È la seconda volta che la Corte Suprema si dedica alla legge del 1998 – che non è mai entrata in vigore – per la protezione dell’infanzia online, il Child Online Protection Act, senza pronunciare una sentenze definitiva.
La legge per la protezione dell’infanzia impone ai gestori di siti Internet a contenuto pornografico di richiedere l’utilizzo della carta di credito o di codici d’accesso riservati agli adulti, unitamente e identificativi numerici personali, per tenere lontani i minori. I contravventori sarebbero puniti con sei mesi di prigione e con ammende fino a 50.000 dollari al giorno.
Uno dei giudici che hanno votato il rinvio, Anthony Kennedy, ha sottolineato che gli elementi sui quali si fonda la legge sono datati e che le tecnologie relative a Internet e il contesto legislativo sono notevolmente differenti. Il dossier è stato quindi rinviato a un giudice federale di Filadelfia perché si pronunci sull’evoluzione delle tecnologie e della legislazione, dall’adozione del Child Online Protection Act a oggi.
Il giudice della Corte Suprema ha anche ricordato che il Congresso aveva adottato altre due leggi, molto meno restrittive e più efficaci rispetto a quella del 1998. Una proibisce l’impiego di indirizzi Internet ingannevoli, mentre l’altra ha istituito i nomi di dominio “kids”.
Kennedy ha inoltre ricordato che una commissione istituita dal Congresso ha concluso che i software che bloccano o filtrano i contenuti sono un’alternativa meno restrittiva di questa legge; in grado comunque di proibire l’accesso dei più giovani a contenuti online di dubbia moralità. Il governo potrebbe, inoltre, rafforzare ulteriormente la legislazione in materia di oscenità.
Il Child Online Protection Act è stato vivamente criticato soprattutto dagli editori di riviste online, dai librai e da un gruppo di difesa delle libertà civili, l’American Civil Liberties Union (ACLU). “Il giudizio espresso dalla Corte Suprema dimostra che ci sono molte soluzioni meno restrittive, che non sacrificano le libertà costituzionali, per la protezione dei bambini”, ha dichiarato Ann Beeson dell’ACLU.
Un portavoce del ministero della Giustizia, di parere completamente opposto, si è invece mostrato preoccupato per il fatto che la Corte “si sia ancora una volta opposta a misure di buon senso, che mirano a proteggere i giovani americani. Il dipartimento continuerà a proteggere i bambini dai predatori pericolosi che agiscono nell’ombra del World Wide Web”, ha dichiarato in un comunicato.