Proliferano nel mondo informatico i rischi di infrazioni alla proprietà intellettuale. Un trend che ormai non riguarda più soltanto il software libero e open source, la cui comunità va comunque organizzandosi di conseguenza (vedi il recente avvio del Software Freedom Law Center). Pur essendo impossibile prevedere se e quali saranno i danni ad ampio raggio di querele tipo quella di SCO contro Linux (partita del 2003 e ancora pendente), è certa la validità dell’allarme lanciato da tempo da Stallman e altri. La puntuale conferma arriva da un fresco sondaggio condotto dal gruppo IDC. Intervistando 200 professionisti dell’info-tech USA, la ricerca rivela come la necessità di tutelarsi contro denuncie per potenziali infrazioni alla proprietà intellettuale oggi interessa anche l’universo del software proprietario. E pur se la voce “indennizzo alla clientela” per simili possibilità non rientra ancora nella routine dei budget aziendali, queste situazioni potrebbero comunque rivelarsi cruciali nelle trattative commerciali.
L’indagine fa seguito a una nota, diffusa a dicembre sempre da IDC, in cui si consigliava ai soggetti variamente coinvolti nello sviluppo informatico di mettersi al sicuro sulle questioni connesse alla proprietà intellettuale, prevedendo degli appositi programmi d’indennizzo per i clienti. Ciò soprattutto in risposta alla decisione di Microsoft di ampliare tali programmi onde coprire i costi di possibili cause derivanti da infrazioni a brevetti, copyright, segreti commerciali e marchi di fabbrica. Non a caso, secondo Stephen Graham, uno dei vicepresidenti di IDC, il punto sostanziale è che normalmente i tribunali tendono a favorire i diritti di proprietà mentre il Patent & Trademark Office statunitense continua ad assegnare quantità enormi di brevetti sul software. Scenario che tra l’altro ha aperto le porte all’inatteso attacco legale di SCO prima contro IBM e poi contro Linux in generale. Come pure alla nascita di ditte il cui unico patrimonio è costituito da brevetti su tecnologie e sistemi di ogni tipo.
Solo in Cina la richiesta di assegnazione di brevetti è aumentata di cinque volte nel decennio 1991-2001, e la società fondata da Myhrvold, ex dirigente Microsoft, si vanta di aver sborsato 350 milioni di dollari per acquistare un mare di brevetti (non solo sul software) onde poter poi andare in giro a minacciare e ricattare chiunque. Assai più che semplici affermazioni radicali o limitate al software aperto, si tratta dunque di circostanze che interessano l’intero ambito della programmazione informatica. Tuttavia, sottolinea ancora Graham, pur di fronte alla maggiore considerazione di simili rischi, le policy imprenditoriali rimangono statiche e poco chiare.
Oltre il 40 per cento delle società interpellate da IDC afferma di non aver alcuna norma specifica che richieda ai produttori una qualche sorta di indennità agli utenti nel caso di denuncie per infrazioni a brevetti o copyright addossate al codice. Però il 75 per cento di quelle più grandi, con oltre 1.00 dipendenti, prevede formalmente tali indennizzi, al contrario delle aziende medio-piccole. Ne consegue che saranno per prime le grandi corporation a muoversi se la questione dovesse farsi calda a livello più complessivo. Anche se, conclude Graham, quando si tratta di scegliere il target migliore “non conta la grandezza quanto piuttosto se l’azienda sia finanziariamente attraente”.
Sembra comunque che al momento l’utenza finale non si preoccupi più tanto, mentre la gran parte dei distributori Linux considera il caso SCO null’altro che un’eccezione, forse meglio un’aberrazione. E non di rado i rimborsi delle polizze d’indennizzo vengono decisi direttamente dalla entità preposte, come per Linux Legal Defense Fund messo in piedi dall’Open Source Development Labs, che non stabilisce l’entità delle spese processuali rimborsate qualora un utente dovesse essere trascinato in tribunale. Ovvio comunque che il controllo su diritti e licenze nell’ambito della proprietà intellettuale rimane punto centrale delle politiche imprenditoriali, soprattutto per quanti operano nel software libero e open source. In tal senso va aggiunto l’auspicio di Eben Moglen, direttore del suddetto Software Freedom Law Center: entro il 2010 quest’ultimo dovrebbe diventare il centro di una ragnatela di associazioni trasversali che collegano un po’ tutti i progetti in corso, coinvolgendo avvocati, esperti e aziende, per darsi aiuto reciproco. L’iniziativa si pone quindi come articolato strumento lungo un percorso che porti a una maggiore consapevolezza della necessità di quel che Moglen definisce “legal engineering”, ovvero, la piena comprensione sia delle tecnologie in quanto tali che delle aree legali che le riguardano.