Si chiede Joe Wikert, in un articolo di qualche giorno fa:
What if publishers launched their own uber-ebookstore and owned it outright?
Il negozio di cui parla Wikert dovrebbe avere alcune caratteristiche essenziali, di cui si è parlato spesso negli ultimi mesi: agency model (dove sono gli editori a stabilire i prezzi), ripartizione 70/30 dei profitti, abbandono del DRM.
Un cosa simile è stata detta da Ricky Cavallero, direttore generale libri trade Mondadori, lo scorso 21 giugno, a Editech:
Cavallero a #editech: il momento in cui ci sarà una piattaforma aperta sarà un buon momento per gli editori
— roncaglia (@roncaglia) Giugno 21, 2012
Al di là dei dubbi sulla gestione operativa di una piattaforma comune – di un negozio – frutto del lavoro (e dell’impegno economico) congiunto di molti editori (come garantire scelte strategiche che non rechino vantaggio a un socio in particolare, è il primo che mi viene in mente), restano alcune osservazioni.
Come ho scritto in un pezzo di qualche mese fa, concentrare le proprie energie nella costruzione di una piattaforma comune con lo scopo di – fondamentalmente – battere Amazon (e gli altri, i soliti) non mi sembra una strategia utile né un investimento strutturale, specialmente sul lungo periodo. Aggiungo che si tratterebbe di una resa di fatto e dello spostamento dell’obiettivo: dalla costruzione di un’industria editoriale attuale, fondata su basi solide, di cui ogni editore è parte attiva e integrante, al semplice controbattere alle mosse di un avversario che continua a guidare il gioco. Un atteggiamento di rinuncia e un’ammissione di – irrimediabile – debolezza.
Una piattaforma commerciale comune è più un tentativo di sospendere lo stato attuale delle cose per rifiatare e accumulare tempo (ancora) che un modo per prendere possesso del proprio compito, economico, industriale e culturale.
Inoltre – ed è il punto più importante – sarebbe necessario, come scrive Charles Arthur sul Guardian a proposito di RIM:
Stop developing the great-thing-before-the-last-one, and develop the next great thing.
Occuparsi di innovare, portarsi avanti, guardare con consapevolezza da qui ai prossimi cinque anni, giocare d’anticipo. Senza aspettare che siano altri a dettare – ancora – le regole al posto nostro.