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Tempo reale e tempo virtuale

05 Ottobre 2001

Tempo reale e tempo virtuale

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Nella nostra cultura, e per effetto del progresso tecnologico, è cambiata la concezione e la percezione del tempo. Il rapporto con il computer e Internet ha ulteriormente accentuato il fenomeno

Il tempo reale è la simultaneità, l’assenza di ritardo (anche se c’è sempre un minimo di ritardo fra il mio dito che batte un tasto e l’evento corrispondente che appare sullo schermo). Paradossalmente il tempo reale è il tempo che viviamo senza averne coscienza, come il pesce non ha coscienza dell’acqua in cui vive. Ce ne accorgiamo solo quando manca, quando si rompe la simultaneità e si genera un ritardo.

Nelle nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione, il tempo reale può essere talmente veloce che è di gran lunga al di sotto della nostra percezione e che possiamo rappresentarlo solo con perifrasi (milioni di operazioni al secondo).

Il tempo virtuale è accelerazione o rallentamento di eventi rispetto alla loro durata normale. Ce ne siamo accorti col cinema, che basa molta parte del suo linguaggio sul tempo: ralenti, accelerazioni, flash back, montaggio con tagli o dissolvenze. Il tempo virtuale è la coscienza del tempo come qualcosa di diverso dal presente, quindi è anche memoria, previsione, concezione del passato e del futuro, comunicazione differita, ritardo (percezione del ritardo fra fulmine e tuono, o tra un desiderio e il suo soddisfacimento).

Tempo e spazio, come dice Kant, sono le condizioni da cui non possiamo uscire. Tutto ciò che concepiamo nel nostro mondo fenomenico, possiamo farlo solo dentro le categorie dello spazio e del tempo. Possiamo concepire tempo e spazio come continuo spaziotemporale (il grande flusso del “panta rei” di Eraclito) o come porzioni definite di spazio (figure) e di tempo (eventi).

Noi riusciamo a considerare come “figure” solo le porzioni definite che ci interessano, tutto il resto diventa “sfondo” e tendiamo a non percepirlo più (rumore di fondo) o a percepirlo solo come ambiente, come contesto. Anche un movimento continuo non viene più percepito. Se voliamo in aereo a 800 km/h ci sembra di stare fermi e percepiamo solo il movimento della hostess che cammina nel corridoio.

Qualsiasi evento temporale può essere visto nella sua continuità o può essere sezionato in frame sempre più piccoli, come i fotogrammi di un film o i movimenti congelati da un flash o da una luce stroboscopica. Un frame temporale è quello che nel linguaggio comune chiamiamo “istante”, è l’impronta che si ottiene con lo scatto di una fotografia “istantanea”.

Il tempo è qualcosa di oggettivo, che esiste al di fuori di noi, che è tecnico e misurabile. La tecnica lo misura con strumenti diversi in base all’ordine di grandezza della durata da misurare. I radioisotopi misurano i millenni geologici, il calendario misura un anno, l’orologio misura un giorno, il cronometro misura un minuto.

Ma c’è anche un tempo soggettivo, che cambia con la percezione che ne abbiamo di volta in volta. Quando dobbiamo consegnare un lavoro il tempo ci passa sempre troppo in fretta. Quando aspettiamo una persona ritardataria o non riusciamo a prendere sonno, il tempo non passa mai.

C’è un tempo riferito alle nostre dimensioni (il respiro, il giorno, la vita umana) e un tempo diverso dalle nostre dimensioni (tempi geologici o astronomici, microtempi scientifici e tecnologici).

La soggettività personale si allarga ad una soggettività culturale del tempo. La civiltà occidentale è più frettolosa e considera il tempo un valore economico (il tempo è denaro). La civiltà orientale è più contemplativa; nella meditazione il tempo resta sospeso, si svuota (il tempo è “maia”, illusione).

