Molti di noi non se ne sono accorti, ma sta arrivando la privatizzazione dello spazio.
Intendiamoci, sul fronte del lancio in orbita di satelliti artificiali l’entrata in gioco di aziende private è avvenuta già da tempo. Quello che era invece rimasto appannaggio di grandi stati (Russia, Cina e – se risolvono i problemi dello Shuttle – gli USA) era il lancio fuori dell’atmosfera terrestre di esseri umani.
Il business dello spazio ha però recentemente voltato pagina: e se vogliamo proprio trovare una data simbolica, questa è quella del 4 ottobre 2004 – data in cui la nave spaziale SpaceShipOne ha vinto l’Ansari X Prize.
Primo premio spaziale
Istituito nel 1996, il premio intendeva stimolare la nascita di un’industria spaziale privata, ispirandosi esplicitamente ai premi aereonautici degli anni ’20 che portarono alla celebre trasvolata intercontinentale di Charles Lindbergh.
Le regole erano sostanzialmente semplici: avrebbe vinto il team privato (proibiti apporti di capitale, supporti e aiuto da parte di enti statali) che fosse riuscito a lanciare in volo suborbitale una nave spaziale riutilizzabile, dalla capacità di tre persone, ripetendo l’impresa in meno di due settimane con lo stesso veicolo e praticamente cambiandogli solo l’olio, i filtri e le spazzole del tergicristallo tra un volo e l’altro.
La squadra fondata da Burt Rutan (leggendario innovatore della progettazione aeronautica) e finanziata da Paul Allen (un signore che siede su qualche miliardo di dollari in virtù di essere stato il cofondatore di Microsoft) ha fatto piazza pulita dei consorzi avversari, con due straordinari voli oltre i confini dell’atmosfera a 6 giorni di distanza. Offrendo, per una volta tanto, una diretta televisiva in webcasting che valeva la pena di vedere.
Si sono così portati a casa i 10 milioni di dollari del premio.
Poca cosa rispetto all’investimento totale del progetto.
Era però ovvio che il vero obiettivo dei partecipanti al premio fosse diventare i fondatori e protagonisti di un nuovo business: quello del turismo spaziale.
La Vergine Galattica
Detto fatto: Sir Richard “Virgin” Branson, quando ha nasato che il consorzio aveva le carte in regola e la tecnologia per farcela, ha costituito una bella società chiamata (indovinate un po’) Virgin Galactic.
Basata su un accordo di licenza della tecnologia di SpaceShipOne, Virgin Galactic vuole essere il primo operatore in grado di offrire voli turistici spaziali, utilizzando un’evoluzione del veicolo vincitore dello X Prize.
Alla faccia dei voli low cost…
Se i prezzi non saranno proprio popolari, saranno comunque molto inferiori ai 20 milioni di dollari che hanno sborsato alla Nasa Dennis Tito and Mark Shuttleworth per farsi un giro turistico sulla stazione spaziale internazionale.
Ad un costo previsto sui 180,000 Euro, Sir Richard ha già la coda di aspiranti cosmonauti fuori della porta. Senza contare che, compresi nel prezzo, avrete non solo un paio d’ore di volo ma anche tre giorni di addestramento pre spaziale.
Se vi interessa, potete già registrarvi on line: l’anno prossimo sarete ricontattati e potrete lasciare una caparra per prenotare il vostro volo.
Se poi i soldi proprio non li avete, non disperate. 7 UP, la bevanda ufficiale dell’Ansari X Prize, ha già annunciato che metterà prossimamente in palio biglietti gratis per i voli spaziali.
Una flotta stellare
Il primo vascello spaziale targato Virgin sarà il VSS Enterprise, cui ne seguiranno altri 4 – ognuno della capienza di 5 persone (scommettiamo che si chiameranno Constitution, Eagle, Endeavour e Essex ?).
I primi voli aperti al pubblico dovrebbero iniziare nel 2007 dal Mojave Airport / Spaceport: Sir Richard e mister Rutan hanno promesso che saranno entrambi a bordo del volo inaugurale.
Se poi il business decolla (perdonate la battuta), Virgin Galactic dovrebbe aprire uno spazioporto in Europa, uno in Australia, poi in Giappone e forse uno pure in Africa.
