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Project Censored: togliere il bavaglio all’informazione

09 Ottobre 2003

Project Censored: togliere il bavaglio all’informazione

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Storie importanti ma censurate dai media USA: dominazione globale, libertà civili, accesso ridotto all'info-tech

Media monopoly contro pluralismo dell’informazione. Dicotomia che rimane nodo cruciale del magma sociale, con netta predominanza del primo soggetto, e verità da tempo accettata negli Stati Uniti, con ovvie estensioni al mondo online. Qualche dato, giusto per rinfrescarci la memoria: oggi sono meno di dieci le media corporation che dominano il panorama informativo made in USA; la sola Clear Channel possiede oltre 1200 emittenti radiofoniche; nel 98 per cento delle grandi città circola un solo quotidiano, generalmente parte di mega-catene editoriali tipo Gannett e Knight-Ridder. Nel bel mezzo di uno scenario così totalizzante, bisogna scavare faticosamente per riportare alla luce i non molti progetti aperti e indipendenti (Indymedia docet). Ben venga quindi la recente presentazione dell’edizione annuale di Project Censored, curata da studenti e professori della Sonoma State University in California.

Attivata per la prima volta 27 anni fa, l’iniziativa raccoglie una serie di eventi avvenuti nello scorso anno e di rilevanza nazionale, ma pressoché ignorati dai media mainstream. Le Top 25 Censored Stories dell’edizione attuale sono state messe insieme da un team universitario composto da circa 200 persone, in collaborazione con Alternet e l’Independent Media Institute di San Francisco. Quanto preparato da Project Censored viene rilanciato sull’omonimo sito e in un apposito volume appena pubblicato, oltre che variamente riprese dalla stampa indipendente, soprattutto dai tipici settimanali gratuiti locali. Un progetto mirato a “liberare il sistema d’informazione negli Stati Uniti”, e che negli anni ha conquistato spazio e spessore, come puntuale contraltare al suddetto media monopoly di cui sembra proprio non si possa fare a meno. E che per l’edizione 2004 ha focalizzato l’attenzione, ovviamente, su tematiche relative alla guerra al terrorismo e all’invasione dell’Iraq.

Considerate nel loro insieme, le 25 maggiori storie più censurate dalle grandi testate USA dipingono un quadro a dir poco preoccupante della scena socio-politica nazionale. Dai progetti a lungo termine per il dominio globale a livello militare nonché economico, ai piani per zittire il dissenso, per minare i diritti civili e per restringere i diritti dei lavoratori. Né mancano notizie tanto gravi quanto rimaste del tutto ignote alla stragrande maggioranza dei cittadini statunitensi. È ad esempio il caso delle oltre 8.000 pagine surrettiziamente eliminate dal governo nel rapporto sulle armi irakene presentato alla nazioni Unite; oppure dei possibili piani di Donald Rumsfeld per provocare deliberatamente i terroristi onde avere buone scuse per reagire con durezza.

Inoltre, sempre secondo gli autori di Project Censored, sarebbe stata scarsa e disattenta l’informazione su altre questioni cruciali, come le minacce alle libertà civili seguite all’implementazione della Homeland Security e i tentativi di far scompare le Union. Tutte notizie che invece hanno trovato rilievo — fattore questo importante in un panorama complessivo comunque centrato sui monopoli — in una manciata di situazioni indipendenti pur se di gran lunga minori. Si tratta di periodici noti in giri liberal quali “Z Magazine” e “The Nation” o della seguita trasmissione radiofonica “Democracy Now!”, con i soliti rimbalzi su vari ambiti online. Senza infine dimenticare qualche spazio rosicchiato in quotidiani anch’essi minori, grazie all’impegno di reporter locali, tipo “Baltimore Sun” o “Tampa Tribune”.

Oltre ai temi segnalati, nell’elenco delle Top 25 Censored Stories del 2002-2003 rientrano anche i tentativi di ribaltare le correnti norme a tutela dell’interesse pubblico per quanto concerne l’accesso a internet. Nello specifico viene segnalato un articolo apparso nel settembre 2002 sul mensile “Dollars and Sense” in cui Arthur Stamoulis segnala le facilitazioni concesse dalla Federal Communications Commission all’industria del via cavo nell’evitare le medesime restrizioni imposte ai comuni carrier. Come risultato, spiega il giornalista, per l’accesso veloce a internet gli utenti potrebbero trovarsi davanti a possibilità assai limitate: anziché tra centinaia di piccoli provider, finiranno per scegliere uno dei pacchetti tutto compreso offerti dei giganti del via cavo. Un ulteriore passo, attualmente in fase di discussione parlamentare, che non faciliterebbe di certo l’accesso generalizzato a internet né colmerebbe il tanto deprecato digital divide.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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