La concezione del tempo cambia con la storia. Nei tempi antichi spazio e tempo erano più limitati, oggi abbiamo una concezione del tempo che va dall’anno luce al nanosecondo. Anche il rapporto fra spazio e tempo cambia con l’aumento della velocità. Ma cambia pure la gestione del tempo. Nel secolo scorso per andare da Roma a Milano ci voleva una giornata intera, ma si restava lì qualche giorno. Oggi ci vuole un’ora, ma andiamo e torniamo nella stessa giornata. Quindi oggi facciamo prima ma ci sembra di avere meno tempo.

Le varie discipline sportive, scientifiche, tecniche, prendono in considerazione porzioni di tempo diverse, e le studiano con diversi metodi e strumenti, come se usassero una lente a diversi ingrandimenti. La geologia considera periodi di milioni di anni. La storia considera i secoli. La cronaca i giorni. La cosmologia moderna studia la prima parte del primo secondo del big bang.

Il tempo viene considerato come durata fra l’inizio e la fine di un evento. Nell’informatica il time sharing si basa sulla durata dell’accesso o della condivisione di risorse. La durata ha a che fare con il tempo di download, di rendering, di elaborazione, di trasferimento di dati.

Il tempo come memoria, come concezione di ciò che è passato, va dal culto dei morti alle memorie informatiche. La sequenza degli eventi nel software si basa sul time code. Per esempio in un programma come Macromedia Director la base di tutto è il time code, su cui si dispongono gli eventi in successione. Il pulsante “Cronologia” del browser ci dà l’elenco cronologico dei siti che abbiamo visitato nelle ultime settimane.

Il tempo come previsione è la cultura del progetto, del vedere avanti, dagli antichi àuguri fino ai nostri futurologi o ai project manager o agli sviluppatori di software. Il tempo come attesa va dall’attesa per un appuntamento all’attesa di fronte al computer. C’è un’attesa oggettiva e misurabile e un’attesa soggettiva.

Pensiamo a quando lavoriamo per un po’ con un computer più veloce e poi torniamo su un computer più lento: le attese ci sembrano intollerabili. Oppure il benchmarking di confronto fra le prestazioni di diverse CPU, con i relativi tempi. Internet è il regno delle attese. Dal download di una pagina leggera a quello di un video o di un software da 15 Mb, non facciamo altro che passare da miniattese ad attese più consistenti.

La nostra società va sempre più in fretta e richiede sempre maggiore velocità. Da un lato questo è un atteggiamento “drogato” tipico della nostra cultura. Dall’altro c’è da chiedersi se ha senso voler andare sempre più veloci. Nel campo dei computer e delle reti l’aumento di velocità ha senso perché molte operazioni fatte fuori dal computer sono ancora molto più veloci (sfogliare un libro o un giornale, guardare tante foto sparse su un tavolo), e in molti casi si deve ricorrere ancora alla posta per spedire pesanti file grafici e audiovisivi.

“Non ho tempo”. Questa è una frase sempre più ricorrente. Se la velocità è direttamente proporzionale allo spazio (più veloce è, più spazio percorre), l’ampiezza è in relazione inversa con lo spazio: più ampio è lo spazio in cui vivo e che prendo in considerazione, più ho l’impressione che il tempo si contragga e mi manchi.

L’urgenza è un altro grande problema di oggi. Si è tentato di rimediare con metodi e strumenti di time managing, dall’agenda Filofax ai palmtop. Tuttavia la maggior parte delle persone si fa travolgere dalle urgenze e stenta a passare dalla cultura dell’emergenza alla cultura del progetto. Il tempo diventa allora un mostro minaccioso e implacabile. Il computer ha aggravato questa situazione, perché tutti pensano che con il computer “si fa presto”, invece il computer ha i suoi tempi spesso irriducibili. Basti pensare alla durata di certe operazioni batch, come il rendering di grafica e animazione tridimensionale.

Il tempo come figura è la mia percezione della parte di tempo che mi interessa. Il tempo come sfondo è la mia percezione del resto del tempo di fronte al quale metto in evidenza la parte del tempo che mi interessa. Le due percezioni possono essere molto diverse. Per esempio percepisco con molta evidenza un tempo di elaborazione per download, stampa, copia di file (tempo “figura”), e non mi accorgo che è arrivata l’ora di colazione (tempo di sfondo).

