Fa venire un po’ il magone, a pensarci. Vent’anni fa l’Italia era alla’avanguardia in Europa per infrastruttura Internet; la nostra nazione era anche la prima per rete cellulare, ai tempi del 3G. Ma oggi parliamo di fibre ottiche.
Il primo seabone, un cavo sottomarino dedicato in fibra da 100 gigabit, venne steso per connettere direttamente il Bel Paese agli USA, patria di Internet. Poi quel cavo è stato acquisito da Telecom Italia attraverso la controllata Sparkle. Per rendersi conto di quanta strada è stata fatta da allora comparatelo con Faster Cable System, in sigla FCS, entrato in azione pochi giorni fa per collegare USA a Cina e Giappone: 60 terabit, ovvero seicento volte di più. FCS è destinato a venire surclassato l’anno prossimo da MAREA, un cavo finanziato in parte da Microsoft e Facebook che con le sue otto fibre ottiche di nuova generazione è capace di 160 terabit/secondo. Collegherà la Virginia con l’Europa del Sud: in pratica, ahinoi, con Bilbao in Spagna (che tanto a sud non è). Si dimostra che i cugini di oltre i Pirenei son più bravi di noi a convincere i tecnici a tirare i cavi a loro vantaggio.
Il governo Renzi in questo (e, verrebbe da dire, in molto altro, ma non vorrei buttarla in politica) pare seguire la strategia del meglio poco (e tardi) che mai e prova a ritagliare per il nostro Paese una strategia di importanza locale. Sfruttando la posizione dello Stivale, lo vorrebbe come centro di smistamento del traffico Internet nel Mediterraneo, in concorrenza con le analoghe mire che ha la Francia con il suo snodo di Marsiglia. In Sicilia, a Mazara del Vallo, arrivano e partono fibre ottiche – se non sbaglio, la più capiente è capace di otto terabit per secondo – anche se sull’isola ben poco è stato fatto per sfruttare le occasioni che questo groviglio di cavi potrebbe portare. Una eccellente banda passante, ormai il fenomeno è ben studiato, permette prima la nascita di aziende tecnologiche (data center, fornitori di servizi digitali, sviluppo web) e poi di imprese che sfruttano questo fertile tessuto per crescere, fatturare, dare impiego (commerci elettronici, comunicazione, startup…).
Non aiuta l’atteggiamento del nostro ex monopolista. TIM (sigla, se non ricordo male, che sta per Telecom Immobile), pare abbia deciso di stillare sangue sin quando possibile da quella rapa che è la sua ottocentesca rete di cavi in rame di proprietà. Tutti gli operatori parlano con tutti, discutono di prezzi ed alleanze, ma nessuno tira i benedetti, moderni, cavi per mandare dieci gigabit, o almeno uno, nelle imprese e nelle case italiane. I bandi di gara per la costruzione di una prima infrastruttura in sole sei regioni sono stati pubblicati (in ritardo) in giugno. Parlano di connessione “veloce” a 100/50 megabit/secondo per il 70 percento della popolazione e a 30/15 per gli altri. Cifre assolutamente dignitose, per il 2005.
Nel frattempo? Akamai ha pubblicato i dati finali del 2015. Se due anni prima eravamo la penultima nazione dell’Unione Europea per connessione a Internet, oggi siamo… ancora la penultima nazione. E anche a voler pagare di più, non ci schiodiamo.