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Usability: i dieci piani di morbidezza di Nielsen

25 Gennaio 2002

Usability: i dieci piani di morbidezza di Nielsen

di

È a partire dalle recenti discussioni che torno a scrivere su quest'argomento. Dico "torno" perché la lettura del libro di Nielsen mi aveva così provocato, che non avevo potuto evitare di cimentarmici mesi fa, alla sua uscita

La mia povera “europeità” mi aveva reso prolisso per il ben noto vizio di argomentare che caratterizza questi accademici retrò e inattuali e così mi ero censurato da solo. Avevo motivato la mia pigrizia a tradurre in lapidario linguaggio Web quelle idee facendo come la volpe che accusava l’uva di essere acerba, mentre io mi dicevo: “Ma tanto a chi può interessare?” Leggere oggi articoli e conoscere siti dedicati all’argomento mi spinge a riprovarci cercando di rispettare quel lessico Web a discapito dell’argomentazione.

Da che parte sto? Dico che questa cosa è vecchia e fino a ieri faceva parte delle manie onanistiche di non-tecnici politicamente inappropriati. Oggi, il fatto che la dica un ingegnere americano la fa assurgere a nuova disciplina. E questo passando per l’affermazione di normative tecniche.

Perché Nielsen ci voleva

Innanzitutto, quindi, sottolineare l’importanza di Nielsen nel dibattito sul metodo nel Web è d’obbligo. Molti dei suoi richiami al buon senso, alla trasparenza e all’attenzione all’utilizzatore li ritroviamo in altri autori e in particolare nel non così letto Donald Norman, laddove questo si occupava ieri di progettazione dell’interfaccia nel design tecnico e oggi dell’apprendimento a distanza. Allora accusava designer e tecnici di seguire i propri canoni di qualità disinteressandosi delle caratteristiche dell’utilizzatore, che è innanzitutto una persona umana, dotata di una propria razionalità.

“Non è la persona che deve pensare come fa comodo al tecnico, ma piuttosto il contrario”.

Lo stesso, dice Nielsen, vale per la progettazione del Web. Quanti siti sono pensati per soddisfare il designer o per sedurre il cliente con effetti speciali! Occorreva proprio qualcuno che dicesse “basta” e che affermasse i diritti dell’utilizzatore. Nielsen, bene o male, questo è riuscito a farlo e, soprattutto, è riuscito a farsi sentire. Non ancora abbastanza, visto che quelli che progettano siti ancora cercano supertecnici della programmazione e ben pochi (o quasi per nulla) metodologi dell’utilizzo. Meno ancora è riuscito Norman, visto che nell’e-learning, sempre più, si pone l’accento sulle tecnologie delle piattaforme a dispetto delle logiche dello studente e delle sue motivazioni umane.

Perché Nielsen fa male

Il fatto è che Nielsen ha 2 gravi difetti:

  • È americano
  • È un ingegnere

In quanto yankee,

  • ha l’ossessione del business, una mania che ha contagiato il mondo. Prima della New Economy in Europa esistevano le imprese, le organizzazioni, le istituzioni, i governi, il bello, la cultura. Oggi ci sono le start-up e il business. Non è che non si sapesse che il denaro fa girare il mondo, ma si pensava che questo fosse un mezzo e non il fine. Semmai l’obiettivo era vivere meglio, poi c’erano i valori, la riuscita personale, gli affetti. Gran parte del World Wide Web è fatto di risorse non-business-driven. Inoltre, il mercato all’americana lo stanno pagando tutti quelli che hanno investito in borsa credendo al mito della New Economy facile. La Web New Economy di Nielsen propone di sostituire i criteri Tecnical Driven con un Business Driven vestito di technicality. Qual è la soluzione migliore? Una scelta ardua!
  • ha la mania della norma, della standardizzazione. “Ci sono due modi per fare le cose – per parafrasare un vecchio film, Mac – quello giusto e quello sbagliato”. E il modo degli americani e quello giusto sono la stessa cosa. Ci sono i buoni (gli americani) e Dio, come dice Gaber, fa il tifo per loro; e poi ci sono i corrotti che stanno con Lucifero. Non importa se si hanno più famiglie che lavori nel proprio curriculum e che si viva con la più materialistica logica di consumo: l’importante è essere sposati (forse anche Dio è un pluridivorziato, ma con la Madonna ha un regolare contratto di matrimonio). È la caricatura della logica protestante: anche Lutero, d’altronde, aveva finito per diventare più repressivo e rigido del contestato Papa. È facendo così che gli americani hanno colonizzato il vecchio continente e i paesi “emergenti” (Seattle People insegna).

