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Siti Web italiani: molta immagine, poca sostanza

04 Febbraio 1999

Siti Web italiani: molta immagine, poca sostanza

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Perché ci sono ancora così tanti i siti che si affidano agli orpelli (immagini, giochini, apparenze) invece di fornire contenuti? E perché ancora così tanti mancano di aggiornamento?

La risposta alla domanda contenuta nel titolo è semplice: infarcire un sito di effetti decorativi è facile e poco costoso. Se tutto questo provoca inutili sovraccarichi e rallentamenti… non importa. Il problema è di chi tenta di leggere.
Intanto, se sono un’impresa, ho fatto il mio “atto di presenza”, così non ci penso più. Se sono un fornitore, ho guadagnato abbastanza facilmente un po’ di soldi; quel cliente poi non sarà soddisfatto, ma ce ne sono tanti altri come lui, che vogliono soluzioni banali. So che non sono le migliori, ma devo pur campare e sono costretto a dare al mercato quello che mi chiede.

Si dice sempre più diffusamente che per fare un buon lavoro in Rete occorre offrire contenuti. Ma non è facile. Produrre contenuti interessanti, tenerli aggiornati, arricchirli continuamente così che chi ha visto il sito abbia voglia di ritornare, organizzarli in modo che siano bene accessibili, secondo la logica del lettore è complesso, impegnativo e costoso.

Ma è vero?

Se la funzione del sito è offrire informazioni, opinioni, commenti, cioè se per sua natura è “editoriale”, il problema c’è ed è serio. Ma c’è anche nell’editoria tradizionale. Come può sperare di sopravvivere un’impresa editoriale che non si in grado di fornire e gestire contenuti? Ma se è un sito “commerciale” o comunque al servizio di un’impresa, la situazione è molto diversa. Perché mai un’impresa, che offre uno specifico prodotto o servizio, dovrebbe diventare un editore? Perché dovrebbe impegnarsi a creare “traffico” generico?

Quando entriamo in un negozio di scarpe, ci aspettiamo informazioni sui fatti del giorno? Se andiamo dal droghiere, ci aspettiamo una mostra di quadri? Quando parliamo con un assicuratore, ci aspettiamo che canti canzoni o reciti poesie? Perché mai si dovrebbe trasferire in rete la sindrome di carosello, che è una brutta malattia anche nella comunicazione tradizionale?

Il problema, ancora una volta, sta nella strategia

Se l’attività in rete (che, giova ripeterlo, non significa necessariamente un “sito Web”) è basata su precise esigenze e intenzioni, specificamente concepite secondo le caratteristiche di quell’impresa e del suo sistema di relazioni, non c’è alcuna necessità di “inventare” contenuti nuovi. Ci sono già; si tratta di identificarli, organizzarli e gestirli. Se manca una cultura d’impresa, se mancano argomenti e temi di servizio, se mancano sistemi forti di relazione, se non ci sono informazioni rilevanti per un pubblico specifico di riferimento, il problema non è come quell’impresa possa andare online. È come possa sopravvivere, con o senza la rete.

Sembra che molti vogliano applicare alla Rete quella logica perversa che determina la struttura di alcuni negozi: per esempio quelli accanto ai distributori di benzina sulle autostrade, dove per comprare un fazzolettino di carta (o fare pipì) occorre seguire un percorso obbligato passando davanti a montagne di salamini, giocattoli e cosmetici. Per quanto sgradevole, quel sistema è comprensibile quando si ha un pubblico “prigioniero” (la prossima stazione di servizio è a cinquanta chilometri di distanza e probabilmente è organizzata nello stesso modo). Ma in rete basta un “clic” per uscire dalla trappola. E se i tonni escono morti dalle tonnare (quindi non possono insegnare agli altri tonni come evitarle) i lettori dei siti ne escono vivi e spesso piuttosto incattiviti. Sono molti, si dirà, i “navigatori” nuovi e inesperti, che cascano in tutte le trappole e magari (all’inizio) si divertono. Può darsi. Ma una cosa è certa: dopo un po’ di tempo cambieranno. O se ne andranno, magari chiudendosi in pochi e molto specifici usi abituali della rete; o continueranno a esplorare, ma saranno meno inesperti. Non vorrei essere un torero alle prese con una generazione di tori che hanno capito i trucchi dell’arena.

C’è anche un altro problema. Un’impresa che cerca di offrire contenuti generici, o “intrattenere” i suoi visitatori con curiosità varie, non si trova a competere con i suoi concorrenti, ma con tutti i milioni di siti che esistono ed esisteranno; e in particolare con i professionisti dell’informazione o dell’entertainment, che hanno capacità, competenze e risorse enormemente più grandi. Come può un’impresa che fa viti e bulloni competere con Repubblica o CNN, o un produttore di biciclette mettersi in concorrenza con Walt Disney?

Il problema dei “contenuti” cambia radicalmente se lo si affronta in un’ottica più precisa. Un’impresa si affaccia in rete in base alle sue specifiche esigenze e capacità. Offre contenuti direttamente attinenti alla sua identità e a ciò che intende proporre. Il contatore del suo sito, probabilmente, non produrrà statistiche con numeri mirabolanti; ma la qualità dei contatti sarà molto più elevata. La logica delle Rete non è quella dei “grandi numeri”; è quella dei “pochi ma buoni”. Una crescita “mirata” e selettiva può essere relativamente più lenta; ma anche questo è un bene. Una sperimentazione su scala relativamente piccola, con una crescita graduale, permette di controllare e perfezionare, correggere errori, migliorare la qualità; e di non impegnare risorse eccessive prima di averne verificato il “ritorno”.

Insomma, più la strategia della comunicazione in rete è costruita secondo obiettivi precisi, più si scopre che non occorre “fabbricare” contenuti, perché ci sono già. Anche così, il lavoro non è facile; perché occorre identificare i contenuti, tradurli in un linguaggio efficace, organizzarli in modo efficiente, tenerli continuamente aggiornati. Ma è molto meno difficile, molto meno costoso – e straordinariamente più efficace (e meno pericoloso) che cercare di produrre contenuti “generici” o parlare di cose di cui non si ha una conoscenza approfondita.

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