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Sorveglianza e controllo diffusi come risposta all’emergenza?

15 Ottobre 2001

Sorveglianza e controllo diffusi come risposta all’emergenza?

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Approvate in USA le norme "anti-terrosimo", pesanti specialmente contro l'ambiente online. Pericolosa scorciatoia per tentare di calmare le ansietà di una nazione (un mondo?) in ginocchio.

“Oggi siamo davanti ad una procedura oltraggiosa: un disegno di legge, stilato in segreto da un pugno di persone, senza revisioni in commissione e immune da ogni emendamento.” Questa la secca dichiarazione di Barney Frank, deputato democratico del Massachusetts, nell’accingersi a votare contro la nuova legislazione anti-terrorista (definita USA Act al senato e PATRIOT Act alla camera). Nello specifico, Frank si riferiva a una norma voluta dai leader repubblicani che impediva alcun cambiamento al testo prima del voto finale. Testo che gli stessi leader GOP avevano rapidamente modificato sulla base di quello del senato (e che quindi i deputati non avevano potuto leggere, né tantomeno studiare), invece della versione più moderata prevista in discussione alla camera. Dove la votazione di venerdì sera ha seguito un copione già scritto: 339 favorevoli, 79 contrari.

Ancor più netto il margine riportato al Senato, nella nottata precedente: 96 si, 1 no, con Russ Feingold (democratico del Wisconsin) unico dissidente dopo aver vanamente proposto una serie di emendamenti per limitare poteri di sorveglianza, soprattutto in ambito dell’informatica e delle comunicazioni, garantiti alle autorità repressive. Queste potranno quindi avvalersi della massima discrezionalità operativa, registrando ad esempio i dati personali degli utenti su specifici siti web o monitorandone le e-mail per lo più senza specifico mandato giudiziario. Insieme all’automatica disponibilità delle informazioni raccolte estesa a qualunque agenzia governativa, nonché alla possibilità di arresti con durata indefinita per cittadini non-USA indiziati.

Unica differenza sostanziale tra le due stesure, la versione della camera prevede un data di scadenza (dicembre 2004), quasi sicuramente estesa di ulteriori due anni dallo stesso Bush al momento della firma. Differenza che andrà comunque chiarita al volo, onde sveltire l’apposizione di tale firma e dare il via libera allo scalpitante FBI su tutto il fronte (Carnivore incluso). A rischio è “l’interesse nazionale”, con una pressione pubblica sempre enorme per risposte forti, risoluttrici. Non a caso alcuni senatori di ambo le parti, normalmente agguerriti sostenitori della privacy, stavolta hanno nicchiato sugli emendamenti di Feingold per motivazioni “procedurali e non sostanziali,” ovvero perché occorreva far presto, molto presto. Il dibattito in aula è durato appena tre ore, un’oretta in più alla camera. L’emergenza prevale, a scapito ovviamente della ragionevolezza e contro quelle libertà civili tanto care al popolo USA, non solo nel mondo online.

D’altronde non poteva essere diversamente, e a nulla sono valsi i richiami — non molti, a dire il vero — a valutare la questione con maggiore oculatezza. Opinionisti e media proseguono a battere il tamburo della ritorsione, della guerra. E i poll sembrano confermare che il prezzo da pagare per una maggior sicurezza debba forzatamente passare (anche) per la drastica limitazione della libertà di comunicazione. Che poi tale maggior sicurezza sia vera o presunta poco importa. Inutile prospettare scenari da vero e proprio Big Brother o riflettere sullo stravolgimento del vivere quotidiano cui dovrà adattarsi il cittadino medio, soprattutto quello che usa Internet per studio, lavoro, divertimento. Largamente in minoranza, le associazioni a tutela delle libertà civili fanno quel che possono: pur con informazioni (e petizioni) online, la grande informazione condece solo qualche nota di straforo. E manco a dirlo, sui network TV prosegue il black-out nei riguardi delle voci dissenziente.

L’altro giorno, alla radio, un rappresentante di EPIC illustrava con la massima lucidità le conseguenze (negative) delle disposizioni in via di approvazione, ma lo faceva nel corso della quotidiana “Democracy Now!”, trasmissione che non va più in là del ristretto circuito FM di Pacifica Network News (con annessi mirror online). Poco prima la National Public Radio (NPR) si era spinta appena oltre la linea emergenziale con un servizio in cui esperti, deputati ed attivisti proponevano rapidamente punti di vista contrastanti sui possibili rischi delle nuove norme anti-terrorismo. Ma nel complesso è davvero poca roba. Allo stesso modo vengono censurate le notizie su numerose manifestazioni contro la guerra in svolgimento un po’ ovunque, inclusa una assai consistente tenutasi nei giorni scorsi a New York City proprio nei pressi delle torri gemelle crollate. È così che, tra gli altri, Ralph Nader trova spazio soltanto in un report (riservato però agli abbonati paganti) pubblicato su Salon.com. “Quand’è che impareremo dalla storia? Quando capiremo che non possiamo aprirci con le bombe la strada verso la giustizia?”, così Nader ha posto la questione davanti ad un folto pubblico in quel di San Francisco.

Avanza la psicosi dell’anthrax e crescono le preoccupazioni per possibili attacchi indiscriminati contro laboratori e centrali nucleari — come pure per altri target istituzionali o nelle grandi metropoli. E mentre la bandiera a stelle strisce va a ruba e impazza tuttora, c’è chi vende sul web pentoloni di terracotta (piñata) con il volto di bin Laden da spaccare violentemente onde scaricare la tensione (e l’odio). Ad oltre un mese dai tragici eventi, impssibile parlare fuorché di ritorno alla normalità. Nella frenesia di offrire al pubblico risposte tempestive e rassicuranti alla profonda crisi apertasi — risposte che nessuno nell’attuale leadership statunitense o mondiale, legislativa o militare che sia, può vantarsi ragionevolmente di avere, come è d’altronde più che logico — si preferisce quindi cedere al fascino di pericolose scorciatoie. Lo fanno apertamente il Congresso e l’amministrazione Bush, affiancando all’opzione bellica le fresche norme “anti-terrorismo.”

Chi potrà mai credere che certe leggi, approvate in tutta fretta sull’onda emergenziale, possano davvero aiutare verso il ritorno al tanto auspicato e necessario ‘business as usual’? Meglio allora rifarsi alla conclusione di un articolo apparso recentemente su Alternet: “basta con i falsi tentativi di calmare le ansietà; facciamo in modo che anche i nostri leader ne prendano atto: siamo assai lontani da quello che una volta consideravamo normale, e non vi torneremo per molto tempo ancora.”

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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