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Turismo 4.0: trasformare un hotel da commodity a brand

09 Marzo 2021

Turismo 4.0: trasformare un hotel da commodity a brand

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È sempre più fruttuoso trasformare una struttura turistica in un brand, con una sua reputazione ben precisa e una community intorno, più che mai in tempi di pandemia.

Se ne parlano tutti, ci sarà una ragione

Consumatori e turisti si affidano spesso nelle loro scelte al cosiddetto fattore f: famiglia, frequentazioni, fan (la community attorno a un brand) e follower.

Le opinioni di famiglia e amici non sono una novità, ma la possibilità che hanno le persone di aggregarsi come una community di fan attorno a un brand è un aspetto legato ai social media e agli smartphone. Fan, follower e community sono in grado di avere un certo peso sulle scelte delle persone, attraverso le opinioni. Dinamiche di questo tipo possono avvenire solo quando al centro di tutto ciò c’è un brand vero.

I turisti oggi hanno la possibilità di scegliere tra un enorme numero di strutture e offerte diverse. Compiere una scelta significa prendere in considerazione molte possibilità e altrettante variabili: quello che potrebbe sembrare una cosa positiva in realtà è anche fonte di stress per i turisti, perché significa avere anche molte possibilità di sbagliare.

Affidarsi a un nome, un marchio, un brand già conosciuto per molti significa prendere una scorciatoia nella scelta, ridurre lo stress, fare prima, con meno sforzo. Più è noto il brand hotel a cui il potenziale cliente si affida, meno saranno i ripensamenti e più veloce sarà la scelta. Il ragionamento implicito si basa sulla riprova sociale: se è così noto, probabilmente è una struttura valida, se molti lo scelgono un motivo ci sarà. Sono meccanismi inconsci presenti nella mente di ogni consumatore. Quante volte al supermercato, di fretta, si sceglie una marca di biscotti solo perché è la più nota?

Di fronte a una grande varietà, a pari o quasi requisiti (servizi, prezzo, posizione…), le persone scelgono la marca, cioè il brand, nel nostro caso il brand hotel che si posiziona nella cosiddetta top of mind, cioè al primo posto nella loro mente quando pensano a una determinata categoria come quella de i migliori hotel.

Per entrare nella top of mind dei propri clienti nella categoria hotel, è necessario essere un brand – un marchio riconoscibile e noto – presso il proprio target di riferimento.

Per entrare nella top of mind dei propri clienti nella categoria “hotel”, è necessario essere un marchio riconoscibile per il proprio target di riferimento.

Che cos’è un brand e come si diventa brand hotel?

Il brand è una promessa di valore a fronte di un prezzo. Prenotando presso una catena alberghiera nota, non si acquista solo una camera, ma anche il sistema valoriale che il brand rappresenta. Per esempio, prenotando all’Holiday Inn (che ha la mission Siamo impegnati a garantire a tutti un’ospitalità eccellente), si acquista un certo status, oltre che la garanzia di qualità che l’hotel garantisce.

Anche prenotando all’hotel Hans Brinker ad Amsterdam, il peggiore hotel del mondo, non si sta solo prenotando un pernottamento, ma si sta compiendo una scelta che qualifica chi la effettua. L’Hans Brinker ad Amsterdam è un hotel che fa delle sue debolezze un posizionamento di brand: provoca una rottura così forte con la normalità da essere indimenticabile per chi ci soggiorna e da incuriosire i potenziali clienti. Un turista, quando sceglie di prenotare all’Holiday Inn piuttosto che all’Hans Brinker, non sta solo scegliendo un hotel, ma sta mettendo la propria persona accanto a un sistema di valori che qualifica lui stesso: siamo (anche) quello che acquistiamo.

Tornando alla frase iniziale: un brand hotel è una promessa di valore a fronte di un prezzo corrisposto. Se da questa frase si esclude la parola valore restano solo due concetti: promessa (di un servizio) a fronte di un prezzo. Se il valore non è al centro della narrazione, tutto si riduce a una serie di servizi, eventuali recensioni e soprattutto al prezzo. Questo è strategicamente pericoloso, per diversi motivi, due in particolare: in questo modo l’hotel ha moltissimi concorrenti ed esiste sempre un competitor con un prezzo più basso.

L’Hans Brinker ad Amsterdam è un hotel che ha fatto delle sue debolezze un posizionamento di brand.

L’elemento su cui fare leva è assolutamente il valore. Tutto il marketing della struttura turistica deve raccontarlo, in ogni sua fase, e senza dare nulla per scontato. Il messaggio è lo stesso dell’esempio: Prenotando qui, non prenoti una camera e dei servizi, ma acquisti un valore che racconta qualcosa di te, turista.

