Bill Gates si è dichiarato favorevole ad una conclusione concordata del processo antitrust intentato dal governo americano contro la Microsoft, ma le sue concessioni sono lontanissime da quanto l’accusa – rappresentata dal governo federale e da 19 Stati – è disponibile ad accettare. È quanto ha dichiarato il procuratore generale della California, Bill Lockyer, secondo il quale la proposta di Microsoft non può essere la base di partenza per un patteggiamento.
Gli avvocati che in giudizio rappresentano il governo americano, hanno definito le proposte di Microsoft “minimaliste”.
Un portavoce del Dipartimento della giustizia si è, invece, rifiutato di commentare la notizia ricordando che Joel Klein, il responsabile dell’antitrust, aveva raccomandato che ogni Informazioneriguardante la possibilità di arrivare a una conclusione negoziata del processo, rimanesse riservata.
Microsoft propone, in uno scarno documento di quattro pagine, di dare la possibilità ai costruttori di computer di togliere dai desk-top dei PC l’icona di Internet Explorer, che rimarrebbe comunque integrato a Windows 98. L’azienda di Redmond concederebbe ai costruttori la possibilità di offrire sui loro computer anche software concorrenti. Una pratica, peraltro, avviata già da qualche tempo, seppur con molta prudenza.
Microsoft non vuole però cedere su un punto: quello di poter integrare nei sistemi operativi nuove tecnologie e in particolare software come il proprio browser per Internet. Ed è proprio questo il punto cruciale della causa antitrust contro l’azienda di Bill Gates. L’accusa ritiene, infatti, che Microsoft abbia abusato della sua posizione dominante nel settore dei sistemi operativi per imporre al mercato altri prodotti, come Internet Explorer appunto.
Il processo contro la Microsoft riprenderà il 12 di aprile. L’azienda di Redmond si trova in evidente difficoltà e viene data per perdente da numerosi osservatori. Ciò non toglie che la conclusione del processo non è affatto scontata e che Microsoft ha molte risorse, soprattutto finanziarie, per influenzare il verdetto finale. Ad esempio la società di Bill Gates ha appena deciso di aumentare in modo sostanzioso le donazioni ai partiti politici (legali negli Stati Uniti purché pubbliche) e ha rafforzato il proprio ufficio di rappresentanza parlamentare. Com’è noto l’azione di lobbyng negli Usa, oltre ad essere legale, non è biasimata dall’opinione pubblica.
Lo stesso Bill Gates è impegnato in una sorta di tour per la presentazione del suo ultimo libro “Business @ the speed of thoght”(Affari alla velocità del pensiero), durante il quale ha incontrato giornalisti, studenti e professori universitari e, naturalmente, esponenti del mondo informatico americano. Gates non perde occasione per rivendicare alla propria azienda la “libertà d’innovazione”.
Come già detto si tratta, in realtà, di una tattica. Nessuno, infatti, è disponibile a dichiarasi contrario alla libertà d’innovare, soprattutto in un mercato come quello informatico che vive d’innovazioni. Qui, in realtà, non si tratta di libertà d’innovazione, ma di libertà tout court, una libertà molto pericolosa se gestita da un’azienda che detiene il monopolio quasi assoluto in settori strategici come quello dei sistemi operativi per PC. Una libertà che, secondo molti, ha significato finora possibilità di eliminare la concorrenza utilizzando principalmente le propria forza economica e non la bontà dei propri prodotti.
Il processo antitrust contro la Microsoft, secondo gli osservatori, potrebbe concludersi con una frammentazione dell’azienda o con l’obbligo di concedere in licenza il codice sorgente di Windows ad altre software house. Tutte soluzioni contro le quali la Microsoft ha già annunciato l’intenzione di ricorrere in appello.