Cominciamo a parlarne per tempo, quest’anno. Mentre gli italiani saranno alle prese con la corsa ai regali natalizi e con i preparativi dei cenoni festivi, con ogni probabilità il governo rincorrerà fino all’ultimo giorno utile l’approvazione del consueto decreto “milleproroghe”. Inaugurato nel 2005 come misura eccezionale per far fronte in un unico calderone d’urgenza a tutte le disposizioni in sospeso o in scadenza al 31 dicembre, questo strumento legislativo si è ormai insediato stabilmente nel nostro ordinamento. Il decreto milleproroghe è un caso emblematico di dibattito a posteriori: solo a gennaio, e dopo che i diversi esperti di settore ne hanno decifrato la lettera, si alzano proteste e preoccupazioni per le disposizioni divenute ormai efficaci. Troppo tardi, il più delle volte: il percorso parlamentare di conversione, infatti, non concede molti margini d’azione.
Dopo Londra
Tra le scadenze che da due anni compongono il bouquet milleproroghe c’è quella della legge Pisanu, il decreto antiterrorismo che l’allora ministro dell’Interno del governo Berlusconi III si affrettò a promuovere all’indomani degli attentati di Londra del luglio 2005 e che il parlamento convertì compatto pochi giorni dopo. Il clima era molto teso: solo un anno prima era stato attaccato il sistema ferroviario di Madrid, la ferita dell’11 settembre 2001 era ancora molto fresca e la retorica della coalizione dei volonterosi contro il terrorismo internazionale correva con facilità sulla bocca dei più. Far passare norme restrittive per le libertà individuali e collettive non incontrava molti ostacoli, in quei mesi. Senza contare che l’Italia si stava preparando ad avere su di sé gli occhi del mondo, all’Olimpiade invernale di Torino. La sola legge Pisanu, per esempio, concedeva in un colpo maggiore discrezionalità agli investigatori e ai servizi segreti (compresa una discreta mole di nuove norme in fatto di identificazione, di verifica dell’identità, di gestione degli arresti e dei fermi), introduceva limiti più severi per la concessione dei permessi di soggiorno nel nostro paese, allentava alcune rigidità delle procedure di espulsione, imponeva controlli più rigidi sulla circolazione degli esplosivi e sulle attività di volo. Accanto a ciò, e ci avviciniamo al punto, la legge Pisanu aveva particolarmente a cuore la sicurezza delle comunicazioni telematiche, introducendo limiti molto fiscali alla diffusione indiscriminata dell’accesso a internet: dal luglio 2005, chiunque offra connettività al pubblico deve registrarsi e ottenere licenza in Questura, deve identificare chi utilizza la propria connessione e registrarne puntualmente gli accessi, deve custodire tutti i dati sul traffico generato e deve metterli a disposizione, se richiesto, delle forze dell’ordine e della magistratura. La giustificazione alla severità di queste misure sta nella difficoltà di tracciare le comunicazioni dei terroristi, che sempre più spesso viaggiano in rete e sfuggono alle più tradizionali antenne dei servizi di intelligence. Se metto un posto di blocco passivo a ogni possibile ingresso della rete, dice il legislatore, quando poi mi capita di intercettare una comunicazione sospetta posso risalire in tempi ragionevoli e con ragionevole certezza all’identità di chi l’ha originata.
Costi e benefici
Quattro anni dopo è urgente la necessità di soppesare nella pratica i benefici e i costi di questa legge, che nasceva emotivamente urgente ma dichiaratamente temporanea. Non è noto quanti pericolosi terroristi internazionali siano stati così sprovveduti da farsi beccare mentre si scambiavano piani d’attacco contro le capitali del mondo libero tramite posta elettronica o sui presidiatissimi forum dell’estremismo glocale. Di certo c’è solo che questa legge transitoria ha agevolato non poco le indagini della polizia postale sul fronte interno, permettendo l’identificazione di numerosi autori di reati commessi attraverso internet, pedopornografia in testa. Il che è certamente una buona notizia, ma a ben guardare esula dallo scopo grave e urgente che animava l’eccezionalità del testo del ministro Pisanu. Né risolve il problema di fondo: per trovare i proverbiali aghi non puoi tenere sotto assedio per sempre il pagliaio. I costi della legge Pisanu, invece, sono altissimi. Questa legge ha assestato un colpo durissimo alle potenzialità di crescita tecnologica e culturale di un paese già in ritardo su tutti gli indici internazionali della connettività a internet: nel momento in cui nel mondo la rete si apre sempre di più al prossimo grazie alle tecnologie wireless e all’utopia mutualistica dei tanti punti di accesso condivisi liberamente da privati, da istituzioni e da locali pubblici, in Italia abbiamo imposto lucchetti e procedure artificiali, aliene alla sua immediatezza ed efficacia. È come se dopo gli anni ’70 il telefono fosse rimasto alla teleselezione tramite operatrici. Le capitali di mezzo mondo stanno ricostruendo le proprie identità sociali grazie a un prodigioso sistema operativo per le relazioni: noi qui stiamo aspettiamo di sconfiggere ogni strutturale devianza prima di fidarci nuovamente di noi stessi. Mentre altrove internet si rafforza come diritto riconosciuto all’interazione con l’altro, un’infrastruttura per il progresso sociale ed economico da favorire e da proteggere, per le classi dirigenti italiane – complici leggi miopi o leggi d’emergenza protratte nel tempo, come la Pisanu – si è trasformato nel luogo comune dell’inutilità, della devianza e del reato diffuso. Non abbiamo sconfitto i nostri fantasmi, in compenso abbiamo perso tempo e opportunità, che oggi costerà molto più caro recuperare. Abbiamo perso anche diritti, lasciando che oggi in determinate circostanze gli estremi delle nostre navigazioni parlino per noi con un’intimità che mal si concilia con la legislazione sulla privacy di un paese civile. Questa legge ha contribuito a trasformare un paese spaventato dai mantra delle sue stesse leadership in un paese più arretrato, più rinchiuso in se stesso, più complicato, più pessimista di quanto il mondo d’oggi consentirebbe. La legge Pisanu non garantisce di fermare la pazzia di un estremista, in compenso sta contribuendo alla strage quotidiana delle aspettative e delle opportunità di una intera nazione.
Alzare la voce
L’eccezionalità delle richieste d’urgenza presentate nel 2005 dal ministro Beppe Pisanu si spiega in virtù del loro carattere dichiaratamente provvisorio: sarebbero dovute scadere il 31 dicembre 2007. Se non fosse che prima il governo Prodi II (con il milleproroghe del 31 dicembre 2007) e poi il governo Berlusconi IV (col milleproroghe del 18 dicembre 2008) ne hanno garantito fino a oggi la piena efficacia. È inutile recriminare sulle scelte fatte, ma è nostro dovere influire come cittadini su quelle che possono ancora cambiare. La prossima scadenza utile, sulla quale sarebbe opportuno si aprisse questa volta in tempo utile un dibattito sereno e costruttivo, è il 31 dicembre 2009. Fanno 85 giorni a partire da oggi. 85 giorni in cui chi ha a cuore il futuro della rete in Italia è chiamato a far sentire la propria voce.