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Sindrome Cinese – Alla ricerca del perfetto comunicatore universale – Seconda parte

19 Gennaio 2005

Sindrome Cinese – Alla ricerca del perfetto comunicatore universale – Seconda parte

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Il quarto capitolo del mio viaggio intorno al mondo si svolge a Los Angeles: avendo poco tempo prima della partenza per l'arcipelago di Samoa e Tonga, in Polinesia, ne approfitto per fare un po' di shopping tecnologico

Dopo aver provato inutilmente ad acquistare un TREO 600 della Palm in Florida e aver acquisito la conoscenza della parolina magica “unlocked”, riparto fiducioso con la mia navigazione telematica, dall’alto della potente connessione Wi-Fi offertami per dollari sonanti dall’Hilton nei pressi dell’aeroporto di Los Angeles dove sosterò alcuni giorni. Su Internet e sulla CNN cominciano a farsi serie le notizie relative a un disastroso maremoto che ha colpito l’area dell’Oceano Indiano. Ma la preoccupazione maggiore del mondo statunitense in questo momento è legata al fatto che una simile catastrofe possa accadere anche “da noi”: in TV il solito esperto di turno rassicura l’americano medio che vive nella costa ovest spiegando il perfetto funzionamento dei sistemi di allarme del NOAA, per la serie “da noi tutto questo non sarebbe mai successo”.

Continuo la mia “navigazione” e sul sito della Palm scopro che la mitica azienda californiana ha una serie di negozi in giro per gli Stati Uniti: pochissimi non più di una decina di cui 8 nei principali aeroporti (escluso quello di Los Angeles), gli unici due Palm Store al di fuori degli scali aeroportuali sono presso la Sede Centrale e presso il Century Mall di Beverly Hills. Bingo! Mi trovo a sole 10 miglia da una delle rare Boutique della PalmOne!

In una piovosa e fredda Los Angeles tale da stupire chiunque (sia per la pioggia sia per i 13 gradi centigradi – mancava solo un dirigibile che video-pubblicizzasse dall’alto in giapponese e mi sarei sentito sulla scena di Blade Runner), mi accingo a fare un giro per Beverly Hills prima della partenza per il Pacifico. Ne approfitto per passare al Century Mall dove sono curioso di scoprire le meraviglie di Casa Palm al completo.
In effetti la curiosità non è tradita: giunto al Palm Store, trovo in esposizione TUTTI i modelli prodotti e distribuiti da Palm in questo periodo compreso il nuovo 650 attivo e pronto per la “prova su strada”. Chiedo se fosse disponibile un Palm 600 unlocked e ovviamente mi viene risposto affermativamente. Memore dell’esperienza in Florida chiedo se fosse possibile provarlo prima dell’acquisto e non mi viene ovviamente posto alcun problema. Inserisco la SIM, verifico il positivo riconoscimento ed effettuo l’acquisto. Il personale è preparatissimo ed estremamente professionale, abituato a una clientela “particolare”, quale quella di Beverly Hills: il TREO 600 non è un semplice comunicatore universale, è già diventato un oggetto di culto per i tecnofili.
Quanto costa un Treo 600 unlocked in America? Moooolto meno che in Italia, basta andare sul sito Palmone.com per verificare.

Il mio tour nella patria dei divi di Hollywood termina e termina anche il mio soggiorno negli Stati Uniti, mi accingo a intraprendere un lungo volo per raggiungere i Mari del Sud.

Una Nazione “sotto controllo”

All’aeroporto di Los Angeles mi aspetta una estenuante attesa per gli strettissimi controlli ai passeggeri, le compagnie aeree consigliano di recarsi allo scalo per le tratte intercontinentali almeno 3 ore prima della partenza del volo, e non è un consiglio azzardato, i tempi di attesa per i controlli sono faraonici.

Vale la pena soffermarsi per una breve riflessione su cosa stia accadendo negli Stati Uniti nelle ultime settimane. Dal mese di ottobre, quindi da soli tre mesi, tutte le persone che entrano negli Stati Uniti, non munite di visto (es. tutti gli europei), devono esibire un passaporto a lettura ottica. Nulla di particolare, è un semplice “tag” – in fondo alla pagina in cui sono presenti la fotografia e i dati principali – che può essere letto da uno scanner. Ma la vera novità è che, sempre dal mese di ottobre, la procedura per essere ammessi all’interno degli States prevede la rilevazione delle impronte digitali e lo scatto di una ulteriore fotografia del “candidato” all’ammissione – dati che vanno a finire nell’enorme database dell’antiterrorismo (spero solo lì ma non ci credo).

È il preludio al fantomatico passaporto biometrico, che vedrà la luce fra poco tempo in tutto il mondo e che conterrà proprio i nostri dati più importanti, dalle impronte digitali alla foto digitalizzata ecc… tutto in un piccolo chip da poche centinaia di Kilobyte.

Nel frattempo gli americani si sono attrezzati con lettore digitale di impronte e webcam in ogni gate dell’immigrazione. Fin qui tutto bene, tecnologia semplice per un lavoro estremamente ripetitivo: qualcuno allora mi deve spiegare perché a Miami ci sono volute due ore e dieci minuti per far passare le non più di venti persone davanti a me, prima di poter arrivare di fronte all’ufficiale addetto ai controlli, che nel frattempo era stato sostituito per ben 3 volte (le code al mio fianco non erano più veloci della mia, i volti dei viaggiatori erano attoniti come peraltro il mio).

È forse questo il segnale di una nazione che vuol far capire al resto del mondo che tutti i visitatori non sono più graditi, o semplicemente la tecnologia ha tradito i suoi maggiori sostenitori?
Cosa accadrà con l’introduzione del passaporto biometrico?
Il mio timore è che i controlli invece di ridursi verranno ulteriormente aumentati:
non mi piace questo futuro, sembra di vivere nell’incubo cyberpunk di uno dei molti romanzi di William Gibson.

I controlli aeroportuali in uscita a Los Angeles sono estenuanti: un cartello ripetuto durante tutto il tratto dell’immensa coda, continua a ricordare che chiunque venga colto a fare battute stupide sui controlli stessi (la gente premunita comincia a spogliarsi ben prima di arrivare al metal detector – sembra di essere alla visita di leva) o venga colto a fare battute su bombe e attentati o a lamentarsi con i funzionari preposti durante la coda, è passibile di arresto e condanna penale. Rileggo meglio, forse il mio inglese mi sta tradendo, no, è il caso di fare una piccola fotografia con il mio nuovo Treo 600 altrimenti nessuno mi crederà: spero che non mi vedano mentre scatto la foto altrimenti potrebbero arrestarmi…farò finta di telefonare…

Lascio con tristezza gli Stati Uniti, nazione paranoicamente in balia delle proprie paure. Fra poco parte il mio volo per l’arcipelago polinesiano di Tonga, nel video al plasma appeso alla parete la CNN comincia a raccontare con maggiore enfasi la tragedia accaduta nel Sud Est Asiatico. Per me saranno due giorni di black-out: uno per il viaggio e uno per il cambio data che mi porterà avanti di un giorno. Spero di riuscire ad avere maggiori notizie sulla catastrofe quando arriverò a Tonga. Da una mail ricevuta pochi minuti fa dal caro amico GP che mi ospiterà in Polinesia, sembra che lì non sia arrivato alcun segnale del disastro… mi attendono volti felici e atolli soleggiati stupendamente deserti, immuni dalla paura di catastrofi e attentati che stanno divorando il mondo intero….

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