L’accoppiata tra guerra e Internet non è certo cosa nuova, considerando lo scenario globale creatosi negli ultimi tre anni. Eppure la recente notizia in arrivo dal Pentagono desta certamente preoccupazione. I militari USA si avviano a realizzare una Internet a loro riservata, il “world wide web per le guerre del futuro”. Obiettivo dichiarato: fornire ai battaglioni americani stanziati in qualsiasi parte del globo la posizione di tutte le truppe nemiche. Un network sempre attivo e ipersicuro denominato Global Information Grid (GIG).
Questa “Internet in cielo,” nella definizione data al Congresso da Peter Teets, sottosegretario dell’Air Force, consentirebbe a dei “marine dislocati in una terra lontana, nel mezzo di un uragano, di aprire i laptop, richiedere delle immagini e farne il download di giro di pochi secondi.” Ciò grazie a una rete di satelliti spia connessi tramite dei ‘networked computer’ che diventeranno l’arma più potente dell’intero arsenale. Meglio, la sagace combinazione tra armamenti, servizi segreti e militari sul campo per arrivare alla “net-centric warfare”, qualcosa che trasformerà in maniera radicale la struttura militare così come Internet ha modificato la cultura e il business. Almeno nell’intenzione di Mr. Rumsfeld: “Probabilmente l’elemento singolo che potrà trasformare la nostra forza non sarà il sistema di armamenti, ma una catena di interconnessioni”.
Concepito sei anni addietro, il progetto ha preso concreto avvio appena un paio di mesi fa, e per essere completato richiederà fino a due decenni oltre alle solite centinaia di miliardi di dollari. Denaro sonante che fa ovviamente gola ai numerosi contractor che da sempre lucrano alla grande nell’arena militare, ancor più dopo l’escalation bellica post 11/9. Ecco allora che Robert J. Stevens, CEO della notoria Lockheed Martin Corporation, si lancia a prevedere “una Internet altamente sicura in cui fondere le attività militari e di intelligence”, dove ciascun sergente avrà a disposizione “l’istantanea dell’intero campo di battaglia, una visione dall’occhio di Dio”.
Sul fronte opposto, meno che tiepidi i commenti dell’ala tradizionalista del lo stesso Dipartimento della Difesa: la ‘net-centric warfare’ non sarebbe altro che un costoso capriccio. E come dimostrano le odierne battaglie nelle strade di Falluja e Baghdad, servono assai più munizioni e carri armati che fibre ottiche e comunicazioni wireless. Invece Vint Cerf, uno dei padri dell’attuale Internet e consulente del Pentagono, si chiede se questo sogno abbia senso: “Dovremmo comprendere che si tratta di una visione e non di allucinazione… non c’è nulla di sbagliato nel porsi mete ambiziose, solo che poi queste vanno temperate dalle leggi della fisica e della realtà”. Mentre altri esperti rammentano il maggiore ostacolo che si frappone sempre davanti a simili mega-progetti: la burocrazia. Per decenni, ciascuna divisione dell’esercito USA (Army, Navy, Air Force, Marines) ha messo a punto armamenti e tradizioni proprie. Il network proposto dovrebbe superare tutta una serie di specificità, di sovrapposizioni decisionali e rancori reciproci, e non è certo roba da poco.
Va comunque tenuto a mente che una quarantina di anni fa proprio i ricercatori e gli ingegneri del Pentagono gettarono le basi rudimentali dell’odierna rete delle reti telematiche, e durante la guerra fredda la potenza di quei primi network anticipò di gran lunga il successivo sviluppo nel resto del mondo. In seguito la successiva ondata commerciale di Internet ha sepolto o quasi le velleità dei servizi militari e di intelligence nel settore. Motivo per cui adesso, aggiunge Vint Cerf, quest’idea della ‘war net’ si pone come “tentativo di recuperare il terreno perduto”. Tentativo che ha preso corpo con una certa lentezza a partire dal 1999, quando i responsabili della Difesa informarono il Congresso che “questo compito monumentale richiederà un quarto di secolo o anche più”. E i cui dettagli sono stati chiariti solo la scorsa estate in un apposito rapporto stilato dal Government Accountability Office. Dove si legge tra l’altro che i nuovi satelliti e armamenti da miliardi di dollari “dipendono in maniera critica dal futuro network” e il Pentagono “punta sul GIG per attivare la completa trasformazione del modo in cui vengono condotte le operazioni militari”.
Uno dei problemi cruciali rimane l’ampiezza di banda. Quella necessaria per concretizzare il tutto sembra essere una disponibilità pari a 40-50 volte superiore alle massime capacità avute finora, all’inizio della guerra in Iraq. Ma secondo un’analisi del Congressional Research Service, nonostante la Army preveda un budget di 20 miliardi di dollari per affrontare solo questo problema, il risultato finale potrebbe essere un decimo dell’ampiezza di banda necessaria. Mentre nei prossimi cinque anni è già prevista una spesa di altri 24 miliardi per costruire le nuove connessioni da usare nella futura ‘war net’.
Al tutto va infine aggiunto che il nodo forse più grosso rimane, appunto, quello della unificazione dei vari servizi coinvolti, e delle relative culture, oggi ben distinte tra loro a ogni livello. La visione di Rumsfeld poggia sul massimo grado di inter-operabilità, e quindi sulla fluida scomparsa di differenze operativo-gestionali tra intelligence, esercito, marina, aviazione e altre divisioni. Tuttavia, ribadisce Tony Montemarano, dirigente della Defense Information Security Agency, “l’ostacolo maggiore è quello culturale: aprire quelle scatole chiuse è un compito immane.”
Gira e rigira, rieccoci insomma all’ennesima riproposizione delle Star Wars futuriste. Con tutte le problematiche che ciò va sollevando oggi, soprattutto rispetto agli occhi del mondo intero. Meglio non far passare la notizia, e i successivi sviluppi, sotto il radar dell’attenzione generale.