È una verità amara, ben nota a chi lavora nel mondo della rete e ha clienti che ci vivono fuori. La percezione di internet è fortemente influenzata da miti, stereotipi, preconcetti, i soliti “tutti sanno che…”. Il che, a noi addetti ai lavori, pone spesso dei bei bastoni fra le ruote, obbligandoci a resettare i nostri interlocutori prima di poter iniziare a ragionare sul serio (sempre ammettendo che si riprendano abbastanza in fretta dallo shock delle nuove scoperte). In questo senso ho trovato interessante il seminario tenuto qualche settimana fa da Eurisko GFK sui Miti, Segreti e Tesori di Internet. E ho deciso di condividere con voi alcuni dei punti salienti della presentazione (una selezione draconiana, dato che la presentazione è di ben 123 slide), accompagnati da qualche mia opinione. Con l’ovvia raccomandazione di prendere sempre le ricerche con le pinze e con senso critico, evitando però di bocciarle a priori se i risultati non sono quelli a cui ci piace credere.
Sono tutti su internet.
Mito ben caro alle frange più integraliste tra i sostenitori della Rete, dico io. In realtà in Italia c’è ancora un sacco di gente che in rete non c’è (e ci sarebbe poi da discutere su quanto e come la usa chi c’è). È da tempo che io sostengo posizioni un po’ revisionistiche, affermando che internet è uno strumento che non raggiunge e non raggiungerà a breve la totalità del mercato, nè come media informativo, nè come strumento pubblicitario. Quindi la pubblicità “offline” è ben lungi dall’essere morta (anche se non sta molto bene e rischia di ritrovarsi almeno in parte incastrata su target via via meno interessanti come potenzialità di spesa, età eccetera). Ne consegue che la strana coppia online e offline è destinata a fare ancora un po’ di strada insieme. Secondo Eurisko sono circa il 42% gli italiani con più di 14 anni che si sono collegati «almeno una volta negli ultimi tre mesi». Altre fonti forniscono dati un po’ più abbondanti, si veda in proposito anche questo mio precedente intervento, ma c’è poco da star lì: siamo poco sopra o poco sotto il 50% dei nostri connazionali. Gli altri non è detto li si possa ancora raggiungere con la Tv, ma di sicuro non li si raggiunge bene con la Rete. Occhio però che per contro internet ha invece concentrazioni molto più elevate (80%, 90% o anche più) su certi gruppi di persone, in certe realtà (dice Eurisko: dirigenti, liberi professionisti, impiegati delle grandi città). E questo ha certamente un forte impatto sulle decisioni da prendere quando a questi target voglio parlare.
Su internet ci sono solo i giovani.
Ovvero: internet come fenomeno da ragazzini. Io ho l’impressione che sia una percezione in via di estinzione, visti anche tutti gli articoli che ci bombardano su quanto Facebook sia invece una roba da quarantenni e li raccolga a milioni di milioni. Qualche numero: nella classe d’età 14-24 sono online il 75%; in quella 25-34 sono connessi il 65%; in quella 35-44 siamo al 54%; in quella 45-54 siamo al 41%; per la classe 54+ siamo al 10%. Tuttavia, dal momento che in Italia ci sono più vecchi che giovani (diciamola così), se si distribuiscono opportunamente i pesi e su questo dato facciamo la parametrazione degli user, salta fuori che c’è una sostanziale omogeneità relativa dai 14 ai 54 anni nell’uso di Internet. Dice Eurisko che in rete troviamo quella parte della popolazione che costituisce il cuore economico, sociale, culturale Italiano. Ergo, concludo io: solo gli sfigati non sono in Rete, o qualcosa del genere. E questo pesa parecchio, nelle scelte di marketing e comunicazione.
Internet è il mondo virtuale.
Sintetizzando molto il pensiero di Eurisko, se qualcuno pensa che la rete sia il luogo della vita virtuale si sbaglia di grosso: per il 72% degli intervistati internet è prima di tutto una cosa utile. Serve. Serve per i propri interessi, per le proprie passioni, per gli hobby, per comunicare con gli altri… e solo dopo per altre cose. Nell’uso dunque c’è un forte obiettivo di concretezza. E questo ha un impatto forte, ad esempio su chi sviluppa progetti online. Nel mio caso significa fare molta attenzione a non voler fare a tutti costi siti/navigazioni “esperienziali”, ma tenere conto che spesso le persone cercano risposte dal sito (e l’intefaccia di Google insegna che cos’è la concretezza). Dunque mi si ricomplica il problema annoso di bilanciare performance e trasferimento dei valori di marca.
Esiste un “utente tipo” di internet.
Sarebbe un po’ il luogo comune sul fatto che le persone che usano la rete facciano più o meno tutti le stesse cose. Immagino che i lettori abbiano una visione completamente diversa, ma l’uomo (o il cliente) della strada ha spesso questo stereotipo in testa (l’ho visto, giuro). Citando l’esimio istituto di ricerca: «A parte la posta elettronica, il generico browsing e il ricorso ai motori di ricerca, tutte le altre attività d’uso si sviluppano presso una minoranza di utenti. Commercio elettronico, social networking, instant messaging, blogging, peer to peer, uploading, downloading eccetera sono tutte attività con un proprio specifico target». Eurisko porta l’esempio della consultazione delle news online, che si pensa sia universale ma in realtà è praticata “solo” dal 40% degli utenti.
Su internet contano soprattutto le informazioni e i contenuti.
