Dopo il successo del suo talk al TED, Jane McGonigal è arrivata in Italia come ospite di Meet the Media Guru. I lavori della game designer californiana partono da un approccio non convenzionale e innovativo, che mischia diversi media per offrire esperienze che permeano il mondo reale, sfumando il naturale confine tra gioco e realtà. Questo tipo di lavoro si evolve dal leit motif che caratterizza il pensiero di Jane McGonigal, cioè l’idea che i giochi – per loro stessa natura – siano destinati a migliorare la vita delle persone e ad avere un effetto positivo sul loro rapporto con la realtà.
Tentativi ed errori
Non solo: McGonigal vede il gioco come l’attività più produttiva che un essere umano possa intraprendere. Le sue idee si pongono in aperto contrasto con quelle degli studi classici sul gioco (Caillois, Huizinga), che enunciano l’improduttività come tratto caratterizzante dell’esperienza ludica. A ben vedere non è l’unica a pensarla così: Raph Koster, autore di uno dei più importanti saggi sul divertimento (A Theory of Fun), analizza i processi chimici che hanno luogo nel nostro cervello quando giochiamo. Koster spiega come questi processi stiano alla base di un sistema di tentativi ed errori in un ambiente sicuro e incoraggiante; questo sistema non è altro che il motore dell’evoluzione che ci spinge alla scoperta e all’adattamento.
Il gioco, insomma, è il motore dell’evoluzione umana; Jane McGonigal pone spesso l’accento su come lo stato mentale della persona immersa nel mondo ludico sia più ottimista, concentrato e pronto alla sperimentazione rispetto alle altre attività quotidiane. Chi gioca è più tollerante al fallimento, perché riesce a rielaborare in modo positivo i feedback che derivano dal non essere riusciti a portare a termine un compito, ma soprattutto riesce a mantenere un particolare tipo di stress positivo (eustress) perché genera quella concentrazione e quella spinta all’azione che molto spesso manca nelle attività di routine. Uno stato mentale ideale per riuscire a completare con successo compiti anche molto complessi.
Giochi a scuola
Si potrebbe pensare che si tratti solo di teorie dalla difficile realizzazione in pratica. Eppure c’è già chi sta cercando di lavorare sui concetti illustrati da Jane McGonigal. È il caso, per esempio, di Quest to Learn, una scuola elementare di New York che ha un corpo insegnante supportato da un team di game designer, e che cerca di sviluppare le lezioni con un curioso metodo che attinge a piene mani dal mondo dei giochi di ruolo (con un sistema a livelli che sostituisce i voti) e delle avventure grafiche (con missioni al limite della spy story che vengono assegnati ai singoli studenti per incentivarli al lavoro in team). Jane McGonigal si dice certa che da questo esperimento potranno uscire menti innovative e più preparate ad affrontare i problemi del mondo contemporaneo.
Un altro esempio interessante è quello dell’utilizzo del gioco in campo medico, soprattutto nel caso di pazienti con terapie dalla routine difficile da seguire. Re-mission è un gioco sperimentale, simile nella struttura ai moderni sparatutto in prima persona, diretto ai malati di cancro. I primi risultati sembrano incoraggianti: le persone che hanno giocato almeno per un’ora alla settimana hanno mostrato un’aumentata efficacia delle cure somministrate e una maggiore costanza nell’assunzione degli antibiotici.
Un compito di responsabilità
Un mondo migliore attraverso i giochi, quindi? Quasi. La visione di Jane McGonigal è senza dubbio affascinante, ma non sarà un lavoro semplice riuscire a concretizzarla. Troppo spesso le meccaniche di gioco delle quali si sente sempre più spesso parlare si fermano a un semplice sistema di ricompense di stampo comportamentista che diventa molto velocemente noioso. Creare giochi è un’attività di per sé complessa, ma farlo con l’obiettivo di avere un impatto sulla vita di tutti i giorni può essere addirittura più difficile, e rischia di sollevare anche alcune questioni etiche. Insomma, un lavoro di grande responsabilità. Forse anche per questo motivo, Jane McGonigal prevede che presto il premio Nobel per la pace verrà assegnato a un game designer.