Abbiamo la percezione immediata dello spazio guardando il mare, un panorama dall’alto, una prateria. La nostra percezione immediata del tempo è fisiologica (respiro, battito del cuore, camminare a piedi, digerire, ecc) e psicologica (ritmo, musica, sequenza, racconto, film, attesa di qualcuno che arriva, ecc). Percepiamo insieme spazio e tempo quando camminiamo lungo un sentiero, quando compiamo un percorso o un viaggio.

Tuttavia la percezione dello spazio è più sinottica (vedo lo spazio tutto insieme). La percezione del tempo è più simbolica: vedo un reperto antico o qualcosa che scorre, e penso al tempo passato, che sta passando, che passerà.

La percezione del tempo di fronte al computer è tutta particolare. Spesso si ha nello stesso momento una doppia percezione del tempo: una lunga attesa di 4 secondi (!) e dopo un attimo accorgersi che sono passate 4 ore (!!).

Altro problema è il ritardo nel feedback. Spesso quando navighiamo nel web clicchiamo su qualche elemento ma per un po’ non succede niente. In una pagina web, e in qualsiasi interfaccia grafica, è essenziale che ci sia un feedback visivo immediato: un effetto di rollover o di mouse clic, la freccia del puntatore che cambia nella manina, il risultato della mia scelta.

A tutti noi è capitato di provare un sottile senso di angoscia di fronte alla freccia del mouse che diventa la clessidra, stiamo lì ad aspettare e non succede niente. Anche se questo tempo di attesa in sé è abbastanza breve (30-40 secondi), di fronte al monitor – mentre siamo collegati – ci sembra lunghissimo.

Anche nei programmi grafici come quelli di fotoritocco il ritardo nel feedback fra il gesto e l’effetto sul monitor non fa sentire la pennellata, specialmente quando si lavora con la tavoletta grafica.
Nella realtà virtuale il ritardo si avverte fra il movimento del capo e della mano e i relativi effetti nella rappresentazione grafica del mondo virtuale. Nella teleconferenza con webcam c’è il ritardo dovuto allo streaming del video, e cioè al trasferimento dei blocchi di video durante il collegamento.

Infine il tempo può essere rappresentato sul monitor in modo grafico con il time code e con eventi temporali che appaiono come rettangoli più o meno lunghi. Questa è la rappresentazione usata in programmi come quelli per montaggio audio e video, o per animazione 2D e 3D. L’interfaccia di questi programmi mostra un time code per esempio in SMPTE (ore:minuti:secondi:decimi) e una griglia su cui si posizionano gli elementi da montare: suoni, immagini, voci, animazioni, clip video.

Gli elementi disposti l’uno sull’altro saranno eseguiti contemporaneamente, quelli messi l’uno dietro l’altro saranno eseguiti in sequenza. In tal modo il tempo viene rappresentato graficamente. La scala della rappresentazione grafica è variabile, e mi permette di vedere tutta insieme sul monitor una sequenza di dieci minuti o di due secondi. Questa è una ulteriore percezione del tempo, del tutto astratta e virtuale, perché con lo zoom allargo e stringo la porzione di tempo su cui voglio intervenire.

Ecco dunque come il tempo, nella sua oggettività o nella percezione soggettiva dell’utente, nel suo essere reale o virtuale, è un elemento importante nella progettazione dell’interazione fra uomo e computer.

Rimandi

Paola Manacorda, Il tempo degli italiani, Intervista a Mediamente, 1996.

Jean Baudrillard, Il tempo virtuale (2), Intervista a Mediamente, 1999.

Gabriel Maldonado, L’esplorazione di un sistema sonoro virtuale, in cui si parla di tempo virtuale.

Massimo Pauri, L’enigma del tempo: tempo vissuto, tempo fisico, tempo reale (con riferimenti bibliografici).

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