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VA Linux e Red Hat alla ribalta

02 Ottobre 2000

VA Linux e Red Hat alla ribalta

di

Dal Giappone ai sistemi embedded, via San Josè

Tra la girandola di notizie che scoppiettano come sempre nel pianeta open source, stavolta partiamo dal Giappone, dove ha appena messo piede ufficialmente VA Linux, grazie a una partnership strategica con le migliori aziende locali.
La nuova sussidiaria (sotto la dicitura di VA Linux Systems Japan KK) riceve investimenti diretti da nomi quali Sumitomo, NTT Communicationware, NEC e Toshiba.
Sono già in fase avanzata le trattative per coinvolgere nel pool altri giganti high-tech nipponici: Sony e Panasonic.

Una manovra possente che punta ad acquisire la posizione di predominio nel mercato assai fragmentato di Linux in Giappone. Non a caso l’azienda statunitense (che comunque manterrà almeno il 60 per cento della nuova sussidiaria) si appresta a commercializzare l’intera linea di prodotti, a cominciare da Debian e dalla versione ritoccata di Red Hat, in attesa degli aggiustamenti al kernel imposti dal mercato nipponico.

Secondo Richard Dasher – responsabile del Technology Management Center US-Japan presso la Stanford University – si tratterebbe di un’iniziativa di portata “monumentale” e “storica”: “non credo che negli ultimi 8-10 anni sia esistita alcuna joint venture tra USA e Giappone altrettanto ben piazzata, e probabilmente non ne vedremo di simili in futuro per l’ambito informatico.”

Affermazioni eccessive? Forse. Però i numeri (e i nomi) coinvolti dicono che tale joint venture potrà contare su un capitale iniziale di 15 milioni di dollari, per lo più versati da VA Linux. Toshiba si occuperà dell’infrastruttura dell’assistenza clienti, NTT dei pacchetti applicativi e middleware, Sumitomo del marketing in ambito enterprise e NEC dei sistemi di ampie dimensioni.
Inoltre, tali società garantiscono l’implementazione di una fitta rete di relazioni locali a tutto campo, fattore certamente centrale dell’intera operazione.

Secondo Larry Augustin – navigato CEO di VA Linux – in due anni la nuova entità potrebbe smuovere un volume di affari lordo pari a 500 milioni di dollari; i primi guadagni sono previsti al termine del secondo trimestre fiscale, fine gennaio 2001.
Da notare inoltre come gli esperti stimino le potenzialità del mercato Linux giapponese praticamente al medesimo livello di quello made in USA. Meglio incrociare le dita e seguire da vicino.

Tornando in terra statunitense, o meglio a Wall Street, una piccola sorpresa arriva dai bilanci aziendali più recenti diffusi da Corel. Secondo i dati del trimestre fiscale chiusosi il 31 agosto, le perdite sono state “solo” (da prendere, quindi, sempre in termini relativi) di 15 cent ad azione, mentre gli analisti prevedevano una scivolata di almeno 28 cent al pezzo.

Nonostante la mancata fusione con Borland, i mega-licenziamenti di oltre 300 impiegati e le nette perdite di mercato, pare che la società canadese possa seriamente riprendersi grazie al nuovo management, con a capo Derek Burney che ha sostituito come CEO e presidente, per ora ad interim, il co-fondatore Michael Cowpland.

Le entrate complessive hanno superato di poco i 36 milioni di dollari, la metà di quelle registrate nel medesimo periodo dello scorso anno, mentre le perdite totali nei primi nove mesi del 2000 ora assommano alla bella cifra di 46,8 milioni di dollari.
I dirigenti dell’azienda hanno imputato almeno parzialmente al periodo estivo ed alla debolezza dell’Euro rispetto al biglietto verde, la scarsa penetrazione in Europa, con incassi di 5,8 milioni di dollari a fronte dei 14,7 toccati del 1999 (in Nord America il totale delle vendite è sui 26 milioni di dollari).

È poi vero che quest’anno Corel non ha lanciato alcun nuovo prodotto Windows, nè lo farà per i prossimi mesi, e finora la strategia Linux, su cui si è puntato molto, ha prodotto risultati mediocri: vendite per 1,26 milioni per il trimestre in oggetto, oltre un milione di dollari in meno relativamente al periodo precedente. Confermato comunque l’impegno di Corel verso i fan mondiali del pinguino.

Sul fronte sempre caldo dei sistemi “embedded”, Motorola ha ampliato la quota d’investimento in Lineo, pur non versando alcun quattrino nella casse di quest’ultima. Il motivo è che apprestandosi a lanciare la propria IPO (initial public offering) in Borsa, Lineo ha deciso di chiudere i cordoni fino a cosa fatta, e quindi Motorola ha dovuto acquistare 3 milioni di titoli (per un valore totale superiore ai 22 milioni di dollari) dal Canopy Group ed altri investitori iniziali in Lineo.

Al di là delle cifre, la manovra conferma l’interesse dei grossi nomi per l’accoppiata embedded-Linux. Lineo si assesta ai primi posti in un settore che va già ingolfandosi e che include società quali LynuxWorks, MontaVista, Applied Data Systems, Coollogic, Red Hat e TimeSys.
Senza dimenticare la scarica di annunci ad hoc partiti dalla Embedded Systems Conference appena conclusasi in quel di San José, California.

La stessa Lineo ha presentato la partnership con il gigante coreano Samsung per portare Linux in quel paese, grazie soprattutto all’offerta di servizi di programmazione alla stessa Samsung e ad altre aziende informatiche locali.
MontaVista ha annunciato che la nuova versione di Hard Hat, con Linux embedded, funzionerà anche con i chip NEC impiegati in dispositivi portatili e manuali, macchine per network ed apparecchi vari.

Applied Data Systems ha presentato l’ultimo gioiello, un computerino chiamato “Bitsy” (dimensione 9 per 12 centimetri) che usa il chip StrongARM di Intel e che può girare su una varietà di sistemi operativi: Windows CE, l’OS-9 di Microware e VxWorks di Wind River Systems ed anche ovviamente su Linux.

Nel corso delle stesso evento, infine, Red Hat, oltre al lancio del proprio Network con tanto di sito e opzioni ad hoc, ha messo sul tappeto un programma di sottoscrizioni per i servizi embedded.
Ulteriori iniziative, queste, atte ad ampliare e diversificare il proprio business model, ma che hanno incontrato non poche critiche nella medesima comunità open source.

Ne parleremo meglio prossimamente, ricordando in chiusura che Red Hat prevede quanto prima di usare per i dispositivi embedded un sistema operativo noto come Ecos che verrà utilizzato in quegli apparecchi che devono rispondere a determinati comandi in periodi di tempo prefissati.
Cosa che nell’industria viene definita “tempo reale”. In ogni caso, quando i programmatori realizzano del software conforme allo standard di Red Hat chiamato Elix, Ecos agisce in maniera identica a Linux.

E come aggiunge Paul McNamara – uno dei vicepresidenti del maggior distributore Linux – “Ecos diverrà la componente in tempo reale di Red Hat Linux”.

Per ulteriori informazioni:
http://www.lineo.com/

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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