Il giornalismo è in crisi, si sente ripetere continuamente, e la necessità di reinventarsi e trovare nuovi modelli sostenibili di finanziamento è avvertita in modo pressante. Spesso a farne le spese sono le inchieste complesse e articolate: il giornalismo investigativo sembra destinato a sparire in tempi brevi. L’evidente paradosso è che viene sacrificata la trattazione di temi che stanno a cuore ai lettori, che si ritrovano a non poter quasi mai dettare l’agenda e, di conseguenza, a perdere fiducia nei mezzi di informazione. Come rompere il circolo vizioso? Semplice, chiedendo soldi ai lettori per condurre le inchieste che ritengono importanti.
È la risposta di Spot Us, un progetto non profit che si propone di aiutare i giornalisti a trovare fondi per i propri articoli attraverso contributi di piccola entità da parte dei cittadini. Una volta proposto un tema, vengono stabiliti anche una somma da raggiungere e una data: se a quel punto i soldi sono stati raccolti, l’inchiesta sarà realizzata dal giornalista che l’ha proposta o da uno dei giornalisti che fanno parte della community, aperta alla partecipazione di tutti. I contributi sono micro-donazioni da 25 dollari in su (ad ogni modo una persona non può finanziare un’inchiesta per più del 20% del totale). Questa tipologia di finanziamento è nota col nome inglese di crowdfunding, letteralmente “finanziamento delle folle”, e ha avuto molta attenzione di recente: le piccole somme donate da gente comune sono state infatti una delle forze (e delle novità) della campagna elettorale di Barack Obama.
Al momento i temi delle inchieste in attesa di contributi vanno dall’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, all’impatto della crisi economica sulle piccole imprese del posto, alle forme di energia rinnovabile fino alle baraccopoli e all’inquinamento della baia dopo un disastro ecologico avvenuto lo scorso anno. «Si tratta di temi complessi e articolati che probabilmente non troverebbero spazio nei giornali, ma che hanno grande rilevanza per gli abitanti della Bay Area, la zona che si sviluppa intorno a San Francisco», spiega David Cohn, il ventiseienne giornalista californiano che ha fondato Spot Us lo scorso aprile (il progetto è stato realizzato grazie ai 350.000 dollari vinti al Knight News Challenge, un concorso per progetti di giornalismo innovativo). La dimensione locale è in effetti cruciale, soprattutto in fase di avvio del progetto: nel giro di pochi mesi si è creata una piccola rete di persone interessate e informate sui problemi della propria zona. Spot Us punta tutto sulla relazione di fiducia tra lettori e giornalisti, quasi una forma di collaborazione, dal momento che le proposte per le inchieste possono arrivare sia dai primi che dai secondi, oltre che dalle redazioni di giornali.
Il processo è aperto e la quantità di soldi raccolti è disponibile per ogni inchiesta; inoltre, la crescita del progetto, dalla realizzazione tecnica ai primi tentativi di raccolta di fondi, è stata puntualmente documentata sul blog del sito, che ospita anche gli articoli dei giornalisti. Ma cosa succede se un giornale fosse interessato agli articoli di un’inchiesta? I contenuti hanno licenza Creative Commons e possono essere ripubblicati. Se però quella redazione volesse dei diritti parziali sui pezzi (first publishing rights) dovrà pagare per averli: quei soldi torneranno ai membri della community che hanno finanziato l’inchiesta, sotto forma di crediti da reinvestire in altri articoli.
Spot Us ha già ricevuto numerosi e significativi segnali di attenzione anche dalle grandi imprese editoriali: lo scorso agosto, ad esempio, il New York Times gli ha dedicato un articolo piuttosto positivo, anzi, persino prematuro secondo il fondatore di Spot Us. «Sono stato contento dell’articolo, ovviamente, ma avrei preferito fosse arrivato più tardi: era troppo presto, non eravamo ancora pronti a mostrare tutto quello che stavamo preparando. Siamo tutt’ora in una fase beta, vogliamo lavorare anche sulla parte tecnica del pagamento con carta di credito (al momento è possibile fare donazioni solo da Stati Uniti e Canada) e vogliamo aggiungere nuove funzionalità per i cittadini, i reporter e i media interessati alle inchieste». La crescita di un gruppo compatto e partecipe è la forza, e in quanto tale anche l’obiettivo, di questo progetto, per ora attivo solo nella città californiana, ma dichiaratamente open source: chi ci lavora sta infatti provando a portare l’idea anche in altre aree urbane come New York, Los Angeles eSeattle.
David Cohn, che ha già collaborato ad iniziative di giornalismo partecipativo come New Assignment, si occupa del futuro della sua professione anche in altri modi: per il secondo anno ha collaborato con Jeff Jarvis, docente di giornalismo e opinionista di riferimento su questi temi, alla realizzazione di una conferenza sul futuro del giornalismo, svoltasi a New York qualche settimana fa. Il tema di quest’anno, spiega, erano i nuovi modelli di business. «Al momento nessun altro utilizza il nostro approccio, comunque apprezzato, di chiedere fondi direttamente al pubblico: il tema ricorrente erano le diverse strategie usate dai siti indipendenti di informazione per costruire dei network in cui innestare pubblicità mirata (basata sulle informazioni che si hanno sui lettori). Se le redazioni tradizionali vogliono andare in questa direzione, però, devono ancora lavorare moltissimo».