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The Revolution Will Not Be Blogged – o forse sì?

01 Giugno 2004

The Revolution Will Not Be Blogged – o forse sì?

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Limiti e potenzialità della blogosfera nell'odierno contesto cultural-politico: se ne parlerà (anche) a Napoli il 4 giugno

“La rivoluzione non passerà per i blog. Per vedere oltre il proprio piccolo mondo e avere il senso di quel che va realmente accadendo, giornalisti e lettori devono togliersi il pigiama.” Questi titolo e occhiello di un articolo che appare sull’attuale numero del bimestrale Mother Jones. A parte qualche forzatura nelle titolazioni, una serie di critiche alla blogosfera articolate e motivate, abbracciate anche da addetti ai lavori e finanche dagli stessi blogger. Nel complesso, se qualcuno insiste nel sostenere che trattasi dello “strumento più maturo di internet”, altrettanto mature si dimostrano oggi le valutazioni e i rilanci a tutto campo su tale strumento. A partire dalla scena USA e incluso l’evento voluto dalla Facoltà di Sociologia dell’Università di Napoli in collaborazione con alcuni tra i più attenti studiosi del fenomeno, nazionali ed internazionali, previsto per venerdì prossimo 4 giugno.

L’editoriale firmato da George Packer su Mother Jones descrive intanto il rapporto di amore-odio verso la blogosfera — rapporto, c’è da scommetterlo condiviso da molti tra noi, in qualsiasi angolo del mondo ci si trovi — all’interno però delle promesse da questa veicolate. Tra queste, vanno annoverate (ancora una volta) la scomparsa delle tradizionali barriere tra chi produce di cultura e chi ne usufruisce, con la benvenuta sovrapposizione di ruoli, posizioni, scenari. “Parte della mistica dei blog sta nella loro intercambiabilità: funzionano su entrambe le sponde che dividono politica e media, mischiando ulteriormente le distinzioni già poco chiare tra reporter, super-esperti, operatori politici, attivisti e cittadini.” Il pezzo passa poi a illustrare come tale blogosfera abbia arricchito (in modo ormai irrinunciabile) la recente fase storica statunitense. Un trend che va aprendo il giornalismo politico a una vasta platea di competitori, qualcosa di simile a quanto avvenne con l’avvento di una forma di comunicazione di base ormai scomparsa, quella dei pamphlet politici, della circolazione estemporanea di scritti, volantini e quant’altro su candidati, elezioni, presidenti — per lo più centrati su posizioni progressiste.

Anzi, un blog assai seguito — The Blogging of the President — non fa mistero di voler fare da megafono per la trasformazione, per il passaggio a una rappresentanza di taglio più partecipatorio e democratico: “In qualche modo, oggi l’HTML e i blog sono i pilastri della nostra repubblica; infatti un modo completamente nuovo di fare politica si va facendo emergente e potenzialmente dominante.” Altrettanto decise le motivazioni di Jay Rosen, docente presso la New York University da tempo impegnato nel movimento di riforma che va sotto la definizione di “giornalismo pubblico”, e il cui noto blog PressThinK sostiene tra l’altro: “Coloro che inventeranno la prossima macchina da stampa in America — e quanti ora lo stanno facendo online — continuano un esperimento che dura da almeno 250 anni. Qualcosa che deriva da una potente storia sociale e da una leggenda politica…” Senza affatto tralasciare eventi e situazioni a sostegno di una “Emergent Democracy” di livello globale e diffuso, come descrive Joi Ito nell’omonima paper in costruzione (in formato wiki e aperta a contributi-correzioni di tutti): “Le nuove tecnologie possono attivare l’emergere di un sistema democratico funzionale, più diretto, capace di gestire questioni complesse e di sostenere, modificare o sostituire le attuali democrazie indirette, rappresentative.”

Non certo a caso, lo stesso Joi Ito interverrà su questa e simili tematiche nel corso del prossimo convegno di Napoli: I weblog e la nuova sfera pubblica (4 giugno, Facoltà di Sociologia). L’incontro vuole riflettere su questi nuovi canali di comunicazione e sul loro rapporto con i mezzi di informazione, con le diverse forme di comunicazione politica, con la definizione di una nuova sfera dell’opinione pubblica. Offrendo a studiosi e cittadini — dentro e fuori internet — l’opportunità di una discussione aperta, informata e consapevole su queste tematiche d’attualità. Interverranno tra gli altri Derrick De Kerckhove, Gianluca Nicoletti, Beppe Caravita e, dalla Francia, Loic Le Meur. Con ampi spazi per il dibattito in sala e l’immancabile blog, attivo già da qualche settimana e su cui verranno rimbalzati i lavori dell’evento.

Ma al di là dell’ovvia necessità di allargare prospettive e dibattito su questi scenari, soprattutto in Italia, restano i dubbi sull’effettiva portata della blogosfera nell’attuale momento storico. Citando nuovamente l’editoriale di Mother Jones: “i blog rappresentano un ottimo infotainment… ma non possono sostituirsi al giornalismo vero.” Proprio il dinamismo e la diversità e che ne rappresentano le caratteristiche peculiari rivelano un sapore di stantio e inadeguato. Da una parte perché, lo ha insegnato l’esperienza online di Howard Dean, tali caratteristiche a nulla servono se e quando non esiste un legame più che solido con il “reale”, con la partecipazione in prima persona, dalle manifestazioni di piazza al voto nell’urna. Creano anzi distrazione e distanza, rinchiudendo i singoli individui nel proprio mondo autoreferenziale, fornendo loro niente più che l’ennesima illusione di fare qualcosa. E dall’altra, perché la blogosfera è eccessivamente frammentata, atomizzata, centrata sull’istante. Nonostante i newsfeed, impossibile tener dietro (e filtrare) alla mole di rumore che contribuisce enormemente a creare, in aggiunta a quello tipico del digitale. Altrettanto difficoltoso comunicare efficacemente l’atmosfera dell’attivismo politico, dei dibattiti elettorali nel quotidiano, a riprova del fatto che — insiste in chiusura l’articolo di Mother Jones — questo medium, il blog, non può veicolare “la narrativa e l’analisi sostenuta”, ma rimane piuttosto qualcosa di privato, immediato, scritto col tono di ‘chi sa’ per altri ‘che sanno’.

Tutte qui le potenzialità aggreganti, democratiche della blogosfera, dunque? Forse che le promesse di una cultura aperta e trasversale finiranno per soccombere sotto le esaltazioni di una strisciante cyber-elite? Oppure, potremo ancora fare la rivoluzione con, o grazie, ai blog?

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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