Non dimentichiamo che, con tutti gli indiscussi meriti della controcultura statunitense da cui hanno tratto origine le reti e le comunità virtuali, quello che ha reso il web un fenomeno internazionale, al punto che quando i più parlano di Internet intendono WWW, è la metafora di rete come ipertesto pubblico, nata a Ginevra da un inglese, proprio come l’informatica è nata da europei scappati negli USA. I primi siti erano semplici, spogli, ma orientati alla comunicazione e alla cultura democratica. Oggi i “portali” sono pieni di informazioni inutili e di pubblicità “clicca e getta” e soprattutto sono tutti più o meno uguali, tutti attenti a seguire il modello dei portali americani. Quello che domina è la legge delle impression. I contenuti fanno peso: non importa cosa scrivi, l’importante è che si faccia grasso. E secondo loro la gente legge veramente! E se ieri dovevamo stare all’ultima moda dell’imbellettamento grafico dei siti, oggi dovremmo credere che i siti debbano per forza seguire i rigidi precetti della Usability di Nielsen?

In quanto ingegnere, Nielsen

  • è refrattario al “superfluo”: l’unica estetica buona è quella morta. Non a caso viene dal mondo UNIX, i cui epigoni per scrivere una lettera tendono a farsi un programmino di word processing usa e getta e sono soliti considerare l’interfaccia grafica la madre di tutte le corruzioni. Proprio come gli americani, la mentalità tecnica è manichea: c’è un giusto -il nostro- e uno sbagliato -quello degli altri. E visto che già gli americani sono così, cosa aspettarsi da un ingegnere americano? La visione del business per un ingegnere americano come Nielsen non è orientata al cliente o alla persona, ma è technical driven. Il mercato deve seguire le logiche dei costruttori: l’altra faccia della medaglia rispetto ai designer tanto criticati dall’amico Norman che fa la volpe dove il primo è gatto. Un gatto da 10 milioni all’ora! Per cifre di questo tipo si può tranquillamente asserire che fra una caffettiera da masochista e una ben progettata la differenza sta nel guanto d’amianto offerto in bundle.
  • ha la presunzione di oggettività. Calcola, fa statistiche, certifica e riesce a diventare ricco in questo modo. D’altronde nella New Economy, o diventi ricco subito e poi scappi, o passi il tempo a pagare debiti o finisci a vivere nella metropolitana. Pensate a quanta gente ha mangiato sul mito della Qualità Totale! Si trattava di un modello organizzativo importato dagli USA ma compreso e sviluppato solo in Giappone, dove peraltro ha funzionato benissimo. L’Occidente allora l’ha reimportato facendo fare un ottimo affare al Sol Levante, ma soprattutto a schiere di consulenti. Qui si è poi trasformato in un clamoroso flop che ha trascinato nel baratro anche potentati come Crysler. Si trattava di un metodo per canalizzare creatività, innovazione e servizio di cui è sopravvissuto un vincolo istituzionale, noto come certificazione normativa della qualità: la “norma” degli ingegneri figlia degenere e reazionaria della flessibilità creativa dell’arte manageriale della QT. Le ISO 9000 e derivati hanno distrutto una volta per tutte la Qualità attraverso il suo opposto: la standardizzazione normativa.

Quale altra idea di Usability

E alla fine proprio questo è il punto principale: la teoria e la tecnica della Usability altro non sono che il neppure nascosto tentativo di introdurre nel mondo del Web il business delle norme ISO di Internet. Il Web di Nielsen è il corrispettivo del SAP in azienda: fa arricchire i consulenti, abitua la gente a smettere di pensare, appiattisce tutti allo stesso prodotto e quindi abbassa innovazione e competitività; convince tutti (quelli che hanno soldi da buttare) che la gente e le società che contano non possono fare diversamente e, così facendo, prepara la fortuna di… chi non lo usa.

E allora meglio le sbronze dei creativi!

Nielsen e i nielseniani della Usability non hanno in mano nessuna panacea del successo dei loro siti, tanto che le prime versioni del sito del guru sono tanto spartane e imbricate rispetto al modo di ragionare delle persone che ci dovevi perdere un po’ di tempo prima di evincere il comportamento adeguato a quell’architettura. E qui salta fuori quello che i nielseniani nascondono: non basta infatti essere progettisti nielseniani, bisogna insegnare agli utilizzatori a diventare topolini dei laboratori nielseniani. Già, perché se un americano e un ingegnere dice che quei problemi sono chiodi, bisognerà insegnare alla gente a pensare tutti con il martello.

