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Successi e insuccessi dei cybersquatter

21 Luglio 1999

Successi e insuccessi dei cybersquatter

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Ora che gli imprenditori del Web vanno scoprendo che il successo arride agli indirizzi meno complicati, si fa più roseo il futuro dei cosidetti “cyersquatter”. Ovvero di alcune persone tra …

Ora che gli imprenditori del Web vanno scoprendo che il successo arride agli indirizzi meno complicati, si fa più roseo il futuro dei cosidetti “cyersquatter”. Ovvero di alcune persone tra i non pochi che da tempo hanno registrato nomi di dominio a dir poco strategici, oltre che somiglianti a noti marchi e aziende. Mentre crescono gli utenti online, è ovvio che la semplicità dell’URL rimane fattore determinante per non perder tempo con i motori di ricerca, i quali tra l’altro non riescono che ad archiviare una minima percentuale dei siti Web aperti quotidianamente.

È il caso di computer.com, registrato (e mai attivato) cinque anni addietro per la modica cifra di 40 dollari e recentemente acquistato da un businessman del Massachusetts per 500.000 dollari più una parte delle potenziali azioni in borsa.

Lo stesso businessman, Mike Zapolin, aveva rilevato anche il nome beer.com da un appassionato di birre che lo aveva registrato per primo e che ne ha conservato parte dei diritti. Ora che molte aziende produttrici di birra hanno avanzato consistenti offerte a Mr. Zapolin, ecco che il primo proprietario vede concretizzarsi cifre da milioni di dollari senza mai aver fatto nulla nel frattempo.

Decisamente opposto però il destino di altri indirizzi generici, e dei relativi proprietari. Ad esempio, www.www-shopping.com, sito fatto in casa che dall’agosto ’98 è riuscito ad attirare appena 4.800 visitatori, si trova sotto pesanti pressioni legali. Motivo? Violerebbe il marchio registrato di shopping.com, agguerrito sito già del gruppo Compaq-AltaVista e ora di proprietà CMGI, in quanto parte dell’acquisizione del noto motore di ricerca. Gli avvocati insistono perchè l’URL venga semplicemente ceduto ai “legittimi proprietari,” minacciando i “cybersquatter” di avviare denuncie in caso contrario. Una tattica che tuttavia deve trovare ancora conferme nelle aule di giustizia USA, anche perchè secondo alcuni esperti in casi simili non si tratterebbe più di tutelare i marchi registrati quanto piuttosto di violare il diritto di chiunque all’utilizzo di indirizzi e termini generici.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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