Le funzioni di XML costituiscono solo uno dei tasselli dell’architettura complessiva del futuro Web che il W3C sta definendo a poco a poco. Il successo di XML è, quindi, legato all’affermazione di tutta questa articolata struttura, e in particolare alle versioni finali di HTML dinamico e di RFD (Resource Description Framework), lo standard per la meta descrizione delle risorse Web che è tuttora oggetto di scontro tra i principali produttori del settore, primi fra tutti Microsoft e Netscape. Della possibile evoluzione dinamica di HTML si è già parlato ampiamente; vediamo adesso che cos’è RDF e perché è fonte di tanti litigi; quindi esamineremo l’evoluzione in rete della grafica e della multimedialità, altri terreni minati.
I colpi bassi
I piccoli colpi bassi spesso sfuggono ai non addetti ai lavori, ma sono molto indicativi. Qualche mese fa Netscape ha annunciato alla stampa che avrebbe fornito il suo supporto tecnico ai content provider che vogliono distribuire informazioni in rete utilizzando il Meta Content Format (MCF), uno standard proprietario di Netscape stessa. Ne è nato un piccolo incidente diplomatico con Microsoft e soprattutto con il W3C, che vale la pena di un esame più attento.
Al di là degli acronimi, l’oggetto del contendere è il futuro del push, cioè di tutti i servizi di informazione in rete che invece di aspettare che le notizie vengano richiamate dagli utenti (pull), le “spingono” (push) verso di loro, come Poincast. Microsoft aveva proposto il Channel Definition Format, (CDF), mentre Netscape aveva sviluppato il Meta Content Format (MCF); entrambe le corporation si erano poi dovute rassegnare a discuterne insieme nell’ambito del W3C, all’interno di un progetto più ampio che si concretizzerà con il rilascio delle specifiche di un Resource Description Framework (RDF).
Quest’ultimo stabilirà in generale il modo di descrivere un documento in Internet, qualsiasi tipo di documento. Con RDF, quindi, si potranno costruire non solo dei servizi di push, ma anche dei motori di ricerca più efficienti, oppure degli strumenti per il rating e per la classificazione delle risorse in rete. Il lavoro di W3C su RDF, in effetti, era iniziato come un’elaborazione del protocollo PICS (Platform for Internet Content Selection), già approvato dal W3C da molto tempo.
Di PICS e di come questo innocuo standard sia stato strumentalizzato, sia negli Stati Uniti sia in Italia dai peggiori censori della rete come la soluzione per sconfiggere la pornografia in Internet, parleremo un’altra volta. Non c’è fretta: i censori, per il momento, in US come a casa nostra hanno perso, anche se è chiaro che non demordono e che ritorneranno presto all’attacco.
Lavorare insieme per non decidere nulla?
Il gruppo di lavoro di W3C su RDF, al quale partecipano anche Netscape e Microsoft, per il momento non ha deciso quasi nulla e ha soltanto dichiarato, con molta diplomazia, che RFD dovrà armonizzare i due schemi proposti dagli eterni rivali ed essere coerente non solo con PICS ma anche con XML (argomento del quale si è già parlato abbastanza la volta scorsa). Il fatto è che i progettisti di Netscape in materia di XML si sono lasciati superare da Microsoft e adesso, mentre la casa di Redmond può permettersi di accantonare la sua sigla proprietaria, CDF, per proporre un modello di RDF più aderente a PICS e XML, Netscape deve invece cercare di rilanciare ancora il semplice MCF, un progetto nato in casa Apple e acquistato da Andreessen insieme ai suoi inventori prima dell’ingresso in Apple di Bill Gates.
L’annuncio a sorpresa di Netscape, quindi, che lasciava intendere tra le righe che il futuro standard RDF del consorzio W3 sarebbe stato sviluppato proprio a partire dal suo MCF, è stato giudicato scorretto dal W3C, mentre si ripete il gioco di sempre: Microsoft sostiene che il Resource Description Framework sarà quasi identico al proprio CDF, mentre Netscape afferma che verrà utilizzato in gran parte MCF, perché molto più conforme agli standard già esistenti e allo stesso XML.
Difficile fare previsioni in questo scenario: la strada per arrivare ad uno standard unico di RDF è ancora lunga; la maggior parte degli analisti, però, hanno interpretato il comunicato stampa di Netscape come un segnale di debolezza, un tentativo di influenzare il mercato del push per riacquistare peso ed autorevolezza in questo campo anche in seno al consorzio, rafforzando le proprie posizioni. Di fronte all’irritazione degli altri membri del W3C, comunque, Netscape è stata costretta a smentire il proprio annuncio, ammettendo che il gruppo di lavoro comune che sta definendo RDF è ancora molto lontano da una decisione.
Il W3C, è utile ripeterlo ancora, di certo non è esente da errori e forse segue troppo le proposte di chi sfrutta il Web solo per conquistare nuovi mercati; d’altra parte, il modello organizzativo misto proposto dal consorzio è l’unico in grado di frenare uno sviluppo tutto commerciale della rete dove la scelta obbligata sarebbe tra il monopolio, di Microsoft o di Netscape, e il completo disordine.
