Una storia recente riguarda il modo in cui la disponibilità di dati influenza i processi che stanno intorno non solo a come una storia viene raccontata, ma anche alle reazioni e alle conseguenze che essa provoca.
L’8 febbraio sul New York Times (NYT), John M. Broder stronca la Tesla S durante una prova su strada. La Tesla S è un’automobile elettrica molto bella da vedere e avanzata tecnologicamente, accolta nel 2012 con reazioni generalmente molto buone.
Broder racconta tra l’altro di essere stato costretto a terminare la prova con l’automobile caricata su un carro attrezzi: la macchina ha terminato le riserve di energia prima che lui fosse in grado di rifornirsi.
A Broder risponde Elon Musk – amministratore delegato di Tesla – con un post in cui lo contraddice mostrando i dati registrati dal veicolo utilizzato per il test: dati che nell’interpretazione di Musk raccontano comportamenti quantomeno anomali tenuti dal giornalista durante la prova.
La tesi di Musk è chiara: Broder ha guidato in modo da influenzare il risultato, con lo scopo di compromettere l’immagine dell’azienda in particolare e delle automobili elettriche in generale. Ovviamente è giallo, ma il caso esiste e la storia è complicata. Forse Broder si è comportato scorrettamente – per ragioni ideologiche, diciamo – o forse Tesla ha falsificato i dati per salvare la faccia.
Una prima considerazione: in questa sede – come fa notare anche Marco Arment – Tesla si comporta a tutti gli effetti come una media company: assume a sé la gestione delle pubbliche relazioni attraverso uno strumento ad un tempo semplice e potente – il proprio blog aziendale – taglia fuori eventuali intermediari e mette in discussione direttamente la correttezza del NYT. Come lei in futuro potranno fare altre aziende.
A questo punto interviene il public editor del NYT, Margaret Sullivan:
L’articolo di Broder è stato certamente negativo per Tesla. E gli argomenti portati da Musk sono devestanti per qualunque giornalista.
Rebecca Greenfield segue la vicenda e ne scrive su The Atlantic Wire. In un lungo articolo smonta la tesi di Musk – e quindi la linea di difesa di Tesla – utilizzandone gli stessi dati. Mentre scrivo, l’articolo di Greenfield ha 357 commenti. Molti di questi però – scrive Sullivan – contraddicono l’interpretazione dei dati proposta da Greenfield.
Broder ha intanto pubblicato la sua risposta a Musk, che continua a essere irreperibile. Ecco cosa vorrebbe chiedergli Margaret Sullivan:
Ho intenzione di chiedergli di rilasciare completamente e “open source” i registri di guida, insieme a qualsiasi altro dato che possa essere necessario per una migliore comprensione e interpretazione.
L’esperienza di Broder raccontata sul NYT è contraddetta dall’interpretazione dei dati registrati nel log, diffusamente dibattuta online. Gli stessi dati vengono utilizzati per confutare la tesi di Tesla e la stessa confutazione viene respinta dai commentatori, che ritengono più aderente alla realtà l’analisi fatta dall’azienda. Resta una sola soluzione, chiesta e finora non ottenuta: dati aperti, per fare chiarezza.