Quando la persona incontra una promessa di valore affine, in cui si riconosce, il prezzo diventerà secondario, perché quello che sarà chiaro nella mente del cliente è che non si tratta solo di una camera ma di qualcosa che lo definirà meglio come consumatore, come turista e come persona. Di qualcosa che lo farà sentire in un certo modo piuttosto che in un altro.

Il sentimento nazional-popolare associato al concetto di brand vuole che questo sia un nome, un simbolo, dei colori, un font e l’idea che questo rappresenti simbolicamente un’azienda. Il senso comune porta a credere che più sia simpatico il naming, magari costruito su un gioco di parole, e più sia originale la parte visual del logo, tanto più questo sarà memorabile e destinato al successo. Non è affatto così: per quanto il naming e il visual del logo di un brand siano importanti, non sono questi a decretare il successo o meno di un’attività o di una struttura turistica.

Pensiamo a una coppia tipo, Cristina e Marco, e immaginiamo come si comporterebbe se volessero prenotare un hotel per una vacanza sulla neve su Booking.com.

Accedono al sito dallo smartphone, ognuno per conto suo in diversi momenti della giornata. Nell’arco di più giorni. Marco seleziona i suoi criteri, che comprendono spa e skipass; Cristina è più attenta al prezzo e alle recensioni. L’app fornisce loro lunghi elenchi di strutture cercando di incalzarli ad affrettare una decisione, perché le camere delle migliori strutture sono molto richieste.

Impostando anche la vicinanza alla seggiovia, il range delle strutture si assottiglia; infine decidono quale albergo prenotare. Qualche giorno dopo una notifica da Booking.com informa Cristina e Marco che una struttura simile a quella che hanno prenotato offre condizioni di soggiorno migliori e che possono effettuare il cambio in qualsiasi momento. Ai due non sembra vero e approfittano dell’upgrade: Booking.com pensa sempre alle loro esigenze.

Qualche settimana dopo, si sentono di consigliare la loro esperienza a una coppia di amici, ma non ricordano il nome della struttura in cui hanno soggiornato. Marco promette di controllare non appena tornerà a casa, ma gli amici lo tranquillizzano spiegando che cercheranno a loro volta su Booking.com.

Si tratta di una dinamica molto frequente nel settore: come dicevano i latini, ubi maior, minor cessat, dove c’è il maggiore, il minore decade. Quando siamo in presenza di un brand più grande che intermedia un prodotto, in questo caso le camere, quello che resta impresso nella mente dei consumatori, dei turisti, è l’intermediario. Personalmente non ho nulla contro le OTA e Booking.com, che ho utilizzato solo come esempio rappresentativo di un certo modo di vendere camere online, tuttavia credo che il valore di una struttura debba essere raccontato attraverso canali di marketing diretti.

Si tenga inoltre conto che si è volutamente omessa una parte fondamentale: Booking.com ha i clienti in comune con le strutture, ma solo le strutture hanno gli ospiti. L’esperienza in hotel diventa un momento fondamentale e decisivo per fare brand awareness, ovvero per cercare di accrescere la popolarità del brand. Soprattutto per i clienti che passano da OTA, agenzie o altri intermediari e che non hanno prenotato direttamente attraverso il sito. Questo aspetto è spesso sottovalutato.

La dinamica appena citata è del tutto simile a quello che avviene con Google.com e le informazioni lette in Rete. Le informazioni non stanno su Google.com ma sui siti Internet e Google.com è solo un intermediario di contenuti, in alcuni casi un aggregatore, in altri un selezionatore (dotato di intelligenza artificiale). Tuttavia esistono siti abbastanza autorevoli da essere memorizzati nella mente dei lettori.

Per esempio, in un caso mio personale, la differenza fra Calciomercato.com e tutti gli altri siti che pubblicano notizie sul Web, che vengono scandite da Google, fagocitate e rilanciate è che Calciomercato.com per me rappresenta un brand. Calciomercato.com mi ha fidelizzato, mi ha fatto una promessa che mantiene ogni giorno: Tutti gli affari di calciomercato della mia squadra in anteprima.

Anche in questo caso è molto comune l’espressione l’ho letto su Google, perché, tanto è noto il brand che intermedia notizie, tanto più offuscherà il sito che ha prodotto il contenuto.

Tornando al turismo, questo non significa che si debba rinunciare a Booking.com, sarebbe difficile e controproducente. Significa, al contrario, che, in parallelo con l’utilizzo di queste piattaforme, non bisogna rinunciare a raccontare il valore della struttura attraverso il marketing diretto.