Un giro d’affari stellare
Secondo Virgin Galactic, l’investimento necessario per lo sviluppo della nuova generazione di navi spaziali e per tutti gli aspetti infrastrutturali che potrebbero tradurre in realtà il turismo suborbitale supererebbe i 100 milioni di dollari. Ma i fatturati realizzabili sarebbero, come dire, astronomici.
La torta è appetitosa e altri player bussano alla porta del balzo suborbitale turistico, primi fra tutti gli altri partecipanti allo X Prize (che però ad oggi non sono riusciti a compiere nemmeno un voletto di prova).
Mandateci in orbita
C’è però chi sostiene che il volo suborbitale sia troppo limitato, che come esperienza turistica dia troppo poco per il prezzo che costa.
La barra degli standard si sta dunque già alzando e s’inizia a guardare più in alto – al vero volo spaziale con orbite intorno alla terra e tutto quanto.
Il problema del volo orbitale è spaventosamente più complesso: mentre SpaceOne si può accontentare di raggiungere i 4000 km/ora e volare ad un’altezza di 112 kilometri, per sfuggire alla gravità terrestre ed entrare in orbita bisogna dare un po’ più di manetta (lo shuttle va a circa 29,000 km/ora) ed arrivare almeno 70 km più in alto; senza contare il problemino del rientro che vi porta ad affrontare temperature di oltre 1600 gradi.
Visto che l’istituzione di un premio ha portato in tempi relativamente brevi al voletto suborbitale, qualcuno ha pensato di fare lo stesso per il bersaglio grosso.
È stata dunque annunciata l’istituzione dell’America’s Space Prize, una competizione orbitale sponsorizzata dal magnate americano dell’industria alberghiera Robert Bigelow.
Il vincitore si porterà a casa 50 milioni di dollari (sicuramente una frazione minuscola dei costi) ed il diritto di diventare il vettore ufficiale che porterà i clienti all’hotel che l’albergatore Bigelow intende costruire in orbita.
Se tutto ciò non sembra sufficientemente inusuale, aggiungiamo che l’albergo in questione sarà costituito da una stazione spaziale.
Gonfiabile.
Si tratta dell’evoluzione di un progetto studiato per anni dalla Nasa e poi abbandonato, di cui Bigelow ha comprato pezzi di tecnologia e know how investendo considerevoli somme di denaro.
I primi test della stazione Nautilus (un involucro che, messo in orbita sgonfio per risparmiare sul lancio, una volta in orbita si assume pneumaticamente la configurazione abitabile) dovrebbero già iniziare nel 2005. Non posso fare a meno di domandarmi se come cavie per l’esperimento spareranno in orbita anche un equipaggio di bambole gonfiabili.
Modelli di business
Il copertone orbitale non dovrebbe limitarsi ad impieghi turistici ma intenderebbe offrire di più. Principalmente proporre a privati, industrie o università l’opportunità di condurre ricerche nello spazio o produrre materiali speciali in condizioni di microgravità.
Ma, onestamente, nessuno ha dubbi sul fatto che la vera killer application del turismo spaziale sarà lo sperimentare il sesso in assenza di peso. Dato che la faccenda è molto più complessa di quanto possa apparentemente sembrare, sta già nascendo un indotto editoriale: sarebbe in dirittura d’arrivo la “Dummy’s Guide to Zero-Gravity Sex” e, qui da noi, anche la casa editrice Apogeo avrebbe commissionato a esperti di bioastronautica un titolo analogo.
Le nuove Star Wars
Il turismo spaziale d’alta quota è comunque anche nei piani di Sir Branson: è infatti previsto che i profitti di Virgin Galactic vengano reinvestiti nell’impresa per far progredire la tecnologia, l’affidabilità e l’economicità del volo spaziale, con l’obiettivo finale di aprire un hotel Virgin nello spazio: ed è abbastanza probabile che le grandi catene alberghiere internazionali abbiano gia commissionato studi di fattibilità.
È dunque prevedibile che verso la fine del decennio in corso assisteremo ad un nuovo tipo di Guerre Stellari: quelle che gli hotel orbitanti si dichiareranno senza esclusione di colpi, per accaparrarsi le ambite stelle delle prossime guide al turismo orbitale.