I videogiochi sono nati con gli arcade game, quelli che popolavano i bar prima dell’invasione aliena dei videopoker e oggi, come i superstiti umani rimasti in un film di zombi di Romero, si asserragliano nelle ultime sale giochi rimaste, le ridotte dei multisala e degli stabilimenti balneari.
Sono un altro esempio di cultura – pop, naturalmente, ma sempre cultura – digitale che si voleva effimera e invece rimane; di contenuti che dovevano essere volatili, ma grazie alla replicabilità e si direbbe alla passione di chi vi è rimasto affezionato, permangono. Un esempio? Si svolgono tuttora campionati di Donkey Kong:
Dopo tre giorni a saltare barili, Jeff Willms di Waterloo nell’Ontario si è aggiudicato la vittoria in Kong Off 3, il campionato del mondo di Donkey Kong. Con un punteggio finale di 1.096.200, Wilms ha battuto per soli 29.100 punti Ross Benziger di Portland, Oregon.
Punteggio alto, ma non sufficiente a battere il record del mondo di 1.138.600 punti detenuto da Hank Chien di New York. Competizione a parte, fa specie constatare che la maggior parte dei migliori punteggi di sempre sia stata conseguita negli ultimissimi anni, per un gioco che certo continua a evolvere ma la cui edizione originale data al 1981. Coevo del PC IBM, tre anni prima di Macintosh. Il vincitore di quest’anno, più che un ragazzino introverso, è un adulto, scacchista, che si è avvicinato a questo “sport” attraverso l’emulatore MAME.
Perfino la scalata del manovale Mario verso la liberazione di Pauline è diventato cultura, una parola che significa anche tradizione, memoria collettiva. Durante la sagra di Donkey Kong sono stati battuti diversi record mondiali, tra gli altri su Super Puzzle Fighter II Turbo e Ms. Pac-Man Turbo. David Cruz ha giocato anche una partita perfetta di Pac-Mac, quella che raggiunge il duecentocinquantaseiesimo livello e i 3.333.360 punti e poi deve fermarsi a causa di un bug nel software.
Come tutte le culture degne di questo nome, i videogiochi hanno anche il loro totem.