Sì, avete letto bene. Che ironia. La RIAA, l’associazione dei discografici statunitensi, ha sempre avuto un appiglio morale incontestabile contro Napster, Morpheus e gli altri sistemi di scambio musicale. Vergognatevi, dicevano: scaricando la musica da Internet invece di acquistare i CD, state uccidendo gli artisti che amate.
Così i discografici hanno creato un’alternativa a Napster, anzi due (Pressplay e MusicNet), con le quali pagando un canone di abbonamento si ha il diritto legale di ascoltare o scaricare musica. Certo, la musica scaricata da Pressplay e MusicNet è molto più scomoda da usare, perché è protetta con sistemi anticopia che ne intralciano anche i riversamenti legittimi ai lettori musicali tascabili o semplicemente da un computer a un altro dello stesso utente. Ma fa niente, val bene la pena di sopportare un po’ di disagio pur di essere onesti, avere la coscienza a posto e oltretutto essere benedetti dalla potentissima RIAA.
Sembrerebbe tutto a posto: da una parte i cattivi, i seguaci della setta di Morpheus; dall’altra i buoni, che sostengono i loro artisti preferiti tramite Pressplay e MusicNet. Ma l’apparenza inganna, come rivela un articolo del New York Times. Infatti questi due servizi “onesti” stanno in realtà pagando gli artisti compensi miserrimi: per ogni brano scaricato, un artista percepisce la ragguardevole cifra di 0,0023 dollari. In altre parole, per far guadagnare un solo euro al vostro gruppo del cuore dovreste scaricare la sua musica ben 380 volte. Un singolo da un milione di copie, che di questi tempi è un gran bel traguardo, frutterebbe all’artista circa 2600 euro (diciamo cinque milioni di lire).
Non sorprende che gli artisti stiano intimando a Pressplay e MusicNet di rimuovere i loro brani dal servizio. Se le cose stanno così, per loro che differenza c’è fra Napster e i servizi “legittimi”? Per le case discografiche, invece, la differenza c’è eccome: stando ai calcoli di Jim Guerinot, manager di artisti come No Doubt, Beck e Offspring, le case discografiche si intascano il 91% degli incassi di chi scarica musica dai loro servizi online. Una percentuale che si commenta da sola, considerato soprattutto che Pressplay e MusicNet non hanno neppure i costi di stampa e distribuzione dei CD.
Jill Berliner, consulente legale specializzata in questioni musicali, riassume molto eloquentemente l’atteggiamento degli artisti musicali. “Dal nostro punto di vista, se comunque l’artista in pratica non guadagna nulla [da Pressplay e MusicNet], preferiamo che i suoi fan possano avere gratis la sua musica”.
Vocazione al suicidio?
Sembra insomma che molti artisti, piuttosto che far ingrassare una banda di anonimi discografici, preferiscano lavorare gratis e lasciare che gli utenti scarichino la loro musica dai sistemi “pirata”. Il risentimento verso chi lucra così massicciamente sulle loro fatiche è comprensibile, ma dar via la propria musica non è una scelta suicida? Chi mai intraprenderà una carriera nel settore, sapendo di non guadagnarci un soldo?
Dipende. Il CD non è l’unica possibile fonte di guadagno di un artista. Esistono anche i concerti dal vivo, ad esempio, così disprezzati in quest’epoca di talenti costruiti in sala d’incisione. John Perry Barlow, ex paroliere dei Grateful Dead e cofondatore della Electronic Frontier Foundation, organizzazione in prima linea nella difesa dei diritti online degli utenti e dei consumatori, ha rilasciato un’intervista a News.com che contiene molti spunti educativi in proposito. Sarebbe interessante renderla lettura obbligatoria per i magnati della musica.
