Il dibattito relativo alla censura in rete, alla tutela della privacy, al controllo dei governi sulle telecomunicazioni, è acceso e controverso. Agli onori della cronaca negli Stati Uniti in seguito a cause legali e per la presenza di diversi gruppi attivi per la difesa della libertà su Internet, ma molto sentito anche in Europa e negli altri paesi.
È noto l’utilizzo di software programmati per controllare la navigazione su Internet, particolarmente apprezzati da genitori timorosi delle visite dei figli a siti non proprio raccomadabili, ma la censura in rete non è solo questo, purtroppo.
Lisa Dean della Free Congress Foundation, in un recente congresso su “Internet e controllo” ha affermato: “Gli Stati Uniti hanno rappresentato, fin dalle origini, una società libera; ma i nuovi sviluppi tecnologici, l’approvazione di alcune leggi e le rivelazioni relative ad accordi internazionali negli anni recenti, potrebbero mettere in dubbio il rispetto delle libertà negli Stati Uniti nell’era digitale”.
Negli Usa sono state sollevate svariate polemiche in merito all’installazione di programmi di censura nelle macchine delle biblioteche; è noto il caso di una biblioteca in Virginia in cui siti sull’AIDS e la homepage ufficiale dei Quaccheri sono censurati (anche se solo per i minorenni dopo una causa legale), oltre a quelli a sfondo sessuale. Molti ragazzi nelle scuole americane non possono accedere a siti (oltre a quelli pornografici) sull’AIDS, sulla contraccezione, sui diritti degli animali e su alcune religioni non cristiane. Scelte quantomeno curiose per non dire inspiegabili e inquietanti.
La questione censura assume proporzioni maggiori quando si esce dagli Stati Uniti e dall’Europa: milioni di utenti Internet utilizzano la rete controllati da veri e propri cani da guardia tecnologici imposti da governi non precisamente democratici. Alcuni esempi sono stati illustrati da Bennet Haselton e Brian Ristuccia in occasione della nona edizione del convegno “Computer Freedom and Privacy” svoltosi a Washington DC dal 6 al 8 aprile e sponsorizzato da ACM.
Il richiamo di questo convegno è giustificato dal grande ruolo che negli ultimi anni ha ricoperto nel dibattito legato alla privacy e alla libertà su Internet attraverso l’intervento di autorevoli relatori e ospiti internazionali rappresentanti di istituzioni governative, del mondo economico, del settore educativo, del non-profit, dei media e delle campagne per i diritti su Internet.
Del resto anche quest’anno il programma degli argomenti e dei relatori era ricco e interessante. Tra le curiosità si registra l’assegnazione di due premi: il “EFF Pioneer Awards” e il “Privacy International’s Big Brother Awards”.
Il primo è un riconoscimento della Electronic Frountier Foundation che è stato assegnato postumo a Jon Postel, protagonista nella creazione dei sistemi DNS e autore di altri grandi contributi all’organizzazione di Internet; a Drazen Pantic, il direttore del primo ISP della Yugoslavia nell’ambito di B92, la stazione radio recentemente censurata e fatta chiudere; a Simon Davies, direttore di Privacy International.
Il secondo è un premio che ha l’obiettivo di “name and shame” – nominare e disonorare- organizzazioni che hanno dimostrato di trascurare completamente il diritto alla privacy. Tra i passati “vincitori” la US National Security Agency, il UK Department of Trade and Industry, e la compagnia di sorveglianza Harlequin Ltd.
Si tratta della prima edizione che ha luogo negli Usa e le nomination sono molte: i regolamenti bancari FDIC “Know Your Customer”; Intel Pentium III PSN system; il Sindaco di New York Rudolph Giuliani per aver proposto di testare il DNA dei bambini alla nascita; il Sottosegretario al Commercio David Aaron e il consigliere della Casa Bianca Ira Magaziner per le azioni volte alla restrizione della crittografia e l’opposizione alle leggi che tutelano la privacy; infine la Elensys Inc, una compagnia che ha segretamente raccolto dati relativi alla salute di milioni di pazienti in oltre 15.00 farmacie.
Tornando alle informazioni sulla censura fornite dalla relazione di Bennet Haselton (PeaceFire) e Brian Ristuccia (Anti-Cenrship Proxy), in Cina per esempio gli oltre 600 mila utenti Internet accedono alla rete attraverso un firewall imposto dal governo che impedisce loro di visitare siti informativi occidentali come la CNN. Singapore (500mila utenti) censura per tutti gli utenti siti a sfondo sessuale e con inclinazioni razziste (sempre censura è ma un po’ meno bulgara). In Birmania, anche se considerato il livello di povertà non sarebbero molte le persone in grado di dotarsi delle apparecchiature per navigare, il governo ha vietato l’uso dei modem con una pena di 15 anni di carcere per il reato di essersi collegato in rete.
