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Tecnologicamente evoluti, ne vale la pena?

06 Maggio 1999

Tecnologicamente evoluti, ne vale la pena?

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Se non comunichiamo non esistiamo. Con ciò riteniamo di appartenere all'attuale crema dell'umanità. E se quelli che sono tagliati fuori vivessero meglio?

Ora che va di moda parlare di convergenza, parola strappata ai gommisti per indicare l’integrazione di tv telefono computer e così via, si insinua spesso che il mondo con ciò si vada dividendo in due: da una parte i (pochi) tecnologicamente evoluti che costituiscono la società dell’informazione (convergente), dall’altra i (molti) esclusi dalla tecnologia, e, perciò stesso, dalla società.

Gli evoluti passano il loro tempo a interagire freneticamente comunicando fra loro; i tagliati fuori lavorano perché gli evoluti si nutrano e si vestano, e quando hanno finito crollano davanti a una bieca tv generalista da guardare in stato di rimbambimento.

Ammettiamo che sia triste la vita dei tagliati fuori. Ma quella degli evoluti sarebbe allegra? Costoro sono intenti a chiacchierare fra loro in tutti i modi possibili: telefoni, e-mail come se grandinasse, audiovideoconferenze, siti, reti, varia interattività. Le informazioni che si palleggiano vicendevolmente sono quasi sempre autoreferenziali: sulla rete si parla della rete (come sto facendo io adesso), chi c’è già ne parla a chi già c’era e non riesce a parlargli d’altro (ancora come sto facendo io adesso), si frequentano siti che parlano di siti (come quello in cui sono io adesso).

L’unica informazione che sembra veramente prodotta dalla società dell’informazione è appunto che esiste una società dell’informazione: ciò viene ossessivamente ripetuto, rigirato, vivisezionato senza che se ne esca mai (sempre come sto facendo io adesso).

Il guaio è che questo gioco sul filo dell’insensato è tale solo se non rallenta mai. Gli evoluti cessano di esser tali nel momento in cui la chiacchiera si interrompe. Dobbiamo assolutamente inviare e ricevere informazione, quale che sia e comunque. Se il computer non tintinna ogni cinque minuti per dirci che qualcuno ci ha pensato e ci ha mandato un’e-mail (in genere insignificante) ci sentiamo perduti, finiti, azzerati. La società dell’informazione consiste unicamente nello scambio, ed è assolutamente indifferente al suo contenuto: solo se il flusso rallenta, ristagna, si ferma, ci sentiamo (e siamo) perduti.

In una società più primitiva, non ci si sentiva spacciati se si trovava la cassetta delle lettere vuota: magari era un sollievo, “almeno oggi non è arrivata nessuna bolletta”. In questa società evoluta, una mail box che per un paio di giorni resta inerte diventa un dramma privato, si telefona subito al provider sperando nel “crash del mail server”, si reinstalla tutto, si cambia il modem, si fa qualsiasi cosa pur di non ammettere che sì, è vero, oggi nessuno ha scambiato informazioni con me.

Se questa è la vita degli evoluti, ne vale la pena? Noi siamo qui a scambiarci informazioni (spesso vacue e quasi sempre autoreferenziali). Passiamo tutto il nostro tempo a dirci più o meno tutto su più o meno nulla. Ci sentiamo perduti se il grande flusso rallenta. Se non comunichiamo non esistiamo. Con ciò riteniamo di appartenere all’attuale crema dell’umanità.

E se quelli che sono tagliati fuori vivessero meglio? Se la crema dell’umanità fosse altro, e fosse altrove? Se da far convergere ci fosse qualcos’altro, prima di un telefono e un PC?

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