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Taxista, segua quel bit

21 Luglio 2014

Taxista, segua quel bit

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Miglioramenti ad HTTP se ne possono immaginare a iosa, ma qualcuno ha una immaginazione troppo vivace.

Qualche giorno fa ho scritto delle discussioni e delle idee messe in campo per HTTP 2.0, la prossima versione del protocollo che dà vita al web. A partire da SPDY, una proposta nata in Google che potrebbe costituirne l’ossatura.

Adesso un altro bel gruppo di teste d’uovo, questa volta basato al MIT, se ne esce con un’altra idea chiamata HTTPA (HTTP with Accountability). Hanno cominciato a lavorarci nel 2010 partendo da una idea di sir Tim Berners-Lee, il papà del web e quest’anno hanno cominciato a buttare giù codice per vedere se si arriva a qualcosa di funzionale.

In sostanza questi signori vorrebbero accoppiare a ogni trasferimento dati via HTTP una descrizione di chi sia il proprietario dei diritti d’autore sull’elemento in questione e una dichiarazione di quale uso possa farne lo scaricante. Per esempio, se un fotografo pubblica qualche sua opera potrebbe dichiarare non stampatela e non riutilizzatela in altre pagine.

Mi esporrò senza mezzi termini: è una idea imbecille e una totale perdita di tempo. Innanzitutto, una volta che un dato è sul mio calcolatore, quel dato è mio e ci faccio quel che voglio, a prescindere da quel che dicono le metainformazioni. L’unico modo di proteggere un dato digitale dalla duplicazione incontrollata è blindare lo hardware, il sistema operativo e il software come se fossero una cosa sola. Questo si può fare in piattaforme chiuse come una console per videogiochi, ma non sulla piattaforma più aperta del mondo che è il web. Un sistema di controllo dei diritti (DRM) sul web si può attuare, a patto di aggiornare tutti i browser, ma non bloccherà ingegneri motivati; servirà solo a scoraggiare hobbisti della domenica e ragazzini delle medie.

Non siete convinti? Mettiamola così. Diciamo che in una immaginaria futura versione 40.0 di Firefox compare il supporto di HTTPA. Vado sul sito della Mozilla Foundation che contiene il codice sorgente di Firefox, lo scarico, lo apro, tolgo il pezzo di codice che blocca la duplicazione dei contenuti, compilo. Fatto. Per un ingegnere informatico è lavoro da dopocena.
Ancora non del tutto convinti? Sappiate allora che ci hanno già provato. Nel 1994 lo Xerox Parc aveva progettato Digital Property Rights Language, un sistema del tutto analogo nelle intenzioni:

Una soluzione tecnica al problema della copia è ora a portata di mano ed è in corso di adozione da parte di vari produttori come Folio, IBM, Intertrust, NetRights, Xerox e Wave Systems.

Nel 1998 si è concretizzato in un grosso accrocchione XML che qualcuno ha provato a usare, molti hanno ignorato e ha fatto la tradizionale fine della palla di neve posizionata all’inferno.

Il diritto d’autore è importante e va tutelato. Lo penso davvero, non lo scrivo solo perché se non lo facessi verrebbe qui da me Inge Feltrinelli vestita come Uma Thurman in Kill Bill a fare sushi del sottoscritto. Ma non sprechiamo tempo in battaglie contro i mulini a vento, per favore.


Dal 4 al 22 agosto Apogeonline andrà in vacanza e tuttavia alternerà agli articoli migliori della stagione uno straordinario diario di viaggio dalla California del nostro Simone Aliprandi: interviste, eventi live e altro purché interessante, nel pieno della Silicon Valley. Sarà una vacanza speciale!

L'autore

  • Luca Accomazzi
    Luca Accomazzi (@misterakko) lavora con i personal Apple dal 1980. Autore di oltre venti libri, innumerevoli articoli di divulgazione, decine di siti web e due pacchetti software, Accomazzi vanta (in ordine sparso) una laurea in informatica, una moglie, una figlia, una società che sviluppa tecnologie per siti Internet

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