Se l’hotel non rappresenta un brand (una promessa di valore) per un determinato segmento di clientela, verrà fagocitato dagli intermediari. Oggi è Booking.com, domani sarà Google.com e dopodomani potrebbe toccare ad Amazon.

Quello che ogni struttura turistica e ogni imprenditore dell’ospitalità dovrebbero fare è smettere di essere una commodity, ovvero un bene per cui c’è domanda alta, ma che è offerto senza differenze qualitative sul mercato (si tratta di una provocazione, ma vicina alla realtà), ed essere un marchio, un brand.

Parafrasando un antico detto cinese, si potrebbe dire che il miglior momento per riprendere in mano il marketing e il brand della struttura era dieci anni fa, ma il secondo miglior momento è sicuramente oggi.

Connesso con il brand hotel

Oggi il marketing mix comprende anche l’interazione fra il brand e il consumatore, nel caso del turismo fra il brand hotel e il turista. Questa interazione avviene sia online, attraverso l’adesione alla community che ruota attorno al brand, sia offline, durante il soggiorno dove il consumatore è turista, ovvero l’attore protagonista dell’esperienza di soggiorno.

Il marketing deve adattarsi a queste evoluzioni e creare dei brand in grado di empatizzare con il proprio target di clientela, come fossero una persona con una sua identità: accessibile, gradevole e, a volte, vulnerabile. In un certo senso i brand devono intimorire di meno rispetto a quanto fatto in passato, diventare autentici e sinceri, ammettendo la possibilità di avere dei punti deboli, atteggiamento assai più credibile rispetto a quello di fingersi perfetti.

Il marketing più moderno deve prefiggersi l’obiettivo di comprendere i valori della persona con cui deve empatizzare, abbandonando la semplice segmentazione su base demografica. È fondamentale comprendere i clienti al fine di raccontare il lato umano del brand, per renderlo seduttivo agli occhi dei turisti.

Espressioni come segmentazione della clientela e targetizzazione del segmento giusto sono terminologie quasi predatorie di un vecchio modo di fare marketing, in cui la corporation metteva nel mirino un profilo e colpiva il bersaglio. Vero è che molti aspetti pratici del marketing, soprattutto quello digitale, funzionano ancora molto bene così, ma la preda ha tante nuove armi per difendersi. In primo luogo il potersi costituire in tribù, grazie alla vicinanza con i propri simili, resa possibile dalla tecnologia. È con questi che le persone cercano confronto e consigli, sui quali fare la propria scelta di prenotazione.

Un settore sotto gli occhi di tutti, potremmo dire quasi nazionalpopolare, in cui si percepisce quanto sia cambiato il rapporto tra brand e consum-attori, è lo sport. Di recente ho assistito a una partita di repertorio degli anni Ottanta in cui, in occasione del centenario, la squadra per cui tifo indossò una divisa da gara ad hoc per l’evento. Quell’occasione fu qualcosa di più unico che raro, un evento di cui ci si poteva ricordare per mesi.

Oggi le squadre di serie A cambiano divisa praticamente a ogni incontro, creando instant shirt per le più svariate occasioni. Divise che puntualmente vengono messe in vendita online e acquistate dai tifosi, che oggi sono più che altro brand lover o brand supporter. I social sono aggiornati quasi ogni ora, con tanti compleanni, ricorrenze, approfondimenti, contenuti generati da tifosi, sintesi del match scorso, analisi del prossimo incontro, classifica dei goal più belli.

Allo stesso tempo questi aggiornamenti per tono di voce e tenore dei contenuti esprimono sempre un set di valori coerente e una mission diversa a seconda della squadra: vincere sempre, fuori dagli schemi, vincere in Europa, crediamo nei giovani, siamo la squadra della città. I tifosi supportano la squadra, ma sarebbe più giusto parlare di brand, e spesso si sentono rappresentati dai valori che la squadra esprime. Il fatto di vedere se stessi come tifosi di una squadra piuttosto che un’altra in molti casi aiuta le persone a raccontarsi.

Una parte dello sport ha capito perfettamente che cosa vogliono i consumatori oggi, ma si potrebbero fare esempi simili con altri settori, per esempio la moda, l’abbigliamento, le catene di supermercati.

Va fatto qualcosa di molto simile nel turismo, sia per quanto riguarda le destinazioni (ma questo è un terreno che concerne le DMO), sia per quanto riguarda le strutture turistiche.