SMIL, la nuova scommessa
Lasciando le nebbie di RDF, del PICS e del problema della meta descrizione delle risorse, un’altra grossa scommessa per il W3C è costituita da SMIL (Synchronized Multimedia Integration Language, che si pronuncia “smile”), ovvero la multimedialità prossima ventura.
Proposto come bozza nel novembre ’97 e come standard definitivo nell’aprile ’98, SMIL è lo strumento che consentirà di realizzare il matrimonio tra il Web e trasmissioni video di tipo televisivo. Il Working Group SYMM (SYnchronized MultiMedia), il gruppo del W3C che ha elaborato il nuovo standard, riunisce esperti dell’industria dei CD-ROM, della televisione interattiva e della tecnologia streaming su Web; ne fanno parte, tra gli altri, Digital, Philips, RealNetworks e le immancabili Netscape e Microsoft. Il problema centrale affrontato da SMIL è la sincronizzazione, che viene gestita in modo molto semplice con i tag “parallel” e “sequential”. SMIL consente di associare ciascun video a più tracce audio in diverse lingue e di predisporlo per la trasmissione su differenti disponibilità di banda. La principale scommessa di questo nuovo standard è dimostrare che il Web, anche con le attuali limitazioni di banda trasmissiva, può fare di più e meglio del mezzo televisivo nel campo del broadcast di notizie.
Con SMIL e con i suoi link ipertestuali degli utenti televisivi potranno usare Internet per trasformarsi, con un semplice clic del mouse, da spettatori passivi, i “couch potato”, le tanto criticate patate da divano televisivo, in navigatori interattivi capaci ad esempio di selezionare e vedere approfondimenti relativi ad una notizia principale.
Questo nuovo markup language costituisce in pratica lo strumento per riunire in un unico documento diversi oggetti, quali immagini, testo, audio e streaming video, specificando come accoppiarli e quando e in che modo eseguire la loro riproduzione. Una delle sfide di SMIL è rivolta all’HTML dinamico e a JavaScript, dato che potrebbe fornire le stesse funzioni multimediali di questi in modo molto più semplice. Netshow di Microsoft troverebbe in SMIL un concorrente che vuole ribaltare l’attuale logica proprietaria e onnicomprensiva sostituendola con uno strumento di scheduling in grado di integrare tra loro diversi oggetti più piccoli e più semplici, preparati in formati differenti, compreso quello di Netshow.
La scomposizione di una trasmissione di tipo televisivo in oggetti alleggerisce inoltre la pagina multimediale, dato che è possibile trattare le componenti testuali come tali e senza trasformarle in video; in questo senso, SMIL porrà dei problemi anche a Macromedia Director, un altro prodotto di tipo “all in one” che SMIL si propone di ricondurre al ruolo di semplice strumento per la produzione di oggetti da integrare con altri oggetti. In sintesi, se HTML ha rivoluzionato il mondo ipertestuale e XML quello dei documenti strutturati, SMIL, se come previsto verrà approvato a maggio, si propone di diventare il linguaggio di riferimento per la multimedialità in rete. Resta da vedere se e quanto questo nuovo standard riuscirà a far diventare il PC ed Internet dei seri concorrenti del tradizionale mezzo televisivo, ma di questo per il momento preferiamo non parlare.
Microsoft buona Netscape cattiva?
Questo insomma dimostra che Microsoft, a differenza della “cattiva” Netscape, ha come obiettivo principale, da XML a DOM, da RDF a SMIL, la diffusione di standard non proprietari. Chi ci crede alzi la mano…
Microsoft, in realtà, fa parte anche della Multimedia Task Force, un gruppo costituito da Microsoft, Adobe, Matrox, Video Product Group ed altri che ha definito ad inizio aprile, contemporaneamente all’approvazione di SMIL da parte del W3C, la proposta di Advanced Authoring Format (AAF). Questo nuovo formato è uno strumento studiato per rendere più semplice la creazione di filmati televisivi e di prodotti multimediali, e facilita lo scambio dei dati tra formati quali AVI e WAV. Microsoft, dunque, come molti altri produttori, continua a seguire diverse strategie contemporaneamente. Se da un lato ha scelto la strada degli standard discussi in seno al W3C, d’altro canto continua a proporre soluzioni nate in ambiti più ristretti. Microsoft ha in cantiere anche ASF, un formato multimediale “all in one” che è alla base del già citato Netshow e di cui AAF è il naturale complemento; ASF è stato sottoposto all’esame di ISO e di IETF, non diW3C. In questo scenario, sembra essersi configurata una situazione molto incerta che rischia di trasformarsi in uno stallo. Né SMIL né ASF, infatti, sono ancora riusciti ad imporsi, mentre AFF non pare in grado di ottenere maggiori successi, almeno per il momento.
La confusione aumenta grazie all’esistenza di RTSP, il Real Time Streaming Protocol presentato da Netscape ad IETF nell’ottobre del ’96 e, dopo tanto tempo, ancora privo di risultati concreti.
Incuranti della guerra in corso, gli utenti continuano ad usare i vecchi file AVI e WAV, oppure il diffusissimo Real Player di RealNetwork. Fino a quando i produttori non riusciranno a imporre, di fatto, standard migliori o ad accordarsi su una soluzione comune e realmente aperta, l’inseguimento delle ultime features inserite in un browser o in un authority tool rischia di essere un esercizio molto dispersivo e inconcludente.