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Twitter, quello che le donne dicono

04 Dicembre 2009

Twitter, quello che le donne dicono

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Due stili femminili molto diversi ci parlano attraverso il social network. Una lezione per le marche e chi fa il marketing del nuovo millennio

Io su Twitter ho 186 follower e seguo 83 persone. Un rapporto tale da causare, lo so, delle potenziali polemiche, dato che sembra girare un’opinione: che se sei veramente uno che crede nel Twitter/Social/2.0 devi seguire un sacco di gente, almeno tante persone quanto quelle che seguono te. Forse è vero. Forse no, ma io mi trovo bene a seguire le persone che seguo e se volete chiamatela arroganza, tanto sapete già che non sono un simpaticone. Ed è un segreto di Pulcinella che molti diventano tuoi follower sperando che tu ricambi il favore, costruendosi così una base social da usare per i loro scopi.

Seguo aziende che trovo interessanti. Seguo persone interessanti. Tra le persone che seguo, molte sono donne. La maggior parte sono donne del nostro mondo – persone che stimo, apprezzo, che trovo divertenti, che hanno qualcosa di digitalmente stimolante. Ma fra le donne che “followo” ce ne sono due che sono fuori dal nostro mondo, in termini professionali – eppure le seguo. Perché trovo che abbiano qualcosa da insegnarmi. La Regina e la Spogliarellista Due personaggi agli antipodi: Rania di Giordania e Dita Von Teese . In fondo entrambe regine, nel loro campo (mi perdoni sua maestà se trova l’accostamento irriverente).

Persone diverse, mestieri diversi ma un uso interessante di Twitter da parte di entrambe. Un milione abbondante di follower per la Regina di Giordania, 190,000 per quella del Burlesque. Entrambe usano il mezzo per promuovere le proprie attività; Rania per la sua attività benefica a supporto dei bambini , Dita per vendere spettacoli, Dvd, libri. E lo fanno abbastanza bene. Ed entrambe twittano anche per raccontarci cose che invece con il loro mestiere c’entrano poco o niente. O forse no.

Giù dal piedistallo

Queste due donne ci raccontano della loro vita – cosa che online facciamo tutti o quasi. Con la differenza che esse sono dei personaggi pubblici, figure che il mondo del gossip e del media patinato/rotocalchico ci ha abituati a vedere su un piedistallo, facendoci immaginare vite dorate condotte a un livello inarrivabile per noi poveri esseri umani i cui occhi non hanno visto quello che vedono gli occhi delle due fortunate. Invece, su Twitter, scopriamo una sorta di normalità inaspettata. Una vita vissuta anche di piccole cose. Di emozioni che potremmo provare anche noi. Il tacchino del Ringraziamento di Dita, spedito a Parigi. Il suo jet lag e il suo chiedere aiuto per capire dove poter prendere lezioni di francese.Il suo stupore nello scoprire posti lontani dove ha fatto scalo il suo aereo. Il nostro stupore nello scoprire che questa donna che ha fatto della sensualità e dell’erotismo il suo marchio di fabbrica, nella conversazione online non si tratta certo come una bomba del sesso.

Umane, alla nostra portata – quasi che se a parlare su Twitter non fosse Dita, il personaggio ma la persona, quella che c’è dietro al make up . E per Rania, le piccole, grandi emozioni di una madre con le sue figlie, il piacere di un film visto in TV, la sua sorpresa per le bellezze archeologiche di Roma e il suo amore per l’Italia, il suo raccontare le vacanze all’Elba (dove, l’ho scoperto dopo, ci siamo incrociati quest’estate, pur a bordo di barche molto diverse). Il suo descriversi come «A mum and a wife with a really cool day job…». Due donne che forse si fanno gestire l’uso di Twitter da parti di consulenti all’immagine, cosa senz’altro possibile – ed in questo caso bravo il consulente e brave loro perché il risultato è proprio interessante.

La marca e le persone

Tutto questo volo pindarico però non è fine a se’ stesso, lo sapete che sono molto pragmatico. È una lezione per le marche che comunicano su Twitter. L’azienda non è di per se stessa umana. Non è cosa con cui ci si possa relazionare emozionalmente più di tanto. Una marca… è diverso (pensate alla differenza tra la premiata ditta Barilla Holding SpA e il Mulino Bianco). E le marche, come i personaggi dei rotocalchi, vengono da un mondo in cui ci parlavano dall’alto in basso, dove ci intortavano fabbricando emozioni finte e senza possibilità di feedback, di cui una volta ci potevamo innamorare. Ora il mondo è cambiato, come i mercati, soprattuto come le persone. E, in un mondo tutto sommato inumano, in molti emerge una domanda di umanità. Di avere marche che assumano connotati di persone. Che parlino. Che conversino – perché le persone vivono di conversazioni e dal suono di una voce umana, dai piccoli segreti che racconta ci facciamo un’idea della sua realtà; dalle piccole confidenze può nascere un innamoramento che nessun comunicato ufficiale potrà mai scatenare.

Forse la nostra marca (o, più probabilmente quella di cui seguiamo la comunicazione online) non riuscirà mai ad essere sexy come Dita o regale come Rania, ma più umana certamente sì. E in un mondo dove quasi tutte le differenze di prezzo, prodotto, qualità, distribuzione sono sempre più evanescenti, proprio la capacità di entrare nelle emozioni della gente, in modo pulito, onesto, potrà fare la differenza nel mercato che si sta profilando. Due donne, due regine, una buona lezione.

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