Ha chiuso ieri a Bologna il primo Futurshow dalla strage dell’11 settembre. Aperto giovedi’ 18 aprile all’insegna del ricordo per le vittime dell’attentato terroristico alle Twin Towers di New York, proprio dalla Grande Mela giunge la testimonianza di Lucio Caputo, uno degli italiani che nel giorno dell’attentato si trovava al 78° piano della seconda torre. L’edizione di quest’anno è dedicata agli eroi, nella vita e nell’immaginario collettivo.
Il clima di insicurezza, rievocato nella sala durante la conferenza di apertura moderata da Enrico Mentana, è fatalmente riapparso quando nel pomeriggio giunge la notizia del Pirellone in fiamme; gli sguardi attoniti per un attimo si ricollegano alle testimonianze della mattinata, riaffiora nei pensieri lo spettro del terrorismo. Con il susseguirsi delle notizie, gli animi si rasserenano.
La kermesse sapientemente organizzata da Claudio Sabatini, mantiene le promesse attese. Dopo l’esplosione della “bolla” Internet, l’edizione riprende quota fornendo uno dei primi segnali di ripresa della Net Economy dalla primavera 2000. Tornano gli investimenti, perlomeno a giudicare dall’organizzazione degli stand.
Quest’anno, l’impostazione di Futurshow segue la logica dei percorsi tematici anche se è risultato (come per i numeri civici delle strade di Tokyo), difficile trovare velocemente gli stand desiderati. Sicuramente ciò è anche dovuto alle dimensioni ulteriormente accresciute della manifestazione che ha trattato un “universo” di argomenti, dal Futuro dell’uomo nello Spazio alla vita quotidiana al mondo del business e della finanza.
Presente in massa l’offerta di connettivita’ che oggi si chiama ADSL e Fibra Ottica.
Questa edizione di Futurshow mi ha ispirato una riflessione indirizzata a quello che potrebbe essere il driver dell’evoluzione futura della nostra società: la possibilità di connettersi alla Rete ad alta velocità da qualsiasi località.
Ebbene, negli articoli sul mio “Viaggio al Centro della Terra”, alcuni mesi fa, avevo sottolineato come oggi Internet raggiunga ogni luogo della Terra, perfino le sperdute isole della Polinesia. Quello che già oggi fa la differenza e che potrebbe segnare sempre più una divisione netta tra i popoli e le culture, sarà proprio la velocità con cui si potrà accedere ad Internet o al crogiuolo multimediale che ci attende.
Per “assaporare” il Digital Divide non è necessario allontanarsi di 18.000 kilometri dalle nostre città. Basta percorrerne poche decine. Il decennio passato è stato caratterizzato in Italia da una fuga dai grandi capoluoghi. Internet avrebbe potuto in questi anni portare gli stessi livelli di servizi ed opportunità anche nei piccoli paesi in cui molti italiani si sono “rifugiati” per fuggire il caos, l’inquinamento, il traffico e la criminalità, tipici delle grandi città.
Scopro, invece, visitando il Futurshow, che ancora oggi, la maggior parte delle offerte di alta velocità riguarda i grandi centri italiani. In un periodo in cui, per vari motivi, si parla molto di Internet e pubblica amministrazione (e-governement), vedo in queste attività una grande assenza del ruolo pubblico che potrebbe omogeneizzare tale situazione. Non dimentichiamo che il progetto Informations Super Highways americano era finanziato dal Governo, proprio nello Stato in cui il liberismo raggiunge apici impensabili per l’Europa o per la nostra Italia.
Non parliamo di fibra ottica: è ancora un sogno per pochi fortunati. Chi avesse provato a “navigare” con Fastweb, dovendo tornare ai 56k, potrebbe essere colto da attacchi depressivi come nello spot pubblicitario di successo dedicato alle crociere, in onda sul piccolo schermo in questi giorni.
La diffusione attuale di ADSL nel nostro paese è a “macchia di leopardo”, dove le “macchie” sono oggi ancora molto piccole. Ecco i numeri: su 8100 comuni italiani, meno di 800 sono raggiunti dall’ADSL.
È vero che le 776 città servite oggi, rappresentano quasi il 50% degli abitanti ma la logica di Internet dovrebbe proprio essere quella di creare unità e non dividere la popolazione. Anche le soluzioni di connessione satellitare sono interessanti ma risentono di varie lacune quali ad esempio la limitata bidirezionalità ed il costo elevato.
Una casa del futuro come quella vista al Futurshow, oggi, potrebbe trovarsi solo in un grande centro cittadino: la “mia” casa del futuro si trova ad almeno 50 kilometri dalla più grande città, in uno spazio verde dove si possa vivere, lavorare e studiare con le stesse opportunità di coloro i quali hanno scelto il grande centro urbano.
La visita di Futurshow è stata effettuata in compagnia di alcuni amici tra cui Marco Tracinà, che ci racconta le sue impressioni nell’articolo che ha pubblicato su NetManager.it.