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Robogiornalismo

03 Aprile 2014

Robogiornalismo

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Non si pensava che il software potesse dominare gli scacchi ed è avvenuto. Non si pensa che possa sostituire un cronista.

Dal dopoguerra, le curve della crescita dei posti di lavoro e quella della crescita della produttività hanno viaggiato insieme. Le attività generavano più valore dal lavoro dei dipendenti, la società si arricchiva e questo portava alla nascita di nuovi posti di lavoro, in un ciclo virtuoso.
Attorno al 2000, le due curve hanno cominciato a divergere, in quello che Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee della Sloan School of Management del Massachusetts Institute of Technology hanno definito great decoupling, il grande disaccoppiamento. La crescita della produttività e dell’economia non implica più la creazione di posti di lavoro. E molti puntano il dito verso il digitale e la rete.
Non verso la tecnologia, che nel passato ha dimostrato di distruggere certo molte professioni, ripagando però i problemi con nuove possibilità e a lungo andare un benessere netto e indiscutibile:

Il reddito reale in Gran Bretagna raddoppiò a malapena tra l’anno Mille e il 1570. Triplicò tra il 1570 e il 1875. Più che triplicò tra il 1875 e il 1975. L’industrializzazione non eliminò la domanda di lavoro umano ma al contrario creò opportunità di impiego sufficienti ad assorbire la popolazione in esplosione del XX secolo.

Se sarà vero anche con Internet, è argomento difficile da trattare in pochi paragrafi. Piuttosto voglio chiedermi se il software potrà mai eliminare o minare professioni apparentemente inespugnabili come giornalistiche. Dopotutto ha già dimostrato notevoli doti scacchistiche (notizia talmente âgée che IBM mantiene giusto un archivio parziale) e ha sbaragliato la concorrenza umana in un telequiz.
È di pochissimi giorni fa la creazione da parte di un ingegnere di Google di un algoritmo che identifica le notizie del giorno, sceglie immagini per illustrarle e lo annuncia in un tweet.
I risultati sono indubitabilmente tali da lasciare tutti tranquilli, almeno nel medio termine. Già diverso è il caso di StatSheet, rete di oltre 400 siti dedicati a ciascuna squadra di basket universitario americano di prima fascia. I siti – con ricadute su Facebook e Twitter – riportano il resoconto di ogni partita disputata e tutto viene generato da un algoritmo. Linguaggio piuttosto arido, ma la notizia c’è (e il pubblico non distingue il risultato). Era già successo nel football americano grazie al lavoro di Narrative Science, la cui ultima creazione, Quill, prepara rapporti scritti sul traffico di un sito partendo dai dati di Google Analytics.
C’è da preoccuparsi, cronisti sportivi e technical writer aziendali, oppure chiedersi se e come sfruttare a proprio vantaggio questi strumenti? Intanto che se ne discute, preparo un articolo sulla stessa tematica applicata ai libri.

L'autore

  • Lucio Bragagnolo
    Lucio Bragagnolo è giornalista, divulgatore, produttore di contenuti, consulente in comunicazione e media. Si occupa di mondo Apple, informatica e nuove tecnologie con entusiasmo crescente. Nel tempo libero gioca di ruolo, legge, balbetta Lisp e pratica sport di squadra. È sposato felicemente con Stefania e padre apprendista di Lidia e Nive.

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