Le ultime settimane hanno visto un’ampia diminuzione dei titoli borsistici di aziende high-tech e soprattutto di start-up Internet (Amazon è scesa fino al 50 per cento, Salon.com del 30 per cento). Un trend che gli analisti attendevano da tempo, ma che un po’ tutti speravano non arrivasse mai. Pareva quindi un momento niente affatto azzeccato per l’entrata a Wall Street della prima società open source, Red Hat, leader di soluzioni e distribuzioni intorno a Linux con base operativa in North Carolina e filiali anche in Europa.
Tutti timori dimostratisi infondati. Dopo aver alzato lievemente il prezzo di apertura (da 10-12 dollari a 12-14 per azione) per i sei milioni di titoli messi in circolazione, il primo giorno di contrattazioni si è chiuso a quota 52 dollari, con un incremento superiore al 300 per cento. In tal modo Red Hat ha già messo nei forzieri la cifra di 84 milioni di dollari, mentre qualcuno ha calcolato che ora il responsabile della società, il canadese Rober Young, in un sol colpo vale 472 milioni di dollari. Mentre pare che E*Trade possa dare una seconda chance a quei programmatori che, invitati da Red Hat all’acquisto agevolato di azioni, erano stati inizialmente respinti perchè “privi delle necessarie credenziali”.
Contenuto ma non troppo lo giubilo nel parterre della mega-kermesse LinuxWorld alle ultime battute in quel di San Josè, California. Insieme a qualche mugugno di scontento da parte degli haker più idealisti e appassionati che vedono di cattivo auspicio l’eccessiva commercializzazione del movimento open source (Richard Stallman docet).