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Rischiosa la stretta online dell’anti-terrorismo USA

14 Febbraio 2002

Rischiosa la stretta online dell’anti-terrorismo USA

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Passata la paura, Hollywood rilancia alla grande i film di violenza, mentre qualche testata azzarda pillole di notizie sui 'danni collaterali' della 'guerra' in atto. Ma il peggio sembra ancora riguardare il futuro di hacker e attivisti online.

Palese lo stridore dell’attuale tessuto sociale statunitense. La leadership politica insiste nella spinta verso il ‘business as usual’, coprendo con la minaccia dell’ubiquo terrorismo ogni possibile impasse. Buttato alle ortiche il digital divide, evidenti i tentativi d’insabbiamento del quasi-scandalo Enron, caparbio il silenzio sulle migliaia di vittime civili della ‘guerra’ ai Taliban. La Camera assegna 880 milioni di dollari in cinque anni per la ricerca sulla sicurezza informatica. E il budget 2003 di Bush propone maggiori finanziamenti alla polizia federale per sorveglianza più efficace e nuovi sistemi informatici. Intanto, la commissione giustizia si appresta ad esaminare una proposta di legge sul cyber-crime che prevede drastici aumenti di pena, fino all’ergastolo per alcune forme di ‘hacking illegale.’ Il tutto del disinteresse pressoché generale, mainstream media inclusi. Un po’ meno disinformati appaiono netizen e attivisti online, con un margine di manovra però assai ristretto.

“Torna la violenza sul grande schermo.” Così titola un dispaccio dell’Associated Press amplificato da svariati quotidiani. È in fermento la “dinamica ipocrisia di Hollywood,” nella definizione di Frank McAdams, autore di un libro in uscita sulla storia dei film di guerra realizzati dalla grande industria cinematografica. La quale, congelate per qualche mese le uscite dopo gli eventi dell’11 settembre, ha dato avvio al ritorno in grande stile delle pellicole truculente, cercando di recuperare il terreno perduto nei confronti della realtà. A dicembre Sony aveva anticipato l’uscita di “Black Hawk Down,” focalizzato sul disastroso raid USA in Somalia nel 1993, raggiungendo rapidamente incassi record, come pure va accadendo all’analogo “Behind Enemy Lines.” Un successo che verrà certamente bissato da “Collateral Damage”, in cui il solito Schwarzenegger impersona un pompiere che nei panni di un ‘vigilante’ incastra il terrorista che gli ha ucciso moglie e figlio. La gente fa lunghe file ai botteghini, e forse ciò è anche un modo di sanare le ferite, per dimenticare e andare avanti. Spiega il regista del film: “Finché non avremo più guerre e la gente non inizierà a trattarsi meglio, non credo riusciremo a liberarci da drammi e tragedie.” Nonostante le Twin Towers distrutte (o forse proprio per questo?), la violenza tira sempre parecchio, insomma, sia sul grande schermo che nella vita reale.

A proposito di ‘danni collaterali,’ l’altra sera è invece passato sul piccolo schermo — in maniera alquanto inaspettata — un breve servizio su tali danni provocati dalla ‘guerra’ in Afghanistan. Una quindicina di minuti all’interno di “Now with Bill Moyers”, sul circuito nazionale della TV pubblica (PBS). Interviste, riprese dirette e dati alla mano per dire che di vittime civili ce ne sono state, eccome, anche se le autorità USA non sanno spiegare gli errori commessi sul campo. Ma preferiscono comunque stendere un velo di spesso silenzio, come hanno confermato i giornalisti di FAIR nel corso dell’ultima edizione di “Counterspin”, programma settimanale irradiato da un network di emittenti FM. Una ‘notizia’ che è perfino arrivata giorni fa sull’edizione online del New York Times, pur circolando da tempo su altri siti web meno visitati. Tutto ciò non rappresenta però che una goccia nell’oceano d’informazione pro-bellica a senso unico, volentieri vicina ai toni propagandistici. Semplice il messaggio per gli utenti e lettori ignari: suvvia, lasciamo andare, inutile pensarci più di tanto. Ogni guerra, si sa, ha le sue brave vittime innocenti — poco male se stavolta quasi nessuno ne verrà informato o potrà ricordarsene.

In un tale contesto, come la mettiamo col pianeta online? Le prospettive si confermano tutt’altro che buone, non c’è che dire. Nei giorni scorsi la Camera ha approvato il Cyber Security Research and Development Act, grazie al quale da qui al 2007 viene assegnato un budget di 880 milioni di dollari per realizzare sistemi e prodotti informatici più blindati. Una manovra ovviamente ben ricevuta dalla comunità accademica e dai numerosi ricercatori informatici, oltre che dallo stesso Bush. Il quale ha preso la balla al balzo, proponendo un incremento senza precedenti del budget per l’anno fiscale 2003: più 124 miliardi di dollari, il 19 per cento superiore all’attuale. Per coprire in parte questi aumenti, si prevedono tagli relativi alla rete autostradale ed ai progetti ambientali. L’ingente spesa, e il relativo deficit federale, sarebbe giustificata dall’urgenza di sostenere “gli sforzi anti-terrorismo e la difesa della patria”. Ovviamente la parte del leone spetta al Ministero della Giustizia, cui spetterebbe un aumento dei fondi pari a 1,8 miliardi di dollari, per un totale annuale di 30,2 miliardi. L’FBI, che dipende da tale Ministero, riceverebbe direttamente un incremento di quasi 62 milioni di dollari e oltre 200 impiegati in più, il tutto dedicato al supporto delle “capacità di sorveglianza per la raccolta di prove e intelligence”. E il National Infrastructure Protection and Computer Intrusion Program, altra unità dell’FBI, otterrebbe ampliamenti pari a 21 milioni di dollari e 138 nuovi addetti. Lo scopo? Chiaro: fronteggiare e investigare possibili cyber-attacchi.

Quanto sopra verrebbe integrato, manco a dirlo, dall’ennesimo giro di vite legislativo. Presentato a dicembre da Lamar Smith, deputato repubblicano del Texas, il Cyber Security Enhancement Act: mira a inasprire le linee-guida e le pene già pesanti oggi previste per i crimini informatici. Il provvedimento è ora al vaglio della commissione giudiziaria della Camera. Secondo Smith, i futuri terroristi potrebbero usare qualunque sistema per colpire, “da una bomba a un computer.” Ergo, nel caso qualcuno tentasse di “causare morte o ferite gravi tramite apparati elettronici” potrebbe anche vedersi appioppare il carcere a vita. Il progetto prevede altresì lo sviluppo di “tecnologie investigative e forensiche” maggiormente confacenti alle attività di controllo generalizzato. Tutto ciò, va ricordato, si aggiungerebbe all’USA Patriot Act rapidamente passato a fine 2001, consentendo così all’FBI di procedere all’ulteriore rafforzamento e implementazione di tecnologie controverse quali Carnivore e l’analogo progetto semi-segreto Magic Lantern.

Certo, per ora si tratta di solo di proposte, comunque indirizzate a ribadire il ruolo prevalente dell’high-tech contro il terrorismo. Ciò nonostante i rischi, sollevati da più parti, di potenziali problemi: restrizioni dei diritti civili, repressioni indiscriminate o errori irreparabili a seguito di complicate infrastrutture e legislazioni troppo ampie. Finiremo forse per ritrovarci con ‘danni collaterali’ e vittime ignorate anche nel mondo online?

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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