Simone Aliprandi aveva già scritto di come sia stato stipulato il protocollo di intesa che sostanzialmente impegna Microsoft a propagandare gratis i propri prodotti e servizi nella scuola italiana con la scusa della formazione.
La mia opinione personale è vicina a quella di Italo Vignoli di LibreItalia, il quale ha vasta esperienza di confronto con le forze del software proprietario e ha ben spiegato a Repubblica come stanno le cose:
Si tratta solo di strategia commerciale. La colpa non è di Microsoft, che fa il suo lavoro e porta avanti i suoi interessi, ma del Ministero. Per correttezza, avrebbe dovuto fare un’informazione trasversale su questi temi, dove esistono più voci, meritevoli di un identico spazio. E non firmare un’intesa con un’unica azienda. […] ascoltare un’unica campana, significa creare nei ragazzi la convinzione che esiste un solo prodotto in grado di lavorare in una certa maniera, un solo standard per i documenti e un solo modo di fare information technology. Quando, invece, non è assolutamente vero.
Opinioni a parte, la questione è se appiattire la scuola sulla biodiversità zero del software sia nell’interesse degli studenti e in ultima analisi di tutti, visto che poi quegli studenti cercheranno e – quelli con più spirito – creeranno lavoro.
L’idea di Microsoft è chiara e ovvia: formazione gratis più Office gratis uguale futuri adulti uniformati e omologati. Office gratuito accade per esempio a Politecnico Marche, università di Verona, Ca’ Foscari,, università di Firenze, università di Milano, università di Cassino e Lazio meridionale (orgogliosa della fornitura), Roma Tre e università della Calabria, che definisce la situazione importante investimento culturale e organizzativo, come se fosse stato pagato.
Per il Ministero la doppia foglia di fico di tuttogratis e nessunaesclusiva è sufficiente a coprire tutto, come se valesse il criterio che il soggetto più danaroso è quello più meritevole di attenzione nelle aule. Per il bene della scuola e degli studenti, disgraziatamente, non lo è. Il mondo è cambiato.
Impensabile, vent’anni fa, leggere un articolo intitolato Non sono gli strumenti a farti trovare lavoro. Parla di decine di veri posti di lavoro perduti da vere persone che nella loro carriera digitale non avevano imparato un mestiere, ma un programma.
Non dovremmo insegnare agli studenti il prodotto X, perché potrebbero ritrovarsi in una situazione di lavoro dove il prodotto X non si usa. Dovremmo insegnare agli studenti i principî su cui si basa il prodotto X e quei principî varranno quale che sia lo strumento utilizzato.
Serve citare situazioni di lavoro dove Office o Windows non si usano, o sono una alternativa come le altre, o sono marginali? Aziendine come Apple, Facebook, Google, IBM, Red Hat, Yahoo; amministrazioni pubbliche di ogni tipo e dimensione e si potrebbe andare avanti a lungo.
Docenti, studenti, ministeriali: per entrare preparati nell’economia globale e iperconnessa del 2020, sarà più importante l’editor di equazioni di Word oppure MathML, appena diventato standard internazionale?