“Attualmente ci troviamo nel mezzo di un attacco globale contro il software libero. Un attacco globale che dovrebbe dare man forte al diritto d’autore, ma che non ha alcuna connessione con quel che prevede in realtà tale diritto d’autore. Si tratta piuttosto di voler riscrivere il copyright, onde riconvertilo da un monopolio su chi può copiare, eseguire e creare nuovi lavori sulla base della nostra opera in un monopolio su chi può progettare apparecchi capaci di riprodurre, trasformare ed eseguire un’opera”.
Questo uno dei rilanci offerti da Cory Doctorow, coordinatore europeo della Electronic Frontier Foundation, nel corso dell’intervento che ha chiuso la recente O’Reilly European Open Source Convention, svoltasi ad Amsterdam il 17-20 ottobre scorso.
Primo evento del genere organizzato dal noto network editoriale nel vecchio continente, sull’esempio delle omonime manifestazioni che da anni scaldano animi e interesse oltreoceano.
Pur se non pare che la scena italica abbia minimamente notato né partecipato all’avvenimento, questo ha comunque raccolto oltre 500 persone tra programmatori, hacker, sys-admin e appassionati, oltre a nomi quali Alan Cox e Michael Tiemann (Red Hat), Larry Wall (guru di Perl), David Heinemeier-Hansson (Less Software), Luis Casas Luengo (Extremadura), Paula LeDieu (Creative Commons International) e lo stesso Tim O’Reilly, ideatore e boss di O’Reilly Media.
Il tutto nell’immancabile, e giustamente caotica, cornice fatta di panel e workshop, relazioni e conversazioni informali, fino alle affollate sedute plenarie.
Compresa, appunto, quella conclusiva in cui Doctorow ha illustrato con dovizia i problemi inerenti all’avvento (ormai prossimo) delle tecnologie per il cosiddetto “digital rights management” (DRM), tecnologie che invece non reggono alla prova scientifica, sono super-intrusive e vanno contro la comune logica della sicurezza.
In altri termini, è noto come tale sicurezza poggi su tecniche di codificazione dei messaggi note a tutti (spioni inclusi), ma di cui soltanto il mittente e destinatari conoscono la chiave per decifrare tali messaggi. Anzi, da tempo le fondamenta scientifiche e la validità operativa di simili metodi poggiano proprio sull’aperta pubblicazione del metodo che tutela le comunicazioni.
“Quel che mittente e destinatario condividono, e non chi vuole infiltrarsi, è la chiave di decifrazione. Il minimo dei segreti possibili perché non è facile custodire segreti”.
In tal senso, l’open source rimane un importante fenomeno sociale e scientifico perché incoraggia la condivisione della conoscenza e non la sua irreggimentazione. Cosa che invece vuole (o vorrebbe) fare il DRM, dove i mittenti, in questo caso chi realizza gli apparecchi, non possono modificare o migliorare le proprie creazioni.
Si arriva così all’irrigidimento della cultura e di chi la produce, nonché alla spinta verso diffuse infrazioni al copyright – basti pensare ai DVD impossibili da vedere in regioni diverse da quelle dell’acquisto.
Ne consegue che, insiste Doctorow, “il DRM è antitetico alla condivisione di conoscenze, alla flessibilità del diritto d’autore e al software e libero e open source.” Motivo per cui anche in Europa occorre mobilitarsi contro l’implementazione di simili policy, ha chiuso l’attivista-scrittore, come in USA si è riusciti a bloccare, almeno per ora, l’analoga Broadcast Flag mentre “la EFF sta di nuovo lottando per difendere i diritti degli autori a pubblicare il loro codice”.
Altro punto cruciale affrontato durante EuroOSCON è stato quello relativo all’End User, ovvero: occorre tenere sempre e comunque a mente l’utente finale, troppo spesso tralasciato dalle comunità di sviluppo aperto dove sembrano padroneggiare, ahimè, quasi solo geek e smanettoni.
Come ha efficacemente sintetizzato Daniel Steinberg, “spesso gli sviluppatori open source dimenticano che il 99 per cento degli utenti non sono dei tecnici”, riprendendo quanto affermava dal palco Jeff Waugh, attivo in Ubuntu e GNOME: “Abbiamo capito che la libertà non riguarda esclusivamente i geek. La libertà non riguarda soltanto quanti scrivono il software, ma anche le persone che lo usano”. Un cambiamento attitudinale, per nulla scontato, che ne caso di GNOME, “ci ha portato ad abbracciare elementi quali usabilità, accessibilità e internazionalizzazione”.
Attenta alle dinamiche affrontate nell’evento di Amsterdam si è dimostrata nuovamente la BBC, il cui inviato in loco, David Reid, ha diffuso degli onesti rapporti complessivi. Sottolineando, ad esempio, come il movimento open source “non apprezza l’idea di recintare l’informazione, soprattutto quella che altri possono usare per costruirvi sopra” e quindi non “solleva obiezioni alla possibilità di farci dei soldi, anzi molti di questi programmatori possono permettersi di scegliere come guadagnare….non con il codice, ma tramite assistenza tecnico, addestramento e pubblicazioni”.
Ciò salvaguardando comunque la filosofia alla base della rampante diffusione del software aperto e libero, come puntualizza lo stesso Tim O’Reilly: “All’inizio, quando il software veniva sviluppato solo da quelli che lavoravano con i computer, la gente era solita passare in giro il software perché era l’unico modo per far girare quei computer. La forma presa dall’industria informatica odierna…in realtà è un’anomalia creatasi negli ultimi 20 anni, e già allora c’era chi diceva “questa storia non mi piace”.
Sul tutto, resta comunque il fatto che anche l’Europa è divenuto un terreno fertile per simili progetti e attività, dalle aperture in questa direzione di alcuni governi nazionali alla crescita della comunità soprattutto in ambito professionale.
Scenari in progressione continua ai quali eventi tipo la O’Reilly European Open Source Convention non mancheranno certamente di offrire ulteriori stimoli nelle edizioni successive, fidando in un maggiore livello di partecipazione e attenzione.