Come racconta Barlow, la duplicazione abusiva della musica esisteva anche nell’era pre-Internet, e tutti la consideravano un problema, tranne i Grateful Dead. “Noi regalavamo la nostra musica. All’epoca lo facevamo perché sentivamo che non c’era modo di impedire ai Deadhead [i fan dei Grateful Dead] di registrarci, e comunque non suonavamo per fare soldi”. Quei nastri furono la base del loro successo. “Diffusero il nostro ‘virus’ dappertutto, e quando chiudemmo il gruppo eravamo lo show più pagato in assoluto, grazie in gran parte alle nostre esibizioni dal vivo… La cosa interessante è che i nostri dischi non erano qualitativamente alla pari con certi nastri dei fan, eppure tutti i nostri album divennero dischi di platino. I fan vogliono possedere oggetti tangibili, oltre ad avere la musica da suonare… Se permetti alla tua musica di circolare liberamente e la usi come pubblicità, è un aiuto enorme. Paradossalmente, puoi lasciarla circolare gratis e comunque venderla, se la gente è disposta a pagare la confezione e la comodità [di avere il disco già fatto invece di fabbricarselo inaffidabilmente online]”.
Un’altra lauta fonte di guadagno per gli artisti è il merchandising: poster, magliette, accendini, adesivi, e via dicendo. Un fan che s’infuria all’idea di scucire 20 euro per un CD non ha esitazioni a pagarne il doppio o il triplo per una T-shirt autografata. Inoltre ci sono i contratti di sponsorizzazione: l’artista viene pagato per indossare capi e accessori della rinomata marca di turno. Conosco fan disposti a qualsiasi esborso pur di accaparrarsi gli occhiali indossati da Lenny Kravitz.
La musica di Morpheus è gratis, ma l’ho pagata tante volte
D’accordo, John Perry Barlow è un eccentrico, e poi ha fatto musica negli anni stravaganti della cultura hippie, per cui il discografico scettico, toccato nel portafogli, si può sentire giustificato ad avere qualche riserva sulla validità attuale delle sue opinioni.
Ma che dire allora di Lawrence Lessig, professore di legge a Stanford? Un tipo serio e posato, tanto da essere consulente del tribunale nella causa antitrust contro Microsoft. Eppure anche lui propone delle considerazioni al tempo stesso sorprendenti e ineccepibili che vanno contro il credo imposto dai discografici.
Per esempio, in un suo recente articolo ha evidenziato alcune contraddizioni dell’attuale mercato musicale alle quali siamo così abituati che non ci facciamo più caso. Chi scarica musica gratis da Internet è uno scroccone, un vampiro, un disonesto, ci dicono i discografici. Ma perché allora non è scroccone chi ascolta la radio? In fin dei conti anche lui non paga per ricevere (stavo per scrivere “scaricare”) la musica trasmessa.
Quante volte, si domanda Lessig, abbiamo già pagato la musica che scarichiamo da Internet? Tante, ma non ce ne siamo accorti. Le stazioni radio trasmettono musica pagandola tramite il canone (che paghiamo noi) oppure mediante la pubblicità (di prodotti il cui prezzo, maggiorato dai costi pubblicitari, paghiamo sempre noi). La musica di sottofondo al ristorante è pagata da una piccola maggiorazione del conto (che paghiamo ancora noi). Le canzoni incluse nelle colonne sonore dei film sono pagate dal nostro biglietto d’ingresso.
Considerate ad esempio Madonna e la sua Ray of Light. Microsoft ha pagato, secondo indiscrezioni, venti milioni di dollari (circa 23 milioni di euro, quarantacinque miliardi di lire) per abbinare la canzone alla campagna pubblicitaria di Windows XP. Questo vuol dire che chiunque comperi Windows XP o un computer sul quale si trova XP preinstallato sta pagando anche Madonna per la sua cantatina. E che dire di Sting? Quanto ha incassato per abbinare Desert Rose alla Jaguar? E Edoardo Bennato per cantare la campagna TIM?
Potrei andare avanti a lungo, ma il concetto è chiaro. Scaricare musica da Morpheus sarà anche illegale, ma se considero quante volte l’ho già pagata, volente o nolente, e se guardo l’elemosina che offrono i discografici per i loro servizi “legali”, faccio una gran fatica a convincermi che il pirata sono io.