Il soggettivismo secondo l’ingegnere statunitense è un nemico non solo quand’è praticato dal designer, ma anche quando è adottato dal navigatore:
“Pensa un po’ se adesso dovessimo fare un sito diverso a seconda di come si sveglia uno la mattina!?”
Eppure è proprio questo che tutti noi vorremmo ed è questo che speravamo di ricevere dai tanti portali in circolazione che ce ne facevano promessa. E invece no! Standardizzazione e replica delle stesse cose! Si comincia rapidamente a fare strada che il content management dell’informazione ha stancato e non interessa più a nessuno di noi saturati e inquinati dall’information overload.
Basta con le news!

Vogliamo l’arredamento d’interni; vogliamo una casa in cui vivere che si adatti all’ambiente e ai nostri bisogni e non tanti Holliday Inn: quelli vanno bene solo se fai il turista mordi e fuggi per cui ogni pertugio è porto. Internet sta passando dall’illusione della globalità planetaria all’agio del rione del cuore: il ritorno al Virtual Village non più globale, ma solo interconnesso e che da questa interconnessione trae gli strumenti per ottenere habitat assolutamente personali, specifici, peculiari e anche superflui, ma mai standardizzati e appiattiti. Ci ha provato la TV con il Grande Fratello ma, esaurito l’investimento per il lavaggio del cervello del consumatore, l’idea si è subito spenta.

Allora dobbiamo rassegnarci a non avere nulla da dire sul metodo per la progettazione dell’interfaccia umano del web? No, non è così.

  • Innanzitutto Nielsen e prima di lui lo psicologo Norman hanno aperto una strada che rimane un buon punto di partenza, a patto di abbandonare il più in fretta possibile la stazione a cui sono arrivati.
  • Bisogna capire che la progettazione dell’interfaccia umano è un mestiere da umanisti come architetti, psicologi, urbanisti e non da ingegneri, uomini del marketing o informatici e meno che mai da statistici!
  • e che i modelli metodologici sono strumenti del mestiere per epistemologi e non per tecnici o idraulici.
  • Gli epistemologi poi ci insegnano che “il modo giusto” è uno e molti nello stesso tempo: il metodo costruttivista della coerenza fra finalità, obiettivi e target. Quanto più omogeneo sarà il prodotto in queste tre componenti e tanto più sarà riuscito. Basta con il Flash a tutti i costi, a morte gli ASP che non funzionano e non servono (il 90%!), ma anche via dai minacciosi e lugubri istitutori luterani della Usability monocromatica a una dimensione.

La verticalizzazione delle interfaccia e l’inversione del processo di design, fornendo al cliente gli strumenti per una costruzione rapida e assistita, sono le vie per il web dal volto umano.

Basta con il web-centrismo: pensiamo in termini di comunità, rendiamole palpabili, facciamo parlare la gente, rendiamo la persona umana protagonista, invece che una variabile dipendente.
Anche se messaggi simili diversamente formulati li troviamo – fra l’altro- negli ultimi scritti del primo guru dell’architettura Web, Siegel, è ora di farla finita coi guru e di iniziare a pensare ad altro. Recitava la beat generation: se trovi un Buddha per strada, uccidilo!”. Smettiamola di spendere un sacco di soldi in software e consulenti ed iniziamo a formare e ad assumere bravi operatori del backstage, perché quello del web che si fa da solo basandosi sulla buona volontà degli utilizzatori è un mito pericoloso (recitato spesso da guru -vedi Siegel- per niente interessati) come quello che volonterosi giovani sfruttati net-slaves possano reggere il processo di affiliazione di clienti, utenti e amici alle nostre stanze virtuali: per avere dei buoni risultati lo strumento (e l’interfaccia è uno di questi) non basta. Gran parte della Internet che fa audience è solo una speculazione dei soliti vecchi pantaloni della finanza collegati da sempre ad avventure informatiche. Vestiti da pedofili futuristi costoro hanno per solo intento quello di costruire la fortuna di gruppi di investimento collegati alle solite lobby che entrano per illudere ottimisti -per scelta o per forza- ed escono per derubare gli illusi -dentro e fuori la start-up.

Per fare sì che la nostra iniziativa, sito o comunità che sia, inviti e trattenga le persone, occorre che ti faccia percepire dietro qualcuno che pensa a te che sia una mente, un cuore e una volontà disposta a credere in te e in ciò che fa e che veda in tutto questo un futuro per sé e per tutta la gente del mondo.

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