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Sempre più internazionale l’open source

21 Ottobre 2002

Sempre più internazionale l’open source

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Dalla Russia a Israele all'Egitto, il software aperto conquista rispettabilità e mercato.

L’open source punta parecchio sul fronte internazionale. Non è anzi un mistero come l’avanzata proceda sicura in Asia e in Sud-America, nell’Europa orientale e in Medio Oriente. Regioni in cui la diffusione abbraccia la pubblica amministrazione, i network peer-to-peer (P2P), la piccola imprenditoria. Una crescita a macchia d’olio e finanche imprevedibile, mentre negli USA si continua a cercar spazio tra le grandi corporation. Al riguardo va notata la recente decisione del gruppo E*Trade di lasciare Unix e trasferire su Linux i propri server per la fornitura di servizi finanziari. Una manovra che, nell’opinione di svariati esperti, non rappresenta altro che l’ultima testimonianza della crescita del pinguino rispetto alla piattaforma Unix. Da qui, appunto, il successo trova conferma oltreoceano, grazie a strategie diversificate e localizzate.

In Russia, ad esempio, è stato appena lanciato un progetto open source mirato al wireless P2P. Secondo i fautori di Rocky Road — questo il nome assegnato a tale progetto e all’omonima azienda — l’iniziativa costituisce la prima importante uscita interamente prodotta dall’ex-Unione Sovietica. Dopo aver seguito per anni i progetti altrui, ecco gli sviluppatori russi darsi da fare, insomma. Lo chiarisce Ben Hicks, co-sponsor della stessa azienda: “I programmatori russi sprecano il proprio talento se si limitano a lavorare sui sistemi ereditati dagli americani.” Si tratta in pratica di una framework progettata fin dall’inizio per dispositivi mobili, così da superarne le limitazioni tipiche, ovvero connessioni instabili e risorse ristrette. Qualcosa di apparentemente analogo al progetto JXME di Sun Microsystems, nel senso che offre un ambiente aperto per la creazione di apposite applicazioni P2P. Ma anziché competere con quest’ultimo, in realtà Rocky Road è costruito per operare proprio in collaborazione con quei protocolli. Citando ancora Hicks, “stiamo danzando intorno alle orme di Sun.”

Uno dei vantaggi di questo framework consiste nella capacità di offrire servizi specifici rispetto al luogo di utilizzo, approfittando della vicinanza geografica degli apparecchi. Se ad esempio un utente si avvicina a un ristorante in cui siede un amico, i dispositivi mobili di entrambi inizieranno a comunicare tra loro. Onde facilitare simili servizi ad hoc, gli sviluppatori di Rocky Road hanno messo a punto dei gateway in grado di modificare i pacchetti di comunicazione di ambienti diversi, come nel passaggio da IP a SMS. Non a caso la piattaforma, nata sulla scia della messaggeria stile ICQ, si è rapidamente evoluta fino a comprendere parecchi tipi di messaggi e pacchetti, inclusi quelli non basati sul protocollo IP. Ciò mettendo in atto le geniali idee di Narendar Shankar, che vanta una lunga esperienza sui dispositivi mobili presso i laboratori di ricerca di HP a Palo Alto. Insieme a Hicks, i due manovrano la struttura russa, che si basa su un capitale di 60.000 dollari garantito dalla start-up californiana Offshore Algorithms Inc.

Saltando invece in Israele, ecco una nuova proposta di legge che vorrebbe rendere quel paese il primo ad utilizzare unicamente l’open source nella pubblica amministrazione. Un emendamento alla Mandatory Tenders Law imporrebbe alle agenzie e alle istituzioni governative l’acquisto soltanto di software il cui codice sia ‘aperto.’ Le possibili eccezioni a questa norma richiederebbero l’approvazione, preventiva e documentata per iscritto, da parte del Ministero delle Finanze. La proposta è stata firmata da Nehama Ronen, parlamentare del partito di centro. Motivazione primaria sembra essere quella di contrapporsi alle licenze Microsoft, i cui prezzi elevati rappresentano il maggior motivo della scarsa penetrazione dei PC nelle case degli israeliani. Se il governo dovesse usare soltanto programmi open source, così ragiona Nehama Ronen, i cittadini sarebbero incentivati a fare lo stesso a livello individuale, non foss’altro che per questioni di compatibilità. Ovviamente non mancano i critici, i quali accusano la deputata della Kneset di voler limitare in tal modo la libertà di scelta dei cittadini.

Da Dubai (Emirati Arabi) arriva infine la notizia dell’implementazione della tecnologia capace di far girare programmi in arabo su Linux. La presentazione ufficiale è avvenuta nel corso del recente GITEX, maggiore salone tecnologico della regione. Il risultato è dovuto soprattutto al forte impegno degli sviluppatori al lavoro presso l’Egyptian Technology Development Centre dell’IBM. Il gruppo è riuscito ad adattare i componenti-base del sistema open source in modo da gestire efficacemente i testi in Arabo, oltre che a distribuire una serie di standard ed applicativi importanti, ovviamente messi a disposizione della comunità open source. Nello specifico si tratta dall’adattamento di elementi-chiave dell’interfaccia e del software gestionale dell’input/output (il Layout Engine), oltre che dell’arabizzazione di applicazioni di base quali text editing e gestione di posta (incluso l’emulazione di terminale Xterm, l’interfaccia grafico Motif, il browser Mozilla ed altri pacchetti open source). Ciò a conferma del ruolo trainante di IBM nella penetrazione di Linux a livello mondiale e soprattutto in quest’area. Tra l’altro attualmente IBM Egypt opera in stretta collaborazione con “Li18nux”, comitato internazionale responsabile delle specifiche sugli standard per il supporto multilingua di Linux.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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