La brand user experience

Tutta l’esperienza che gli utenti vivono nel rapportarsi al brand, in tutte le innumerevoli forme e momenti che il digitale offre per questo tipo di interazioni, viene definita brand user experience. Si tratta dell’esperienza che le persone vivono quando si rapportano al brand durante il loro percorso di consumatori. Nel caso del turismo questo percorso non si ferma al momento della prenotazione. Il consumo del soggiorno, cioè del prodotto che hanno acquistato online, è esso stesso parte dell’esperienza che l’utente fa del brand.

Il soggiorno contribuirà alla valutazione e all’opinione che le persone hanno del brand hotel. Il consumatore Apple sta all’ultimo modello di iPhone esattamente come il turista sta al soggiorno. Per entrambi il customer journey si conclude con il pagamento o la prenotazione; poi c’è la parte dell’utilizzo dello smartphone per quanto riguarda l’iPhone, e il soggiorno per quanto riguarda il turista.

Il cliente sarà soddisfatto di ciò che ha acquistato? Acquisterà ancora dallo stesso brand? Dipende sia da come si è sentito durante la fase di prenotazione, sia da quanto resterà soddisfatto di ciò che ha acquistato. Nel turismo, la presenza dell’ospite in struttura è una componente della user experience: il brand hotel deve continuare a parlare con i turisti anche durante il soggiorno, con lo stesso tono di voce, esprimendo gli stessi valori promessi dal brand in fase di scelta e di prenotazione.

Ogni struttura turistica dovrebbe fare qualcosa del genere: creare un brand, ovvero incarnare dei valori propri e unici e raccontarli in ogni momento del customer journey, in modo coerente. I turisti, rapportandosi con il brand hotel, dovrebbero vivere un’esperienza omogenea e piacevole, scegliere e prenotare in una determinata struttura non solo per i servizi e per il prezzo, ma anche perché si sentono in sintonia con il sistema valoriale che il brand rappresenta.

L’esperienza con il brand hotel durante il soggiorno

Si pensi a come alcuni settori che utilizzano il modello del retailing (vendita al dettaglio presso il negozio) si stanno attrezzando per interagire con le persone mentre sono in negozio. Attraverso app, programmi fedeltà e altre tecnologie per migliorare l’esperienza di acquisto, la brand experience e la loyalty (fedeltà al brand).

Lo stesso approccio dovrebbero averlo le strutture turistiche nei confronti dei loro ospiti, durante il soggiorno. Nel turismo l’upselling (acquisti di upgrade rispetto a quanto già acquistato) è un fenomeno molto sottovalutato, in molti casi per carenze tecnologiche e di tempo.

Parlando di ospitalità, il fine dell’upselling non deve essere il vendere di più ai propri ospiti. L’obiettivo deve essere l’offrire la miglior esperienza di soggiorno possibile, l’aumento del fatturato sarà una conseguenza. Se per qualsiasi motivo in fase di prenotazione il turista non ha acquistato servizi o esperienze che potrebbero essere rilevanti per lui, queste gli vanno riproposte, nel modo giusto, attraverso la tecnologia, durante il soggiorno.

Mentre nel retail l’esperienza in negozio contribuisce in modo significativo all’acquisto, nel settore HORECA (acronimo di Hôtellerie-Restaurant-Café) l’esperienza è essa stessa il prodotto (già acquistato in precedenza, probabilmente online). L’eccellente esperienza di consumo della vacanza sarà semmai motivo di riacquisto o di passaparola e di feedback pubblicamente condivisi.

Nel retailing classico il negozio sembra esaurire la sua funzione non appena l’acquisto si conclude e il cliente esce dalla porta; o perlomeno questo è quello che l’abitudine ci ha portato a credere. In realtà spesso le persone si recano nel negozio con l’intenzione di vedere un prodotto e la ferma convinzione di volerlo acquistare online (è il fenomeno dello showrooming). La separazione tra luoghi reali e digitali è sempre più sfumata, è il fenomeno del bricks and clicks.

È fondamentale mantenere anche in struttura il contatto tra brand hotel e ospite; quell’aggancio digitale che si è venuto a instaurare durante la scelta della struttura, durante il contatto per il preventivo e durante la prenotazione non deve cadere.

Questo articolo richiama contenuti dal capitolo 2 di Turismo 4.0.

Immagine di apertura di Mohammad Wasim su Unsplash.

L'autore

  • Francesco Piersimoni
    Francesco Piersimoni è un imprenditore riminese ed esperto di digital marketing. È fondatore e socio titolare di Adrias Online, agenzia di marketing e comunicazione verticale nel settore del turismo, fra le principali in Italia. Da anni porta il suo contributo come ospite e speaker a convegni e conferenze di settore.

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