La buona notizia è che la proposta di direttiva europea sul copyright è stata respinta. Quella cattiva riguarda più in generale un’Europa che non riesce a intervenire con saggezza e comprensione delle problematiche in gioco.
Su Apogeonline abbiamo seguito l’evolversi della direttiva dall’inizio, quando aveva suscitato speranze il rapporto di Julia Reda, l’europarlamentare del Partito pirata. Finalmente una politica in grado di capire, oltre l’evidente necessità di rivisitare la più che obsoleta normativa sul diritto di copia, anche le complessità di studiarne una più adeguata al digitale e alla rete.
Great success: Your protests have worked! The European Parliament has sent the copyright law back to the drawing board. All MEPs will get to vote on #uploadfilters and the #linktax September 10–13. Now let's keep up the pressure to make sure we #SaveYourInternet! pic.twitter.com/VwqAgH0Xs5
— Julia Reda (@Senficon) July 5, 2018
Culturalmente problematica
Purtroppo non è bastato e, come ha scritto Simone Aliprandi a più riprese, la bozza di direttiva è rimasta sufficientemente imperfetta e incompleta da meritarsi la bocciatura. È stato ignorato, per esempio, il tema della libertà di panorama; nel contempo i famigerati articoli 11 e 13 hanno probabilmente costituito assalti al buonsenso e alla logica troppo aggressivi per poter passare, persino in una sede culturalmente problematica in questo senso come la commissione dell’Europarlamento che ha portato il documento ai voti. Questo nonostante una normativa che complessivamente aveva anche lati positivi.
L’articolo 11 era uno dei due punti critici principali, ruotando attorno al principio che linkare materiale protetto da copyright possa prevedere corresponsione di diritti d’autore. Niente di rivoluzionario perché l’idea di remunerare l’autore attraverso la struttura ipertestuale era già nel progetto Xanadu, concepito molto prima del web; tuttavia le ambiguità della formulazione hanno permesso ai contrari di definirla link tax e di sollevare questioni preoccupanti sulla libertà generale di linkare.
Libertà via lobby
Peggio ancora, la norma creava figli e figliastri. Le enciclopedie online, per esempio, erano esenti dall’obbligo. Wikipedia italiana ha oscurato le proprie pagine per protesta e si è sentita rispondere dall’Europa di non preoccuparsi, che la direttiva non la riguardava. Il problema è che altri soggetti si sono visti penalizzati rispetto ai pochi privilegiati in grado di pagarsi i lobbisti necessari a Bruxelles.
We respect the decision by MEPs to have a plenary discussion on the draft Copyright Directive. We will work with MEPs over the next weeks to explain how the proposed Directive will benefit not just European creativity, but also internet users and the technology sector
— bpi music (@bpi_music) July 5, 2018
L’articolo 13 è ancora più problematico, nel prescrivere che chiunque pubblichi contenuti altrui disponga di un filtro per escludere ciò che non ha un permesso di essere pubblicato. Anche qui l’intento è lodevole, proteggere l’opera dell’ingegno dall’utilizzo indebito. Nel contempo, servirebbe una infrastruttura che solo i Facebook o i Google possono pensare di attrezzare; tutti gli altri, i blogger, le piccole imprese, le startup, non avrebbero possibilità. A meno di non delegare il compito a una infrastruttura esterna, con il rischio di creare un altro centro di potere accanto a quelli esistenti, e sempre esposti al rischio di pagare per un eventuale errore compiuto da terzi.
If #Article13 passes it will change the way that the Internet works, from free and creative sharing, to one where anything can be instantly removed, by computers. #CensorshipMachine https://t.co/QgcUmCabEH pic.twitter.com/UOIZwxRFWh
— Open Rights Group (@OpenRightsGroup) June 28, 2018
E intanto temi come la libertà di panorama, concreti e di rilevanza generale, sono stati ignorati.
(di nuovo) al lavoro
È persino noioso ribadire che le norme sul copyright in vigore oggi non riescono a regolare le interazioni sul mondo digitale. Secca che per l’ennesima volta la politica sia stata incapace di rappresentare adeguatamente tutte le istanze, non solo quelle delle major o dei grandi gruppi editoriali a caccia di un’idea facile per risolvere i propri problemi a spese di altri.
Qualunque riforma del copyright deve avere il vincolo di preservare lo spirito di apertura e di condivisione da cui Tim Berners-Lee ha concepito il web. Sir Tim oggi è preoccupato delle derive che ha preso la sua creatura. Ma certo non pensa di risolverle con censura, burocrazia o scarico di responsabilità sulle spalle di chi non è in grado di sostenerla, a spese della libertà di espressione e di comunicazione. Ed è in buona compagnia.
Si ritorni al tavolo di progetto, con proposte migliori (interessante, per esempio, quella dell’associazione Copernicani) e più adeguate al valore della rete, capaci di portare ulteriore valore invece che falciare i piccoli interessi su insistenza di quelli grandi. #fixcopyright, purché insieme a #savethelink.