Già da alcuni anni sono stati creati sistemi per aggirare la censura digitale e i due sopracitati relatori hanno illustrato a Washington il funzionamento di ACP (Anti-cencorship Proxy), un software gratuito in grado di scavalcare firewalls e server proxy programmati per impedire l’accesso a determinati siti attraverso blacklist di indirizzi e parole chiave.
Il metodo più utilizzato per aggirare la censura digitale è sempre stato il cosiddetto “tunneling” che in parole semplici consiste nel farsi mandare via e-mail da qualcuno che naviga liberamente il contenuto di pagine censurate. Possibilmente con l’accorgimento di crittografarle.
Un metodo abbastanza semplice, anche se richiede l’appoggio di un esterno e non con tutti i sistemi funziona. Trovare un amico in Internet non è tutto sommato difficile (anche se l’utente sovversivo cinese non saprà mai se il suo benefattore d’oltreconfine sia un bambino, un pensionato, un uomo, una donna o -citando la celebre vignetta- un cane), ma non è troppo sicuro usare l’e-mail per questo scopo ed è comunque un percorso macchinoso.
Nel 1996 Glen Roberts istallò un server ([email protected]), ormai defunto, che aveva lo scopo di inviare a utenti controllati pagine censurate. Nel 1996 Anonymizer (insieme ad altri) fu utilizzato come mirror per visualizzare pagine bandite, ma presto fu censurato anch’esso e quindi ritornò al suo scopo originario, cioè nascondere l’identità dell’utente che desidera navigare nell’anonimato.
Anti-Censorship Proxy (ACP) è il primo tentativo di creare un sistema realmente affidabile ed efficiente. Un limite tuttavia rimane: un amico bisogna averlo comunque, anche se gli si chiede meno impegno.
Il principio di funzionamento di ACP è lo stesso del vecchio Anoymazer (carichi l’URL vietato attraverso un altro web) e quindi è stato presto censurato anch’esso e inserito nelle blacklist, ma i suoi creatori hanno studiato un sistema per farlo funzionare ugualmente. È necessario avere un amico che configuri la sua macchina perché faccia da tramite tra il computer soggetto a controllo e le pagine censurate.
Il meccanismo è alquanto complicato in verità, perché i sistemi che bloccano determinate navigazioni sono estremamente sofisticati e non è così banale comunicare tra macchine senza che i programmi di censura intercettino i dati che vengono trasmessi. Di conseguenza è entrata in gioco la crittografia che ha risolto molti problemi ma non ha certamente semplificato la vita dei programmatori di ACP, i quali hanno utilizzato svariati metodi per proteggere le trasmissioni in tutte e due le direzioni (per la descrizione tecnica si rimanda agli atti della conferenza presso http://www.cfp99.org/index.htm).
Individuato un sistema che crittografasse in maniera sicura si presentò ai programmatori un altro problema: Il proxy non avrebbe capito cosa veniva caricato sulla macchina e con chi stava comunicando l’utente, ma sicuramente quest’ultimo sarebbe risultato sospetto collegandosi sempre in modalità crittografata allo stesso indirizzo (utilizzato da base per poter poi navigare ovunque seguendo il metodo di Anonymazer o utilizzando Anonymazer stesso).
Per fare in modo che il sistema non si accorgesse che si trattava di dati crittografati era necessario utilizzare stringhe con più lettere e meno numeri, ma questo significava rendere l’URL estremamente lungo e quindi ugualmente sospetto. I programmatori ovviarono all’inconveniente attraverso un comando di POST, letto dal proxy come la compilazione e l’invio di un form (metodo che permette di trasmettere parecchi dati inosservatamente).
Nonostante sia avvincente seguire tutti i passaggi e gli ostacoli incontrati da chi ha programmato questi software, essi risultano comunque abbastanza macchinosi e complessi, oltre che non sempre affidabili. Non sono comunque stati registrati casi di minorenni o cittadini soggetti a controllo della censura puniti per aver usato ACP.
Non siamo in Birmania, quindi possiamo usare i modem; non siamo in Cina, quindi possiamo navigare liberamente senza provare il brivido o la scocciatura di cercare metodi per scavalcare questi sofisticati sistemi. Ma il controllo, la privacy e la censura sono temi di interesse internazionale e Internet (mi si perdoni la banalità) è una rete globale senza confini, per cui forse potremo trovarci coinvolti direttamente in una storia di contro-censura: chissà che domani non riceveremo nella nostra e-mail la richiesta di aiuto di un cinese assetato di news dall’occidente!