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Secondo un Tribunale svizzero, il provider non può esser obbligato a impedire ai propri clienti l’accesso a siti dal contenuto illecito

12 Giugno 2003

Secondo un Tribunale svizzero, il provider non può esser obbligato a impedire ai propri clienti l’accesso a siti dal contenuto illecito

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Con una recente pronuncia, un tribunale elvetico ha annullato le ordinanze con cui un giudice istruttore ha intimato a numerosi provider di impedire l'accesso a un sito ospitato da Geocities.

Nel corso dell’estate del 2001, il collettivo “Appello al popolo svizzero” ha aperto un sito Internet che criticava la conduzione di numerosi procedimenti giudiziari che si stavano svolgendo in territorio elvetico.

Ritenendo i contenuti del sito particolarmente diffamatori e ingiuriosi, molti avvocati hanno depositato querele.

Il 18 settembre 2001, un primo provvedimento ha ordinato al provider che ospitava il sito di eliminare i documenti accusati di violare l’onore degli operatori della giustizia.

Il responsabile del sito, però, ha proseguito l’attività, cambiando più volte provider, per poi fare ospitare, definitivamente, il sito da Geocities.

Con un’ordinanza dell’11 dicembre 2002, un giudice istruttore del Cantone di Vaud ha ordinato a diversi fornitori d’accesso di adottare misure tecniche idonee a impedire l’accesso al sito contestato.
Il 2 aprile 2003, però, il Tribunal d’accusation del cantone ha annullato l’ordinanza del giudice istruttore, il quale invocava l’applicazione dell’art. 58 del codice penale svizzero – che consente al giudice di confiscare gli oggetti che sono serviti o dovevano servire a commettere un reato – affermando che questa disposizione non consente di ordinare un’intercettazione di telecomunicazioni o l’adozione di misure di blocco o di soppressione delle stesse.
Il Tribunale ha affermato, infatti che, nel caso specifico, non c’è alcun oggetto suscettibile di confisca, ai sensi della disposizione citata.
Il Tribunale ha comunque ritenuto opportuno ricordare ai fornitori d’accesso che nel caso – diverso da quello esaminato – in cui, pur essendo a conoscenza del fatto che siti da loro ospitati contengono affermazioni diffamatorie, calunniose o ingiuriose, non intervengono per impedirne l’accesso, possono essere ritenuti complici per le infrazioni commesse.
A questo proposito, ha richiamato una sentenza del 17 febbraio 1995, del Tribunal Fédéral svizzero, che aveva condannato per complicità nel reato di pornografia e di pubblicazioni oscene un provider che era a conoscenza dell’attività svolta da alcuni siti da lui ospitati.

L'autore

  • Annarita Gili
    Annarita Gili è avvocato civilista. Dal 1995 si dedica allo studio e all’attività professionale relativamente a tutti i settori del Diritto Civile, tra cui il Diritto dell’Informatica, di Internet e delle Nuove tecnologie.

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