La posizione di Eurisko la riassumerei dicendo che i contenuti oggi sono una specie di commodity, si trovano in tanti posti. Le persone non premiano chi dà contenuto ma chi dà soluzioni a bisogni e desideri (vedi questo pdf da me scritto tanto tempo fa). D’altra parte molti grandi player di internet non producono contenuti (vedi Google, YouTube, Facebook, eBay) ma li usano, li fanno fare agli utenti, li aggregano. Il successo sta nell’intermediazione, nel processo di relazione tra utenti e contenuti: «Su internet conta soprattutto il modo con cui persone e contenuti entrano in relazione tra loro» e “Una provocazione: nessuno vuole le informazioni. Gli utenti su internet cercano: soluzioni,esperienze, identità eccetera».
Se l’ecommerce non corre, la colpa non è della carta di credito.
Analizzando le loro interviste, emerge che il principale fattore di resistenza all’ecommerce è la preferenza verso il toccare con mano i prodotti e il parlare con le persone. Fare shopping “fisico” è più divertente. Solo al terzo posto compare la paura della carta di credito. Ci sono resistenze forti, ma dovute al fatto che non si è ancora assimilato un comportamento che spezza abitudini sociali, psicologiche fortemente radicate, non si è ancora metabolizzato un modello nuovo. La sicurezza dei pagamenti è importante ma non è la soluzione a tutti i problemi.Tra l’altro, tra chi ha provato l’ecommerce ci sono livelli elevatissimi di soddisfazione: «L’ecommerce rappresenta il trionfo del servizio razionale ed efficiente».
Gli utenti internet non vogliono la pubblicità online.
Su questo punto mi permetto di esprimere una critica a Eurisko, che in realtà sembra voler portare un sostegno alla teoria dell’efficacia della pubblicità online. La presentazione a cui ho assistito non dimostra questa tesi, ma semmai un altro punto forse più importante: internet è uno straordinario strumento di influenza delle scelte d’acquisto. Il 68% degli intervistati risponde positivamente alla domanda “In futuro Lei pensa di utilizzare Internet per informarsi su prodotti o servizi da acquistare attraverso altri canali o altri punti vendita?”. Questo a me parla di un uso attivo, di una ricerca: quanto sia influenzata o meno dall’advertising online non mi è chiaro (anche se sono convinto che la pubblicità su internet, se fatta con certe attenzioni, può essere molto più funzionale di quello che si pensa e si scrive. Bisogna però essere dannatamente bravi per riuscirci.
I pareri degli altri utenti influenzano gli acquisti meno di quanto non si creda.
Alla domanda “Le è capitato di utilizzare o tenere conto per i suoi acquisti in internet o nei negozi tradizionali di ciò che ha letto o sentito nei forum, newsgroup, blog, siti, social network, ad esempio giudizi o indicazioni su prodotti e marche? Se sì, quanto spesso?” solo un 4% ha risposto di farlo spesso e un 21% di farlo a volte. Avrei giurato fossero un bel po’ di più. Anche qui, però, occhio all’effetto del medione: magari a spaccare i dati si scopre che i mezzi polli non sono distribuiti in maniera omogenea. E poi dipende per quali occasioni, quali prodotti. Quindi, pur riconoscendo una capacità di influenza potente della community, della crowd, del word of mouth sulla rete, siamo ancora lontani da poterlo considerare un fenomeno universale. Mettiamola così: la mia opinione è che un 25% rappresenta una tremenda area di pericolo se della marca/prodotto si parla male (vedi alla voce digital reputation). Ma rappresenta un bacino un po’ troppo piccolo per giustificare quelli che sostengono che le aziende dovrebbero cancellare la pubblicità e il marketing per affidare integralmente le sorti del loro prodotto al passaparola digitale. Magari ci arriveremo, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo. Più che altro il nodo sembra essere che se una persona raccomanda un prodotto, chi mi dice che abbia i miei gusti, le mie necessità, i miei budget? È difficile valutare l’affidabilità dei pareri degli altri, specialmente perché, non conoscendoli, non so quanto sono simili a me. Quindi il valore dell’opinione dipende dalla congruità tra il profilo, la personalità dell’emittente e quello del ricevente. Vale il parere dello user se la sua identità mi è nota, se posso capire quanto è simile a me e quindi quanto senso ha per me quello che dice.
Internet è la fonte primaria di informazioni.
Per gli utenti internet italiani, la fonte più importante di informazioni è la televisione, internet è la seconda. Almeno per ora. La cosa è spiegabile anche col fatto che Internet, come detto, copre solo un 40% della domanda informativa, mentre con due telegiornali si copre più o meno il paese. Ergo: è il Tg che detta l’agenda setting nazionale, che determina ciò di cui si parla e come si pensa. E se si vuole essere al pari con quello che pensa e dice la nazione si deve guardare la TV. Se ci si limita alla sola internet, chioso io, ti trovi in una nicchia, hai una percezione difforme della realtà rispetto a quella che ha il resto del paese. La Tv è quindi molto più trasversale e ha un effetto molto più omogeneizzante di Internet.
Insomma, Eurisko ha tirato un po’ di sassi nello stagno (una brevissima sintesi della ricerca si può scaricare sul sito di Eurisko GFK). A seconda di quello che è lo stagno in cui crediamo, ce ne abbiamo un po’ tutti per reagire vigorosamente e negare la validità dei risultati. O per farci un pensiero sopra e domandarci se ciò che pensiamo è davvero reale o se anche a noi non capiti a volte di credere un po’ troppo alla mitologia.