro campo. È discutibile se lo siano ancora oggi, ma il fatto è che hanno imposto un marchio che è assolutamente imbattibile.” ual è l’argomento di questa citazione? Nient’altro che la corsa da superstar seguita finora da Google, dentro e fuori internet. A proporcela, in un’intervista dei giorni scorsi, è qualcuno che sul tutto ne sa davvero qualcosa, John Batelle, affermato giornalista high-tech tra l’altro co-fondatore di Wired Magazine. Dopo aver anticipato le conquiste di Google fin dal 2001 sulle pagine di un’altra quotata rivista, The Industry Standard, ora defunta, Batelle ha ampliato e approfondito l’intera questione in un libro uscito lo scorso autunno negli Stati Uniti, The Search: How Google and Its Rivals Rewrote the Rules of Business and Transformed Our Culture.
Oltre ad analizzare da vicino il fenomeno Google, il volume affronta più in generale un tema cruciale per l’uso e lo sviluppo della net culture: la ricerca online ha assunto I connotati dell’interfaccia di navigazione tipica per ogni utente, la modalità preferita per addomesticare e dare un senso a quest’oceano di conoscenza. E l’idea che si potesse usare il linguaggio naturale, dei termini comuni, per trarre senso da una simile navigazione era del tutto ignota nel 1998, quando Larry Page and Sergey Brin, neo-laureati in computer science a Stanford, stesero i primi algoritmi del successo.
Da allora la parabola di Google si è rivelata inarrestabile, e ormai sulle sue gesta è stato scritto tutto e il contrario di tutto. Non c’è giorno che finanche grosse testate tradizionali, quali New York Times o Wall Street Journal, non se ne occupino per qualche motivo. Mentre l’attenzione continua a salire dopo l’ultimo colpo messo a segno sul finire del 2005, l’acquisizione del 5% di azioni in AOL Time Warner per un miliardo di dollari. Eppure, eppure…. lo stesso Battelle nel suo libro non manca di mettere in guardia su quel che definisce «treno della fantasia digitale» voluto e guidato da Google, quasi a presagire un’inversione di tendenza nel modello imposto del search engine. E nell’intervista suggerisce che la sua tecnologia non sia poi così imbattibile come una volta. Ancora, sono davvero infondati i timori diffusi di un’imminente “favoreggiamento” di materiali (inclusi banner e annunci vari) in qualche modo relativi dall’ampio network AOL nei risultati delle ricerche su Google? O anche della possibile fusione in stile monopolio tra il popolare AOL Instant Messenger e il nascente Google Talk?
In altri termini, l’affare miliardario di fine anno potrebbe tramutarsi in una sorta di boomerang, rivelandosi la punta dell’iceberg per la prossima discesa di potere e spazio per Google, percorso inevitabile nella storia della Rete (lo ha dimostrato la stessa AOL). Ancora più preoccupante, sia per i singoli utenti sia per un’industria basata sulla massima diversificazione, ciò potrebbe significare un mutamento di policy sempre più teso dell’estrema commercializzazione e al marketing — onde (tentare di) imporre uno scenario da monopolio business-culturale che la stessa creatura internet ci aveva insegnato essere un modello oramai obsoleto.
«Le novità per gli utenti saranno alquanto minime, soprattutto rispetto all’esperienza-base che hanno di Google,» dichiara Marissa Mayer, uno dei vice-presidenti del gigante californiano. «Qualcuno teme che i nostri risultati ora privilegeranno certi dei siti, ma non è a questo che puntiamo.» Aggiungendo nel suo blog che «…le partnership commerciali non potranno mai compromettere l’integrità o l’obiettività dei nostri risultati». Eppure lo stesso articolo di CNET dove viene citato quanto sopra, spiega che sarà lecito aspettarsi quantomeno la presenza di «inserzioni grafiche [concernenti AOL] nelle pagine delle ricerche testuali, e banner pubblicitari in quelle relative a video e immagini», mentre si prevede che Google Video «metterà in prima fila i servizi video a pagamento offerti da AOL». Al di là dei dettagli tecnici e delle dichiarazioni di facciata, rimane comunque il fatto che quest’ennesima partnership di grosso taglio continua a suscitare diffuse reazioni poco rassicuranti online, alcune delle quali analoghe a precedenti obiezioni su altre strategie intraprese dal team di Google.
Anche perché, altro aspetto da non trascurare nello scenario generale, in questi anni Google ha diffuso (e difeso) la propria immagine di azienda anti-corporation, sotto il motto “do no evil” (mai fare del male) e affermando pratiche non convenzionali, ambienti di lavoro aperti, business model imprevedibili. È tuttavia indubbio che oggi sia tra le prime società al mondo, con un valore azionario quintuplicato dopo il lancio a Wall Street dell’agosto 2004, con una crescita del 130% soltanto negli ultimi sei mesi, e un valore complessivo ormai superiore ai 120 miliardi di dollari, senza dimenticare parecchi impiegati milionari e svariati dirigenti miliardari. Altro esempio: il San Francisco Chronicle del primo giorno del 2006 apriva la pagina per gli annunci dei tech job con una breve nota in cui si leggeva che «..per sapere come sta andando Google, guardate in alto: potreste vedere uno dei suoi co-fondatori trentenni che vola nel suo Boeing 767», aggiungendo come l’azienda stia «assumendo personale come se il domani non esistesse, e si può fare domanda per una varietà di posti, da programmatore geek a chef organico.»
Un trend al rialzo che tra l’altro ha rapidamente infranto il delicato equilibrio tra venture capitalist e start-up nella Silicon Valley, con frotte di nuove aziende ansiose di ricevere i fondi di Google per le proprie tecnologie innovative. Anzi, l’andazzo pareva esattamente quello di “passare” sugli affari più grossi (tipo il ventilato acquisto di eBay) per puntare invece su promettenti start-up locali, Un’immagine che va tuttavia incrinandosi sull’onda dei crescenti dubbi e critiche fin qui descritti e, forse peggio, per via delle conseguenze ad ampio raggio che paiono emergere da mega-operazioni come quest’ultima partnership con AOL.
In gioco sembra così essere sia il futuro stesso del paradigma principale di ogni attività online, la ricerca, faccenda intimamente connessa allo sviluppo del modello Google, inclusa la sua possibile trasformazione da maggiore search engine a piattaforma centralizzata che ci guida per mano in ogni nostra azione. Riprendendo nuovamente il pensiero di Battelle: «C’è una tensione enorme quando [Google] cerca di fornire assolutamente i servizi migliori. Credo sia davvero questo che vogliono fare. Ho conosciuto così tante persone lì dentro e hanno davvero buone intenzioni. Ma per riuscirci devono costruire esattamente quei servizi di cui potrebbero avvantaggiarsi quelli che hanno cattive intenzioni. Questa è la tensione in cui devono navigare.»