È già trascorso un anno da quando è stata avanzata l’idea di piazzare dieci schede Raspberry Pi sulla stazione spaziale attualmente orbitante attorno alla Terra e ora il progetto battezzato Astro Pi è pronto per decollare.
Astro Pi è una scatola contenente una scheda Raspberry Pi Hat, ovvero dotata di un paio di schede aggiuntive (Hardware Attached on Top) e quindi ampliata con diversi dispositivi:
- Giroscopio, accelerometro e magnetometro.
- Sensore di temperatura.
- Sensore di pressione barometrica.
- Sensore di umidità.
- Orologio in tempo reale con batteria di backup.
- Una matrice di display a 8 x 8 LED RGB.
- Diversi pulsanti.
- Una telecamera nel visibile e una telecamera a infrarossi.
Inserito il tutto in un contenitore a prova di tutti i parametri fisici estremi a cui sarà sottoposta durante il lancio, ciò che mancava era lo scopo a cui destinare Astro Pi, ovvero il codice che ne costituisce il cuore software, per farle fare qualcosa di interessante in una situazione scientificamente così particolare.
Approfittando del fatto che l’astronauta che l’accompagnerà è l’inglese Tim Peake, l’agenzia spaziale del Regno Unito ha stanziato due milioni di euro per il progetto, purché coinvolgesse scuole e studenti di ogni ordine e grado, fin dalle primarie.
Si è così scatenata una gara all’ultimo script (i pezzetti di codice che dicono alla scheda quali compiti svolgere), che ha espresso i vincitori. Il codice di ciascuno sarà preventivamente caricato su una delle schede e i risultati, messi online, restituiti ai proprietari per un’analisi che costituirà materiale didattico affascinante, ne siamo certi, per i prossimi anni.
Le idee vincitrici parlano da sole. Si tratta di software che prenderanno immagini della terra per analizzare lo stato delle piante sull’intero globo o perfino programmi che misureranno le radiazioni utilizzando le telecamere di Raspberry Pi con l’obiettivo opportunamente oscurato, così da registrare macchie di luce che non dipendano dalle radiazioni visibili. ln quest’ultimo caso il codice utilizza OpenCV (un software open source di rivelazione delle immagini) per misurare l’intensità di tali macchie producendo una misurazione complessiva del livello di radiazione raccolta.
E ancora altri, come il codice scritto da Hannah Belshaw, della sezione femminile di un collegio inglese, che traspone in un mondo virtuale Minecraft ciò che sta accadendo sulla stazione spaziale. Il codice è già visibile sulla piattaforma GitHub.
La giuria che ha valutato i codici inviati dagli studenti è composta da diversi rappresentanti delle agenzie spaziali e delle più importanti industrie inglesi partecipanti alla preparazione della missione. Un collegamento tra scuola e mondo del lavoro che ha entusiasmato anche le società coinvolte, come Andy Powell della Knowledge Transfer Network:
Tutti i giudici sono rimasti impressionati dalla qualità del lavoro dallo sforzo infuso nei progetti vincitori e dalla loro utilità, essendo ben realizzati e oltretutto anche divertenti
Si rimane sempre affascinati dalla possibilità che le tecnologie del mondo maker siano così coinvolgenti per le nuove generazioni, ma soprattutto dalla lungimiranza di alcuni sistemi scolastici che liberano le energie creative dei giovanissimi dando loro la possibilità di partecipare ai progetti tecnologici più importanti a livello mondiale. Anche in questo caso, ci sembra, abbiamo molto da imparare.