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Salve (per ora) le web-radio, ma i ‘dinosauri’ puntano al controllo di Internet

24 Maggio 2002

Salve (per ora) le web-radio, ma i ‘dinosauri’ puntano al controllo di Internet

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Respinte le pesanti tariffe pro-copyright per la musica online, mentre Lawrence Lessig mette in guardia sulla marcia dell'info-entertainment e dell'high-tech alla conquista di Internet.

Vittoria per le radio online statunitensi. La scorsa settimana James Billington, nella veste di Librarian of Congress, ha respinto le tariffe proposte dal Copyright Arbitration Royalty Panel sulla trasmissione di brani musicali via Internet. Secondo tale proposta, i webcaster avrebbero dovuto sborsare all’industria discografica 0,0014 dollari per ogni ascoltatore e per ogni pezzo trasmesso. Cifra che, moltiplicata per le centinaia di brani trasmessi ogni giorno e retroattiva al 1998, avrebbe causato la chiusura di innumerevoli stazioni, segnando in pratica la fine della Internet-radio. Vittoria comunque temporanea, in attesa delle nuove tariffe che lo stesso James Billington dovrà emanare entro per il 20 giugno. Ma forse ancor più preoccupante è l’avanzata, sempre più estesa e generalizzata, lanciata dalle grandi corporation dei media per il controllo dell’informazione e dei contenuti in circolazione online. Una realtà dovuta alla convergenza simultanea di fattori essenziali quali le pesanti campagne pro-copyright avviate dall’industria dell’info-entertainment nonché la diffusione di banda larga e altre innovazioni tecnologiche che spianano la strada al rilancio delle mega-telecom e degli operatori via cavo. Scenario che Lawrence Lessig, professore di legge a Stanford University e autore del recente “Il futuro delle idee”, definisce senza mezzi termini: i ‘dinosauri’ stanno conquistando tutto.

Sulla decisione a favore delle web-radio, va rammentato come in ogni caso verranno imposte delle nuove tariffe per via del controverso Digital Millennium Copyright Act approvato dal Congresso nell’autunno del 1998. Tra le varie norme previste, si stabilisce infatti che ogni webcaster dovrà pagare delle royalty per la musica trasmessa online. Ovvio che sarà la cifra finale del balzello dovuto a determinare la vita o la morte delle numerose emittenti online. I cui responsabili al momento hanno salutato con sollievo la decisione del Librarian of Congress. Anche perchè è opinione generalmente condivisa come lo stesso Congresso, nell’elargire licenze per le trasmissioni via web, volesse in effetti promuovere il “new medium e il benessere degli artisti,” non certo minare l’esistenza di entrambi. Posizione ribadita da Jon Potter, executive director della Digital Media Association, il quale ha aggiunto: “La decisione odierna fa sperare che le royalty definitive risulteranno molto più adeguate all’attuale economia di mercato delle precedenti proposte. Se così sarà, allora, verranno rispettate le intenzioni del Congresso.”

Non manca chi getta acqua sul fuoco, visto che la questione è ancora aperta. Presto per dichiarare la vittoria finale e rilanciare seriamente il settore emergente delle Internet-radio (soprattutto quelle piccole, indipendenti, locali). Così la pensa Kurt Hanson, editore di Radio And Internet Newsletter e tra gli animatori del sito SaveInternetRadio.org, il quale rimane comunque fiducioso: “Se si vuole salvare la nostra industria, questo è il primo passo nella direzione giusta.” Un’industria, è il caso di sottolinearlo, decisamente in uno stadio iniziale e soprattutto poco incline a “rubare” profitti alle spese degli artisti, come invece vorrebbe far credere la Recording Industry Association of America. Non a caso i webcaster sostengono che lo sviluppo delle loro attività non farà altro che spingere in alto le vendite dei comuni CD, come rivelato anche una recente indagine di mercato. Attività più che altro promozionali e culturali, quindi, per le quali le web-radio si dicono pronte a sborsare cifre analoghe a quelle delle emittenti tradizionali, ovvero il 3-5 per cento delle entrate lorde.

Una controversia che riflette le preoccupazioni più serie su un aspetto sempre fondamentale nel pianeta Internet: il controllo dell’informazione e dei contenuti in circolazione online. Uno scenario in cui si preannuncia l’ulteriore espansione dei giganti dei media, dell’entertainment e dell’high-tech. Non che finora ciò sia mancato, tutt’altro, basti pensare ai mille tentacoli estesi pressoché ovunque da nomi AOL Time Warner, Bertelsmann, Microsoft. Neppure è un mistero come esista la volontà congiunta di estendere il notorio Media Monopoly al mondo digitale. Già oggi nei media tradizionali USA il numero delle corporation che detengono il controllo dei grandi media si è ulteriormente ristretto rispetto a una ventina di anni fa, passando da cinquanta ad appena una decina di conglomerati. Qualcosa che online si traduce innanzitutto — come nel caso delle web-radio — nel rullo compressore guidato dagli studi Hollywood e dall’industria discografica contro ogni minaccia, finanche potenziale, alla tutela del copyright. A ciò vanno aggiunti i rilanci tecnologici impostati da mega-aziende quali AT&T, con l’arrivo diffuso della banda larga e di opzioni varie per l’accesso super-veloce. Saranno così i grandi network territoriali a decidere quali contenuti usufruiranno di queste corsie preferenziali, ovviamente sulla base di accordi finanziari con gli stessi produttori. Senza dimenticare gigantesche iniziative strategiche in lavorazione, dalla piattaforma.NET all’operatività del gruppo AOL. Il tutto porta chiare minacce alla base stessa di quell’architettura aperta cui si deve il successo mondiale di Internet.

Prepariamoci dunque all’arrivo dei ‘dinosauri’, suggerisce Lawrence Lessig, autore del recente “Il futuro delle idee”. A conferma degli importanti contributi forniti da tempo su varie tematiche delle libertà digitali, il professore di legge a Stanford University chiarisce il proprio pensiero in un’intervista a Business Week. Oltre a delineare il preoccupante scenario di cui sopra, Lessing affronta la questione della guerra in atto tra Hollywood e Silicon Valley rispetto alla (presunta) contrapposizione tra tutela del copyright e impulso all’innovazione. Si fa notare come “i politici di Washington siano contemporaneamente circondata dai rappresentanti di entrambe le entità (la Motion Picture Association of America President e la Recording Industry Association of America), i quali sono riusciti a convincerli si tratti di una scelta binaria, tra la tutela perfetta oppure nessuna protezione.” Al contrario, suggerisce Lessig, esistono buoni compromessi sia per l’industria sia per gli utenti. Ad l’esempio, il Congresso potrebbe replicare, appunto, il modello delle tariffe flat imposte alle comuni emittenti radio, risolvendo così “l’80 per cento degli attuali problemi sulla diffusione dei contenuti.” Una sorta di ‘licenza forzata’ che Napster aveva invocato, invano, fin dall’inizio.

Assai negative sarebbero invece le conseguenze dell’eventuale approvazione di normative ultra-restrittive come quella recentemente presentata dal deputato Hollings. Manovra che taglierebbe fuori le varie situazioni indipendenti e danneggerebbe gli stessi utenti, dando carta bianca alla marcia online dei dinosauri.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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