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Sentenza Microsoft: le reazioni nel mondo high-tech e open source

02 Luglio 2001

Sentenza Microsoft: le reazioni nel mondo high-tech e open source

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Relativamente scarsa attenzione alla decisione negli Usa, soprattutto nel giro Linux. Al mercato l'ultima parola

Scontata la sentenza d’appello sul caso Microsoft. Questo il commento generale degli esperti all’indomani dell’annuncio dei giudici del District of Columbia. Una decisione che in sostanza offre al colosso di Redmond quel che andava chiedendo da tempo e che un po’ tutti prevedevano – l’annullamento del precedente ordine di smembramento. Ma forse l’aspetto più importante della questione riguarda il fatto che, a ben vedere e leggere tra le righe, il dispositivo non vuole né può andare oltre. “Il comportamento dell’azienda è stato anti-competitivo, contribuendo così al mantenimento del proprio monopolio.” Questa una delle frasi-chiave contenuta nelle 125 pagine della motivazione redatta unanimemente dal collegio giudicante. Come dire che in ogni caso esistono gli estremi per confermarne la colpevolezza. Anche se ovviamente le dichiarazioni di Bill Gates, e ancora più del presidente Steve Ballmer, tentano di ampliare la portata della decisione come “un successo nell’interesse dei consumatori”.

Alcuni commentatori notano comunque come la sentenza dia sostegno alla strategia da tempo attivata in casa Microsoft: guadagnar tempo. È infatti certo che la questione giudiziaria si trascinerà ancora per molto, anche se vanno prendendo maggior corpo le voci di accordi a latere con il governo. E come ha confermato la relativamente scarsa attenzione pubblica riservata alla sentenza di giovedì scorso, con l’andar del tempo utenti e azionisti tendono a dimenticare le malefatte pur di poter sfruttare gli ultimi prodotti Microsoft. Non a caso ci si prepara alla grande al lancio di Windows XP, con annesse “smart tags” ed altri cosiddetti “servizi web”, nel tentativo neppure troppo velato di capitalizzare sul monopolio Windows onde imporre il proprio controllo alle tecnologie web — e da qui all’intera Internet. Sempre che AOL Time Warner permetta.

Nel frattempo i grandi dell’high-tech hanno preferito trincerarsi dietro il tipico no-comment. È il caso di nomi quali Apple, IBM, Palm, Oracle, Hewlett-Packard, Gateway, Compaq e AOL. Tra le poche eccezioni, da segnalare la press release diffusa da Sun, che non manca naturalmente di applaudire la conferma dei giudici sulle pratiche monopolistiche di Microsoft. Lo stesso hanno fatto anche organizzazioni quali Computer & Communications Industry Association e Software & Information Industry Association. Il comunicato di Sun chiude in maniera esplicita: “Sun sostiene tutte quelle misure in grado di tutelare le tecnologie Internet dal divenire riserva proprietaria di una qualsiasi società.” Sul fronte opposto da segnalare invece la presa di posizione del gruppo Citizens Against Government Waste, la cui nota sottolinea come trattasi di un “ritorno ad una giurisprudenza più razionale… e di una vittoria per i contribuenti, gli investitori e l’intera economia dell’info-tech.”

Comunque sia, la sentenza d’appello non ha per nulla distratto il mondo open source. Il cui interesse punta com’è noto assai più sul potere del mercato che su quello del governo o dei giudici. Nei siti maggiormente frequentati dagli addetti ai lavori, tra cui Slashdot e LinuxToday, sono passati solo brevi testi informativi, i quali rimandano tutt’al più agli articoli delle maggiori testate o ad alcuni commenti sparsi — tra cui uno particolarmente interessante apparso su SiliconValley.com.“La divisione in più aziende non avrebbe portato a granché,” spiega Matthew Szulik, CEO di Red Hat. “Non riteniamo che rimedi strutturali possano facilitare la competizione per i distributori Linux. Anziché lottare con un unico monopolista finiremmo per farlo contro due, tre o quattro.” A conferma dell’atteggiamento predominante nell’intero giro open source, ha poi aggiunto: “Collaborazione e condivisione di risorse costituiscono modelli più efficaci rispetto a pratiche predatorie e chiuse nei confronti dei consumatori. Red Hat e altre società open source continueranno ad erodere il business di Microsoft riguardo gli alti profitti e la fiducia degli utenti.”

Caldera International, che viaggia a cavallo tra software proprietario e open source, ha dichiarato che il proprio business plan rimane del tutto inalterato quali che siano le decisioni legali sul caso Microsoft. Tuttavia il CTO Drew Spencer ha ricordato come certe manovre di quest’ultima finiscano “di fatto col rendere difficile, quando non impossibile, il trasferimento di software commerciale verso Linux oppure Unix”. Non poteva mancare all’appello Eric Raymond, estensore del manifesto open source ‘The Cathedral and the Bazaar’. Ribadendo come il governo USA si sia dimostrato eccessivamente indolente, l’autore-programmatore afferma: “Stiamo procedendo a gonfie vele contro Microsoft, e preferiamo batterla nettamente in campo aperto piuttosto che vedere l’intromissione di terze parti.” Raymond conclude facendo notare come Microsoft sia alle prese con problemi ben maggiori di quelli giudiziari. La caduta dei prezzi dell’hardware rende riluttanti i produttori a sborsare altro denaro per installarvi sistemi operativi proprietari. Mentre la saturazione del mercato dei PC porta ad una migrazione sempre più consistente verso l’open source e il free software.

In definitiva, la sentenza d’appello sconfessa parzialmente l’operato del giudice di primo grado Thomas Penfield Jackson, che nell’aprile dello scorso anno aveva imposto lo smembramento di Microsoft sulla base di pratiche illegali e anti-trust. O forse meglio, ne penalizza l’aperto atteggiamento d’ostilità confermato da numerose interviste con i giornalisti. Ma per Gates & co. ciò rappresenta tutt’altro che un successo. Anche perché i problemi più grossi sembrano arrivare da un mercato assai dinamico e scoppiettante. Grazie soprattutto all’impulso del movimento open source.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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