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Terrorismo low-tech, controllo high-tech?

07 Dicembre 2001

Terrorismo low-tech, controllo high-tech?

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Mentre Oracle rilancia l'ID nazionale, alcuni commentatori temono la società del controllo, complice la tecnologia.

“È normale per i tecnologi sottovalutare la forza degli attacchi low-tech.” Questa una delle frasi-chiave di un articolo apparso su Technology Review di dicembre, la cui cover story affronta i vari risvolti a cavallo tra tecnologia e terrorismo. Il pezzo illustra sagacemente “come non va combattuto il terrorismo,” riprendendone parte del titolo. Lo firma Simson Garfinkel, autore lo scorso anno dello stimolante volume “Database Nation,” il quale ripete alcuni assiomi che, per quanto apparentemente scontati, non sembrano ancora far breccia nel grande pubblico. Il quale cerca di buttarsi alle spalle gli effetti dell’11 settembre preparandosi al meglio per le feste in arrivo, fidandosi (quasi) ciecamente dei leader governativi. E della tecnologia, civile o militare che sia, strumento sempre assai pompato a garanzia della protezione contro futuri attentati. Inclusa l’introduzione della famosa carta d’identità nazionale, qualcosa che continua ad appassionare parecchio il boss di Oracle, Larry Ellison, il quale non è riuscito a trattenersi dal “donare” alle agenzie federali un pacchetto software atto alla creazione di un “database per la sicurezza nazionale.”

Sulla scia dei tragici eventi di quasi tre mesi or sono, Ellison aveva prontamente suggerito l’avvio di tale iniziativa, specificando che la sicurezza negli aeroporti diverrebbe più stretta se i viaggiatori dovessero fornire generalità e dati personali da confrontare con quelli già raccolti in un apposito database nazionale. Puntualizzando le sue posizioni nel corso di una conferenza stampa a margine della conferenza OpenWorld di Oracle, svoltasi nei giorni scorsi in quel di San Francisco, Ellison ha sostenuto tra l’altro che non dovrebbe essere così facile procurarsi ID fasulle, aggiungendo: “Le carte di credito sono dotate di ferrei standard di sicurezza, perché non fa lo stesso anche il governo?” E se le varie strutture di controllo potessero attingere da un centro di raccolta-dati unico e centralizzato, allora ci sentiremmo tutti più protetti.

Sulla base di queste convinzioni, il dirigente informatico ha poi informato dell’avvenuta consegna ad una non meglio identificata “agenzia governativa per la sicurezza nazionale” del software 9i per la gestione di database, ovviamente prodotto da Oracle. Ellison ha così mantenuto la promessa fatta in precedenza, anche se forse avrà specificato che la sua azienda invierà comunque regolare fattura per manutenzione e upgrade del software, qualora il governo decidesse prima o poi di avviare davvero l’iniziativa dell’ID nazionale. Una prassi nient’affatto nuova per la stessa Oracle. La cui potenza è dovuta, in parte, a strette collaborazioni con l’apparato statale, a cominciare da una delle prime commissioni ottenute poco dopo la sua nascita, quando 25 anni fa realizzò i primi database per la CIA.

La replica indiretta arriva da qualche osservatore meno di parte, rifacendosi ancora al pezzo segnalato inizialmente. Intanto, gli Stati Uniti sono già in possesso di una carta d’identità valida sull’intero territorio: la patente di guida. Come spiega Garfinkel, queste sono oramai standardizzate e includono specifici codici magnetici, mentre ogni stato mantiene archivi digitali di foto e impronte. Di fatto la patente rappresenta il documento più usato in ogni situazione, dall’apertura di un conto in banca al check-in all’aeroporto. Ed è noto come alcuni terroristi fossero in possesso di documenti del tutto regolari, oltre ad avere la fedina penale immacolata. Quelli invece con generalità rubate, le avevano falsificate all’estero. In entrambi i casi, quindi, nessun super-database nazionale avrebbe potuto bloccarli.

Ne consegue che l’implementazione di sofisticate (e costose) tecnologie servirebbe a ben poco nella prevenzione del terrorismo internazionale. Il quale, conclude il giornalista di Technology Review, accoppia invece il cieco fanatismo con qualche strumento decisamente low-tech. A meno che qualcuno non pensi sia veramente possibile vietare di viaggiare con taglierini e coltellini al seguito. Una questione è lavorare alla riduzione di futuri attacchi terroristi e un’altra, completamente disgiunta, è il tentativo di mettere in piedi una sorta di società del controllo. Combinare questi due aspetti sotto un ombrello unico e patriottico, sull’onda lunga della situazione emergenziale, non fa altro che calpestare i diritti civili dei singoli individui. Oltre che allontanarci dalla ricerca di soluzioni valide ed efficaci per gli attuali problemi.

Posizioni simili si ritrovano anche in alcuni editoriali, come quello apparso circa una settimana addietro su un quotidiano texano sotto il titolo: “Eliminando certi diritti non si rendono più sicuri i cittadini.” In pratica, si sostiene che in recenti momenti drammatici, dall’attentato di Tim McVeigh alla bomba del 1993 contro lo stesso World Trade Center, la giustizia ha trionfato senza aver dovuto violare o danneggiare la Costituzione. Anche stavolta strumenti e regole repressive sarebbero già scritte, inutile dare poteri indiscriminati o quasi alle forze dell’ordine. Non ultimo, per via di possibili e pesanti discriminazioni, come alcuni casi sporadici già accaduti o anche, suggerisce l’articolo, per non ricreare quel clima assurdo che giustificò nel 1927 l’esecuzione degli anarchici (innocenti) Sacco e Vanzetti.

Un dibattito complessivo che, pur se non certo di primo piano, continua a far capolino qua e là — e che richiede comunque massima attenzione.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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