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Tempi sempre più duri per la pirateria cinematografica…(o no?)

08 Giugno 2005

Tempi sempre più duri per la pirateria cinematografica…(o no?)

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Tecnologie militari, trasportate dal buio del campo di battaglia a quello della sala cinematografica, promettono di far guerra alla pirateria. Sempre che funzionino...

Tremate, pirati. Copiare il cinema sta per diventare una faccenda pericolosa.
Sulla pirateria che riguarda i diritti d’autore, molto si è detto e dibattuto, con discussioni che riguardano la natura stessa del diritto d’autore e dei diritti/doveri dei consumatori nei confronti dei materiali coperti da copyright. Credo però pochi dissentano dal condannare attività di vero e proprio furto dell’ingegno altrui a scopo di lucro, in questo caso copiare una pellicola cinematografica appena uscita, per rivenderla al pubblico.

Con buona pace della larga banda e del P2P, il pericolo vero (almeno come percepito attualmente da molti operatori), sta proprio nel classico ambulante che ci vende a due lire il DVD di una pellicola uscita ieri nelle sale, senza pagare diritti, tasse e contributi. Incidendo piratescamente sin dal primo giorno della diffusione al pubblico del prodotto.

D’altra parte, con la tecnologia digitale, la copia è diventata quasi uno scherzetto: le videocamere sono minuscole e nel buio della sala fare una discreta ripresa, con un po’ di attenzione, non è un’impresa da Arsenio Lupin e pochi minuti dopo siamo già pronti a vendere al mondo la nostra personale ripresa del film.

Per rispondere al problema e cogliere una opportunità di business un’azienda americana, la Trakstar, ha sviluppato per combattere la guerra alla pirateria una serie di tecnologie che non sfigurerebbero in una guerra vera, proprio perché sfruttano invenzioni originariamente ideate per individuare cecchini nemici e mine nascoste.

Sensori invisibili, supportati da sofisticati sistemi di intelligence audiofonica, sembra non lasceranno più spazio agli operatori non autorizzati nascosti nell’accogliente (una volta) buio della sala.

Un piccolo fratello vi controlla
In estrema sintesi, come accennato, questa tecnologia è composta da due entità. La prima, Pirate Eye (nome più adatto ad una società di produzione di film pornografici, direi… ma non è un mio problema) consiste in una sinistra blackbox posta sopra lo schermo cinematografico. Questo piccolo grande fratello, dalla sua scatola (per l’appunto nera) emette invisibili flash che illuminano il pubblico in una gamma di radiazioni non avvertibili dall’occhio umano (pare che comunque abbiano sottoscritto polizze assicurative contro danni al sistema visivo di eventuali spettatori alieni presenti in sala).

Parte il flash a luce nera e inevitabilmente, data la natura della fisica corpuscolare, rispondono i riflessi generati dalle lenti delle videocamere. A meno che non siano dotate di un apposito tappo davanti all’obiettivo… ma in quel caso probabilmente nessuno troverà nulla da obiettare.

La scatola nera provvede a registrare l’immagine del pubblico in sala con un apparato digitale. L’immagine viene analizzata e se l’apparato ritiene che vi sia un duplicatore in sala, scatta l’allarme antifurto che mobilita polizia, marines o investigatori privati in agguato in sala.

Il “ping” che vi incastra
Per non correre poi ulteriori rischi, la stessa sala è contemporaneamente monitorata da un sistema di rilevazione audio. Pare sia una roba di quelle che si vedono nei film di sottomarini, dove l’addetto al sonar è in grado non solo di riconoscere tipo e nome dell’unità nemica in immersione, ma anche cosa ha mangiato ieri l’equipaggio e se il capitano sta sfogliando Playboy o la Settimana Enigmistica.

Il sistema TVS, proprio come un sonar, emette attraverso l’impianto audio della sala segnali inudibili (ultrasuoni? Infrasuoni? Saranno in stereo? Col Dolby?), che diabolica idea, restano registrati nella banda sonora della cassetta piratata. Così vi videoregistrate il film e, a vostra insaputa, resta inciso sul nastro anche luogo, data e ora dell’incisione.

Le conseguenze sono evidenti: se le forze dell’ordine sequestrano in seguito la copia abusiva, la analizzano e da questi marker audio identificano dove e quando è stata girata.

Facile allora recuperare le foto della sala scattate dal Private Eye, magari si controllano nomi, cognomi, tracce genetiche e impronte della retina degli spettatori (inevitabile che prima o poi ce le richiedano anche per andare a vederci un film) e restringono la cerchia dei sospetti a poche centinaia, su cui condurre le indagini per blindare il colpevole.

A prova di 007
E non pensiate di poter fregare il sistema rubando l’apparato per decodificarne l’algoritmo: il navigatore satellitare incorporato se ne accorgerebbe e darebbe immediatamente istruzioni al sistema di autodistruggere il proprio codice. E prossimamente l’hardware, una volta posto dentro il suo contenitore, sarà annegato in una colata di resina liquida, in modo da rendere tremendamente complesso l’accesso al sistema per capire come craccarlo.

Dovrebbe essere quindi solo una questione di tempo prima che questo sistema trovi il suo posto nelle sale di prima visione: il tempo necessario, invero, per metterlo a punto (nei primi test ha mancato un buon numero di videocamere nascoste e ha generato una certa quantità di falsi allarmi).
Il tempo necessario per capire come fare a scoprire se la videocamera, nascosta nel cappotto posto sulla poltrona del cinema, appartiene al pirata di destra o all’innocente cittadino seduto alla sua sinistra.

Fino ad allora ci dovremo accontentare di guardie private, dotate di occhiali ad infrarossi, a montare di guardia nella sala…

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